La Costoletta alla Milanese

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 La Costoletta alla Milanese è un piatto tipico della cucina lombarda, in particolare della città di Milano. Si tratta di una bistecca di vitello con l'osso, infarinata e passata nell'uovo sbattuto, poi ricoperta da una crosta di pangrattato misto a formaggio grattugiato e aromi come aglio e prezzemolo.

La costoletta viene poi fritta in abbondante burro o olio d'oliva fino a quando la crosta diventa dorata e croccante e la carne all'interno rimane morbida e succosa. Viene solitamente servita calda accompagnata da una fetta di limone e patate fritte o un contorno di verdure.

Questo piatto è molto apprezzato per il suo sapore intenso e la sua consistenza croccante fuori e morbida dentro. È considerato uno dei piatti più rappresentativi della tradizione culinaria milanese e dell'intera regione Lombardia.




Il sushi fatto di pizza

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Il sushi è una specialità gastronomica giapponese che consiste in piccoli bocconcini di riso conditi con aceto di riso e accompagnati da pesce crudo o verdure. La pizza, invece, è un piatto di origine italiana a base di pasta lievitata e condita con pomodoro, mozzarella e altri ingredienti a scelta.

In linea di principio, non esiste alcuna ricetta ufficiale per creare uno "sushi fatto di pizza", poiché i due piatti appartengono a due tradizioni culinarie diverse e sono preparati con ingredienti differenti. Tuttavia, è possibile immaginare di creare un alimento ibrido che combinasse elementi dei due piatti, per esempio utilizzando il riso condito all'aceto come base per una pizzetta farcita con mozzarella e ingredienti tipici della cucina italiana.

Tuttavia, va tenuto presente che sarebbe semplicemente una variazione creativa e personale sulla tradizione culinaria di entrambi i piatti, e non potrebbe essere considerato un autentico sushi nè una vera pizza.



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La Pinsa è un tipo di pane piatto che ha origini antiche nell'Italia centrale, in particolare nella zona di Roma. Si pensa che la pinsa sia stata creata già nel periodo degli antichi romani, quando gli abitanti della città utilizzavano una pasta a base di farina di grano tenero, farina di mais e farina di riso per preparare il loro pane quotidiano.

La ricetta tradizionale della pinsa prevede l'utilizzo di queste tre farine unite ad acqua, sale e olio d'oliva. Dopo essere stata impastata, la pasta viene lasciata lievitare per alcune ore prima di essere stesa e cotta in forno.

Negli anni, la ricetta della pinsa è stata modificata e adattata alle esigenze dei vari territori italiani, ma il suo caratteristico gusto croccante all'esterno e morbido all'interno è rimasto invariato.

Oggi la pinsa è diventata una specialità gastronomica apprezzata non solo in Italia, ma anche all'estero, dove è stata diffusa grazie all'apertura di numerosi ristoranti specializzati in cucina italiana.



La storia della pizza più famosa di Chicago

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La pizza più famosa di Chicago è una variazione della pizza tradizionale italiana, chiamata "deep dish pizza" o "pizza a profondo piatto". La sua origine risale agli anni '40, quando Ike Sewell e Ric Riccardo hanno aperto il loro ristorante, il Pizzeria Uno. I due volevano creare una pizza che fosse diversa dalle altre, una pizza che fosse un pasto completo e non solo uno spuntino.

Così hanno creato la "deep dish pizza", che consiste in una crosta alta e croccante, ripiena con strati di formaggio, sugo di pomodoro e altri ingredienti come salsicce, funghi o peperoni. La pizza viene cotta in un forno a gas per circa 45 minuti, fino a quando la crosta diventa dorata e croccante.

La deep dish pizza è diventata rapidamente popolare tra i residenti di Chicago e si è diffusa in tutto il paese. Oggi ci sono molti ristoranti che servono la pizza a profondo piatto, tra cui il Pizzeria Uno originale e la sua catena di ristoranti affiliati, chiamati "Pizzeria Due".

Inoltre, alcuni dei nomi più famosi nella pizza di Chicago includono Lou Malnati's, Giordano's, Gino's East e Uno's. Ognuno ha la propria versione della deep dish pizza, ma tutti condividono l'ingrediente fondamentale: una crosta spessa e generosa, farcita con abbondante formaggio e sugo di pomodoro.




31 tipi di camerieri che puoi incontrare in Italia

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Dal ragazzo che lo fa per pagarsi gli studi a quella che ti parla della sua vita anche se non te ne frega niente.

Il cameriere, si sa, può essere un lavoro duro. In Italia, spesso non è considerato nemmeno un lavoro così serio. E quasi sempre non è pagato seriamente.

Sta di fatto che vi ritroverete sicuramente a che fare con loro e con almeno una di queste tipologie di camerieri e cameriere. Che possono rovinare o innalzare la vostra esperienza.

In ogni caso: siate sempre gentili, stanno lavorando per voi.


1. Dopo ogni turno guadagna almeno due follower. Ogni tanto, durante il servizio, pure un fogliettino col numero vecchia maniera. Gli piace da morire.


2. Vuole fare sempre tutto da solo ed è convinto di gestire più cose insieme. Quando si è dimenticato di darti una posata e glielo fai notare, correrà per rimediare. Ma nel frattempo gliene avranno chiesta un’altra e si sarà dimenticato di te che, senza speranze, mangerai con il cucchiaio o con il coltello.


3. Ha iniziato a lavorare in una trattoria il weekend per fare due soldi mentre frequenta l’università da fuori sede. Oggi fa quattro turni a settimana pagati 40 euro a fine serata e non si ricorda più nemmeno che facoltà sta frequentando.


4. Ti spiega ogni cosa nei minimi dettagli, dal nome di chi produce il piatto di ceramica a cosa c’è dentro la ricetta. Quando tira fuori la carta dei vini ti devi spaventare.


5. È un perfetto paraculo professionista che sa esattamente cosa dirti e si inventa storie incredibili sui piatti e sui drink. Tipo che stai per mangiare una secondo inventato una sera proprio al tuo tavolo da Brad Pitt che è un cliente abituale quando viene in città. Fa un sacco di mance e discute con i colleghi perché vanno divise, ma ha fatto tutto lui.


6. Fa la cameriera come si deve perché tutto quello che fa deve riuscire alla perfezione, secondo lei. Lavora in un ristorante finto gourmet che serve i gamberi con la burrata su una terrazza e cerca di essere onnipresente per i colleghi e per i clienti. A volte però esagera e dal tavolo la senti litigare con i colleghi dove c’è la macchina del caffè.


7. Ha alle spalle anni di esperienza in decine di ristoranti e conosce ogni tipologia di cliente possibile. Sa leggerti dentro e sa meglio di te quello che vuoi. Sa anche che quello non è il tuo fidanzato.


8. Non gli va per niente di lavorare, ogni azione per lui è pesantissima e dal tavolo lo vedi sbuffare e ciondolare. Non gliene frega niente se quando apparecchia le posate sono allineate e quando arriva la chiusura ci mette cinque minuti ad asciugare ogni bicchiere per fare il meno possibile.


9. Vuole avere sempre tutto sotto controllo. Ti chiede con un sorriso tiratissimo “come va?” o “come procede?” ogni dieci minuti.


10. Ha due figli, ha una compagna per noia e non riesce proprio a capire che deve smetterla di provarci con te.


11. Lavora in un posto che serve solo insalate e quinoa con melograno e salmone a 20 euro. Nel tempo libero fa yoga—un sacco di yoga—e sembra la tua amica del cuore quando ti parla del potere degli estratti. Probabilmente lo è, perché se sei lì credi davvero al potere degli estratti.


12. Sono quelli nella sala che si aggirano senza sapere che fare: devono scontare l’alternanza scuola-lavoro. Probabilmente sbaglieranno a portare i piatti al tuo tavolo.


13. Lavora nello stesso ristorante da quarant’anni, uno di quelli in cui si mette ancora il papillon e si cucina pesce. Memorizza esattamente se bevi naturale o frizzante, sa perfettamente quando darti corda e quando lasciarti in pace e ha un sacco di storie divertenti come quando ha visto Cesare Cremonini tagliare la cotoletta per Lucio Dalla.


14. Nel suo turno di pausa sigaretta si nasconde in cantina per mezz’ora e torna come se niente fosse.


15. Si appiglia a qualsiasi cosa tu dica, per raccontarti la storia della sua vita. Nel frattempo pensi solo che la tua pasta si sta raffreddando. Irrimediabilmente.


16. Lavora in una pizzeria popolare e deve solo portare i piatti dal forno al tavolo. Ne impila dieci alla volta per sbrigarsi.


17. Si è guardato tutte le stagioni di 4 Ristoranti, e vorrebbe troppo farlo anche lui. Quindi si atteggia sempre come se fosse davanti alle telecamere qualsiasi cosa faccia. È prontissimo.


18. È un’oste vecchio stampo di un quartiere popolare di Roma. Per lei sono tutti bello e bella de zia - “te stanno a piacé le polpette de Patrizia tua?” Il conto è pittorescamente segnato sulla tovaglietta di carta e dello scontrino nemmeno l’ombra.


19. È un sommelier affermato, ma gli tocca anche servire in sala. Sa perfettamente che non lascerai una bella mancia.


20. Ha il patema quando deve servire al tavolo troppe bevande su un vassoio. Continua a ripetersi non farlo cadere, non farlo cadere, non farlo cadere. Quando succede, entrambi avreste preferito che nessuno avesse ordinato del buon vino rosso.


21. Non lo fa apposta, ma ha il potere di interrompere la vostra conversazione sul più bello. Sempre.


22. È venuta in Italia dalla Svezia e, dopo aver fatto la ragazza alla pari per un po’, ha trovato lavoro in un posto hipster dove i camerieri ti parlano in inglese e hanno tre giorni di riposo alla settimana.


23. Il ristorante è suo, è piccolo e ci lavorano solo in due: uno in cucina uno in sala. Serve con entusiasmo, ma in verità non ha idea di come si faccia funzionare un ristorante. Lo ha aperto da poco.


25. Ha davvero la passione per la sala. Adora guardare i dettagli della gente a tavola e racconta con passione ogni singola portata, citando produttori piccolissimi e sconosciuti. Quando c’è lei il bicchiere dell’acqua è sempre pieno senza che nemmeno ve ne accorgiate.


26. Qualcosa è successo, perché si comporta con la diplomazia di chi rutta a tavola e non ha niente da perdere. Forse gli hanno rubato il motorino o forse ha litigato con il gestore. Di sicuro potrebbe sputarvi segretamente nel piatto prima di portarvelo.


27. È il manager attentissimo del ristorante che ha lavorato molti anni all’estero. È in grado di servirvi al meglio, ma è anche fenomenale a far quadrare i conti e a organizzare il tutto. Senza di lui sarebbero spacciati tutti, i clienti e i proprietari.


28. Sparecchia, prepara i tavoli e asciuga i bicchieri, ma non gli fanno prendere gli ordini al tavolo. Anche se non dicono il perché, il perché è molto chiaro. La sua paga è sempre più bassa dei suoi colleghi italiani di qualche euro nonostante lavori lì da molto più tempo.


29. Quando vede che hai il cane corre a portarti una ciotola d’acqua. Tu credi che sia molto gentile e brava, in realtà da quel momento guarderà solo il tuo cane, lo toccherà e gli dirà le cose con le vocine.


30. Fa la cameriera delle colazioni in un hotel business ed è fortissima nelle lingue. Molto meno nel ricordarsi l’ordine, e infatti torna al tavolo almeno un paio di volte.


31. Lavora in un bar. La mattina odia tutti. E te lo dice. E tu la ami un po’ per questo.


 



La storia della cucina cinese e della ristorazione milanese

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La cucina cinese ha una lunga storia che si sviluppa su migliaia di anni. L'arte culinaria cinese è stata influenzata da diverse regioni e stili di cucina, dalle ricette imperiali agli alimenti delle popolazioni locali. Inoltre, la cucina cinese è diventata sempre più popolare in tutto il mondo grazie alla globalizzazione e all'emigrazione di molti cinesi.

In Italia, la ristorazione cinese è diventata presente a partire dagli anni '80. Milano è stata una delle prime città italiane ad accogliere i primi ristoranti cinesi, che si sono poi diffusi in tutta Italia. La cucina cinese a Milano si è evoluta negli ultimi decenni, passando dalla proposta di piatti tradizionali come il riso saltato, il pollo fritto al limone o i gamberi in salsa agrodolce, a proposte più sofisticate e innovative di alta cucina.

Oggi i ristoranti cinesi a Milano offrono piatti gourmet realizzati con ingredienti di prima qualità, serviti in un ambiente elegante e raffinato. Inoltre, la cucina cinese a Milano si sta evolvendo anche verso l'inclusione di piatti regionali meno conosciuti al grande pubblico, ma altamente apprezzati dai cinesi stessi e dagli appassionati della cultura culinaria orientale.

In sintesi, la cucina cinese e la ristorazione milanese hanno una lunga storia e una forte evoluzione nel tempo, con una crescente attenzione verso la qualità degli ingredienti e la ricerca di una proposta culinaria sempre più raffinata e innovativa.




Com'era mangiare al ristorante a Milano negli anni Novanta

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Sfogliare una raccolta di menù dei ristoranti milanesi del 1996 è come fare un salto indietro nel tempo: cosa si mangiava e quanto si spendeva?

Si andava a mangiare fuori molto meno rispetto a quanto si faccia oggi che è diventata abitudine consolidata, si usciva solo per le occasioni speciali.

L'altro giorno, passeggiando per Milano, mi sono imbattuto in un mucchio di libri abbandonati per strada, tra cui uno, molto vintage, chiamato ‘Menù di Milano & dintorni - 150 menù completi di portate, prezzi e specialità così come li trovate al ristorante’.
È diventato un mio mezzo in un secondo momento che mi ha aperto una finestra sulla ristorazione milanese del 1996 attraverso scansioni di menù di alcuni dei ristoranti del tempo.

Allora ho deciso di fare una riflessione insieme a un esperto di cucina milanese e giornalista, e di un ristoratore dell’epoca ancora in attività, per capire come sono cambiate le cose del mangiare fuori a Milano dagli anni Novanta a oggi.

Quanto costava uscire a cena a Milano nel 1996.

Per fare dei calcoli approssimativi mi sono rivolto a varie questa piattaforme, e ho scoperto, senza troppe sorprese, che andare al ristorante a Milano nel 1996 costava di meno in rapporto ad oggi.

Al Boeucc Antico Ristorante (uno dei più antichi d’Europa, aperto da oltre 300 anni, ndr), gli “Gnocchetti di patate ai 4 formaggi con fiori di zucca” costavano 15mila lire, l’equivalente di circa 11 euro oggi. Nello stesso ristorante, gli “Gnocchetti di patate con porri e salmone” nel 2019 costavano 18 euro. Ok, se consideriamo gli ingredienti utilizzati è giusto che costi un po’ di più, ma comunque il prezzo è decisamente più alto.

Al defunto ristorante L’Assassino di via Amedei 8, un risotto alla milanese costava 13mila lire, che oggi sarebbero circa 9,50 euro.

Sono considerazioni imprecise che non tengono conto anche del livello del ristorante, fondamentale per capire le oscillazioni di prezzo. Purtroppo, però, la stragrande maggioranza dei menù presenti nel libro appartengono ad attività non più esistenti, il che, ovviamente, mi fa pensare a come il settore della ristorazione abbia subito delle grandi batoste in questi, nonostante Milano sia diventata la seconda città con attività ristorative dopo Roma.

Gianni Bridda, del superstite ristorante Al Bronzetti, è convinto che i prezzi dei menù siano cresciuti per una questione di aumento dei costi derivante dalla liberalizzazione delle licenze dopo il Decreto Bersani-Visco del 2008.

“La ristorazione è cambiata perché all’inizio del nuovo millennio hanno liberalizzato le licenze, per cui hanno iniziato ad aprire troppe attività,” spiega. “I costi della gestione sono cambiati in maniera per noi sfavorevole: per esempio il costo del lavoro, che è aumentato drammaticamente. In più, oggi è difficile che la gente riesca ad andare fuori ogni domenica sera, anche solo una pizza e birra, cosa invece assolutamente comune negli anni Novanta”.

La penso un po’ diversamente: “Io credo che per i prezzi si debba fare un rapporto con gli stipendi di allora,” “che anche con la lira erano più bassi di oggi. In linea di massima direi che ai tempi già spendere 20, 25mila lire (il corrispettivo di 14-18 euro oggi) era considerato una specie di lusso, quindi noi ragazzi ci accontentavamo di pizza e Coca-Cola per 10mila lire.”

“Di sicuro si andava a mangiare fuori molto meno rispetto a quanto si faccia oggi che è diventata abitudine consolidata, si usciva solo per le occasioni speciali. Le prime fidanzate, quando le portavo fuori a cena, dovevo risparmiare per un mese.”

Ma come si mangiava negli anni ‘90 a Milano? Nei menù milanesi del 1996 sono completamente assenti voci che facciano intendere un’attenzione alla stagionalità o al localismo.

“La cultura gastronomica negli ultimi anni è aumentata a dismisura. Abbiamo detto più cose su sapori e tecniche dei piatti in questi due decenni che nel secolo precedente. La ricerca sulla qualità e la provenienza di oggi ce la sognavamo nel secolo scorso: oggi si parla sempre di stagionalità, non solo di frutta e verdura ma anche dei pesci, della carne, mentre ai tempi a nessuno importava. La vera rivoluzione è che oggi il mangiare bene è sempre più di pertinenza anche delle fasce meno abbienti, è in corso una democratizzazione del concetto di alta cucina”. “Oggi puoi mangiare bene tutto sommato anche a cifre accessibili, e sarà sempre così, perché abbiamo capito che la gastronomia è una scienza e come tale procede per tentativi ed errori e siamo destinati ad una qualità sempre superiore.”

Perché sono sopravvissuti così pochi ristoranti di questo libro del 1996?

Ho provato a cercare, uno ad uno, decine e decine di ristoranti presenti sul libro dei menù: la grande maggioranza di loro oggi è chiusa. Ho provato a immaginarne i motivi: da un lato, la diffusione dei fast food iniziata negli anni Ottanta ha sicuramente messo a dura prova un modello tradizionale di fruizione della ristorazione; dall’altro, le famose gestioni famigliari all’italiana hanno ceduto il passo a imprese più strutturate e franchising, senza contare il fattore anagrafico che ha portato alla morte o pensionamento dei vecchi proprietari delle insegne della città.

Oltre alla liberalizzazione delle licenze, uno dei fattori chiave per comprendere questa strage di ristoranti sta nella clientela che oggi è molto più mordi-e-fuggi: “il cliente non è più fidelizzato, è di passaggio, in genere i ristoranti aprono e chiudono a un ritmo impensabile per questo motivo.”

“Milano è sempre stato un porto di mare, i milanesi bravissimi ad accogliere ma anche a cacciare.” Però, anche la qualità della vita e l’aria che respiri incidono sulla mortalità dei ristoranti. Infatti, chi decide di venire a cucinare a Milano ha spesso anche poi voglia di andarsene. “Ci sono tante cause per la mortalità media dei ristoranti, che negli ultimi anni è elevata ed è diventata un dibattito importante della cucina di oggi. Un ristorante oggi chiude perché chi lo apre sono i cuochi, più dei ristoratori: i cuochi hanno una visione parziale del ristorante, a volte si dimenticano che far stare bene una persona è centrale, ancor più del piatto.”

“Poi c’è stato il Covid, che ha determinato un bagno di sangue nel rapporto aperture/chiusure 2020-2021. Ma ci sono tantissimi altri motivi: i ristoranti stanno chiudendo perché la vita del ristorante è dura, fatta di sacrifici e inoltre sono assenti normative della figura giuridica del cuoco, che è nello stesso quadro dei commessi e dei metalmeccanici. Negli ultimi vent’anni la cultura gastronomica e la cultura tecnica è cresciuta enormemente, ma non altrettanto le norme che la regolano né la cultura aziendale: ad esempio, chi apre un ristorante l’ultima cosa che fa è un business plan. Quanti ristoratori aprono senza calcolare bilanci, break even point, il quadro normativo? Tutti devono fare la loro parte: politici, gli imprenditori, i giovani cuochi”.

Cosa si mangiava davvero nei ristoranti di Milano negli anni Novanta

Facendo una raccolta dati dai menù milanesi della seconda metà degli anni Novanta, è facile individuare dei trend che caratterizzavano fortemente la cucina di allora. Trend che è un bene siano scomparsi o, nel migliore dei casi, relegati a bar-ristoranti di periferia che ancora li esibiscono con orgoglio. 

Come la rucola, protagonista della cucina anni Ottanta ma presente nel decennio successivo in quasi tutti i menù. Le pizzerie mettono la “Pizza alla rucola” al secondo posto dei loro menù, subito dopo la Margherita, i ristoranti schierano “Gamberetti e rucola” come un piatto jolly per affermare che sono al corrente con le mode. Anche in versione risotto.

Onnipresenti anche le varie ‘Tagliata di manzo con rucola e pomodorini’ e il più chic “Straccetti di filetto con aceto balsamico e rucola,” dove mi chiedo che tipo di aceto balsamico venisse usato, prima dell’esordio della glassa alla gomma di Xantan.

Nella seconda metà degli anni Novanta, invece, i cibi e gli ingredienti asiatici sembrano impazzare. L’idea della cucina orientale si impossessa anche di tante cucine insospettabili, che si vedono obbligate a sperimentare, con ingredienti che dureranno quanto meteore. Tra questi, il cuore di palma, (chiamato palmito), l’orrendo surimi e la polpa di granchio. Li vedo negli abbinamenti più azzardati, come nell’"Insalatona Esotica” del ristorante Il Cerchio, che sfoggia il palmito insieme a lattuga, uova, mais, peperoni, ravanelli e e Emmenthal; e nell’“Insalata Di Quadri’ del ristorante Fame da Lupi, dove palmito e surimi cercano di legare con gamberetti, mais e funghi champignon.

Gli anni Novanta erano anni di sperimentazione, anche con il curry—nella sua scorretta interpretazione di mix di spezie— che compare in quasi tutti i menu di Milano, anche in quelli delle trattorie famigliari. “Petto di pollo al curry” all’Hostaria Pizza Pazza; “Pappardelle fresche al curry e pancetta” al Prospero di via Luigi Dell’Orto; “Pennette all’Orientale” con panna, prosciutto e curry al Bronzetti di via Fratelli Bronzetti. A questo proposito, ho chiesto al proprietario Gianni, che dal 1993 gestisce questo ristorante, perché questa voce sia sparita dal menù: “Le pennette all’orientale non le facciamo più, allora si faceva così per sfoggiare esotismo. Faceva molto figo. Ora non ce n’è più bisogno.”

Nel 1996 a Milano non si mangiano insalate, ma insalatone. È a Milano in pausa pranzo che si capisce l’importanza di rimanere leggeri, così ogni ristorante sfoggia una sezione dedicata alle combinazioni più creative in materia di verdura e proteine. Dovevano ancora scoprire che un’insalatona può essere anche più calorica di un piatto di spaghetti al pomodoro.

Al Café L’Atlantique in viale Umbria 42, si poteva gustare una “Insalata novella con gamberetti, mais e germogli di soia,” per dirne una. Al Carosello in via Pietro Custodi, per 14mila lire si mangia una “Insalata Zola e Noci’ con lattuga, avocadoS (con la s finale), prosciutto cotto, gorgonzola e noci: a occhio e croce, 1500 Calorie.

Il 1996 sembra essere anche il momento di gloria della pasta paglia e fieno con prosciutto, panna e piselli, mentre l’istituzione Peck offre la paglia e fieno al filo di pomodoro. E, sempre parlando di pasta, si nota un’inflazione di “pennette” e “sedanini.” La pasta corta è evidentemente molto amata, anche se gli spaghetti allo scoglio sono il fiore all’occhiello di molti ristoranti del periodo, insieme alla Paella spagnola. L’immaginario dell’estate anni Novanta è estremamente codificata, così come la cultura spagnola che irrompe sulla scena musicale.

Ogni cinque pagine del libro, più o meno, figura un ristorante toscano. Non è dato sapere perché, ma nel 1996 a Milano la cucina toscana è in assoluto la più amata tra le cucine regionali, seconda solo a quella lombarda. “Milano ha sempre accolto i toscani e i pugliesi, cioè i grandi ristoratori del secondo dopoguerra. Poi, dalla seconda metà degli anni Novanta, ha iniziato ad accogliere tutte le cucine internazionali, giapponesi e cinesi soprattutto.”

E sul cibo vegetariano come eravamo messi? Nel libro dei menù compaiono già tanti piatti vegetariani, ma raramente con questo appellativo. Eppure, il 1996 è un anno significativo per la cucina vegetariana in Italia: il Joia di Pietro Leeman guadagna la sua prima stella Michelin ed è il primo ristorante vegetariano in Europa a essere insignito del riconoscimento. Ancora oggi rimane l’unico ristorante stellato del genere in Italia. E nel libro c’è, ovviamente con piatti esotici.


 
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