Chowder

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Col termine Chowder si intende una varietà di zuppe, inspessite con farina e frutti di mare di vario genere, o più tradizionalmente con gallette o cracker salati e latte. Per alcuni statunitensi il chowder è identificato con quello a base di vongole (o molluschi bivalvi in genere) fatto con panna o latte, o con salsa di pomodoro.
L'etimologia più accettata per la parola chowder deriva dal tipo di pentola in cui viene normalmente preparato, conosciuta in francese come chaudière, dal latino caldaria. La parola "chowder" è una parola probabilmente nata in New England dove molti pescatori bretoni, che usavano cuocere parte del loro pescato quotidiano e altro cibo in una pentola di grandi dimensioni, introdussero la parola e probabilmente anche il modo di preparare la ricetta che ne porta il nome. Un'altra origine possibile per la parola chowder può essere ricondotta all'inglese arcaico "jowter", che significa "venditore ambulante di pesce".
Il chowder di pesce, insieme al chowder di mais e a quello di vongole è tuttora molto popolare in New England e sulla costa atlantica del Canada.
Il chowder ai frutti di mare è un piatto tradizionale molto popolare in Irlanda.

Essere donna nelle cucine dei ristoranti è ancora un problema

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Essere chef famosi e ubriachi non è una scusa per provarci, soprattutto con qualcuno che ti dice esplicitamente "NO!".
Bentrovati in Confessioni al Ristorante, la rubrica che dà voce a tutte quelle storie inascoltate dei lavoratori della ristorazione, dall'ultimo gradino delle cucine fino al bancone dei locali. In questa puntata ascolteremo la voce di una chef canadese e la sua doccia fredda una volta incontrato uno collega che una volta ammirava molto...
Ho lavorato sia come chef sia come capo-pasticcera, ma è soprattutto nella pasticceria che mi sono fatta una carriera a Toronto. Un paio d'anni fa ho preso qualche giorno di ferie per partecipare a un festival di cucina sull'East Coast. Era la prima volta che andavo a un evento simile, ed ero contemporaneamente emozionata e un po' preoccupata: emozionata all'idea di incontrare altri chef e fare networking, e preoccupata perché la scena della ristorazione è molto maschilista.
Una delle cose che ho notato è che non c'erano donne coinvolte al festival, né come speaker né come chef. Non che mi aspettassi un eccesso di attenzione per le donne, ma almeno che fossero incluse alla pari. E invece, c'erano tutti questi chef machi amici tra loro, sempre lo stesso gruppo che fa tutti gli eventi. È come al liceo. Ci sono sempre le stesse persone come ospiti, sempre le stesse a cucinare e fare dimostrazioni. Ed è così negli Stati Uniti, a Parigi, ovunque. Tutte le cene del festival erano realizzate da chef uomini. Che noia.
Nella "line up" c'era anche uno che di solito non è in cartellone durante questi eventi - non perché non sia macho, semplicemente perché raramente viene coinvolto negli eventi culinari canadesi. Io ero contentissima di conoscerlo e di discutere di cucina, perché è uno chef famoso ed è canadese, ma si è fatto un nome fuori dal Canada, e ha una stella Michelin. (O meglio ce l'aveva. Ora il suo ristorante è chiuso.)
Ha fatto anche pasticceria, anzi è noto forse più per quello, e avendo io fatto entrambe le cose lo stimo e ci tenevo molto a parlarci. A un certo punto, durante il festival, alcuni miei amici hanno cominciato a chiacchierarci e io ho cercato di entrare nel discorso parlando di pasticceria. Mi ha ignorato. Era ubriaco. Non l'ho visto per un po', perché il posto era pienissimo.
Quando stavamo facendo ritorno alla nostra sistemazione, lo chef ha deciso di tornare con noi e salire in camera. La nostra camera, infatti, era diventata l'afterparty - ma niente di selvaggio. Tutti bevevano e parlavano, e forse lo chef era la persona più ubriaca lì dentro. Era diventato molto esplicito e appiccicaticcio e non gli interessava affatto parlare di cibo. Anche se continuavo a dirgli no, sembrava proprio non recepire il messaggio.
Allora me ne sono andata e ho messo il pigiama. Non un pigiama sexy - pantaloni di ciniglia con delle confezioni di caramelle stampate sopra e una maglia a maniche lunghe. Il messaggio era chiaro: scordatelo. Quando sono tornata abbiamo cercato di capire dove ordinare della pizza, ma poi lo chef si è seduto accanto a me e mi ha messo una mano sulla gamba. Ha cercato di baciarmi un paio di volte, io ho detto no e l'ho spinto via.
A questo punto devo anche aggiungere che vedevo il suo telefono continuare a illuminarsi: una foto di donna continuava a comparire insieme al nome della persona che lo chiamava. Lo sapevo, era fidanzato. Chi altro l'avrebbe chiamato a notte fonda? E nondimeno lui continuava a chiedermi di andare in camera con lui, e perché non volevo baciarlo. Con il suo comportamento diceva, "Sono una rockstar della cucina, perché non vuoi scoparmi?" Non gli importava chi ero. Voleva solo qualcuno da scopare.
Alla fine, mi sono alzata e ho raggiunto il cortile, dove c'erano altre persone. Lui se n'è andato. A quel punto della mia vita, mi sembrava che avrebbe dovuto rispettarmi e considerarmi una collega, non solo una chef donna, o una conquista. Ma chiaramente mi sbagliavo, perché anche se nelle cucine ci stiamo muovendo nella direzione della parità dei sessi, non siamo ancora considerate minimamente alla pari. Siamo noi le prime a sentirci diverse, e non otteniamo altro che un trattamento iniquo.
Se fossi stata uno chef uomo, avremmo potuto bere una cosa, chiacchierare, e condividere le nostre esperienze. Probabilmente non mi avrebbe messo la mano sulla gamba. Ma non importa che io sia una collega e una sua pari. Era ubriaco e voleva fare sesso con qualcuno e quindi, così, giusto perché sono una donna, quel qualcuno sono diventata io. Se lo raccontassi ad altri chef uomini, non mi crederebbero, o forse minimizzerebbero perché era ubriaco. "Perché stai facendo tutte queste scene? Non ha fatto niente di così grave - ti ha solo toccato la gamba e ha cercato di baciarti." È quello che succede alle donne che parlano di molestie. "Sì ma lei cosa ha fatto per provocarlo? Flirtava? Se l'è cercata? Poteva dire di no."
Be', alla fine puoi dire no tutte le volte che vuoi, ma a volte il concetto proprio non passa. Ho detto no mille volte. Avevo un pigiama a maniche lunghe, cazzo. E cose simili continuano a succedere, sempre, non vedo segni di miglioramento. Questo chef probabilmente non si ricorda nemmeno di me - non ha la minima idea di chi io sia - ma io non me lo dimenticherò mai.
Prima questi chef maschilisti capiranno quanto ostracizzante e svilente è trattare così le colleghe donne, meglio staremo tutti.


Caldarroste

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Le caldarroste sono le castagne arrostite sul fuoco. Le caldarroste, e la loro vendita ambulante, sono diffuse in tutto l'areale mediterraneo della pianta di castagno, dal Portogallo alla Turchia.
Dopo la raccolta, le castagne vanno fatte asciugare per qualche giorno. Poi vanno "castrate", ovvero va fatta una piccola incisione longitudinale sul lato convesso di ogni castagna. Questi due procedimenti, hanno lo scopo di impedire a quest'ultima che esploda una volta sottoposte al calore. Preparato un bel fuoco vivo, si adagiano le castagne castrate su una padella, detta padella da castagne. Questa è bucata sul fondo e dotata di un lungo manico. Sono peraltro disponibili sul mercato apparecchi, idonei all'uso domestico, dotati di un cestello girevole, azionato da un motorino elettrico, che garantiscono una cottura ottimale delle castagne, senza rischi di bruciature.
A questo punto inizia la cottura, sostenendo la padella sopra il fuoco e girando le castagne regolarmente per impedire che brucino. Si possono irrorare di vino rosso a 2/3 di cottura per insaporirle ulteriormente. Generalmente dopo 20-30 minuti, a seconda del fuoco (ma anche fino a 10 minuti se la cottura è fatta su fuoco vivo) e della dimensione delle castagne, le caldarroste sono pronte e non resta che sbucciarle e mangiarle. Talvolta, onde evitare una carbonizzazione eccessiva sia del tegumento sia del seme edibile vero e proprio durante la cottura, e lo sviluppo di un certo aroma acre/pungente, è preferibile toglierle dalla apposita padella lievemente "al dente" e porle a riposo per almeno 5 minuti in un recipiente isolante (coccio, plastica), ben avvolte e coperte da stracci o strofinacci, in modo che si completi la cottura grazie al calore residuo immagazzinato. È comunque consigliabile effettuare la cottura più intensa e breve possibile (meglio la stufa o un bruciatore del gas di cucina), in primis perché carbonizzandosi i vari strati tegumentali esterni se ne favorisce la rimozione (che può essere molto ostica in caso contrario), secondariamente perché una cottura accelerata non permette una eccessiva disidratazione della parte interna del seme, sicché la caldarrosta si mantiene tonica e croccante. Viceversa una cottura dolce e prolungata tende a favorire la perdita di vapore, ottenendo però castagne molli, vizze o addirittura rinsecchite.
Nelle zone di montagna, quali, in Italia, l'Appennino e le Alpi, ove cresce il castagno, la castagna è stata un alimento primario. La castagna e la caldarrosta sono presenti in numerose sagre in tutta Italia, organizzate tra la fine di ottobre e l'inizio di novembre.
Per mantenerle calde, di solito, le castagne vengono servite nel classico "cartoccio", un involucro di carta.

Nomi dialettali della caldarrosta

  • Pistiddre - Rotonda (PZ)
  • Varola - Montella (AV), Irpinia (AV), Melfi (PZ)
  • Callaròsta - Canepina (VT)
  • Callarosta - Vallerano (VT)
  • Vojola - Soriano nel Cimino(VT)
  • Frugiata - Montagna Pistoiese, Valdilima, Valdinievole, Valle del Vincio di Montagnana (Montagnana Pistoiese), Pistoia
  • Mondina - Garfagnana, Lucchesia, Versilia, Lunigiana
  • Bruciata - Provincia di Firenze e Siena
  • Biröll o Biroeull - Provincia di Como e Provincia di Milano
  • Boröla- Provincia di Bergamo
  • Brusè - Provincia di Parma
  • Mundìne - Val Camonica
  • Rustìa - alcune zone della Provincia di Genova
  • Braschèe o Mundee - a nord del Lago di Como
  • Riggiola - nel nord della Provincia di Cosenza
  • Nserta - nel nord della Provincia di Cosenza
  • Ruselle - nel sud della Provincia di Cosenza
  • Ruseddre o *Rusedde Calabria centro-occidentale
  • Pastiji - alcune zone Provincia di Reggio Calabria
  • Mundaj, mundà- Piemonte
  • Maroni, Marroni - Modena, Bolognese
  • Basturnòn - Appennino piacentino
  • Pistiddèr - Areale del Pollino - zona sud della Basilicata
  • Mondìgoli o Mandìgoli - Alto Vicentino
  • Brüsatè in Piemonte
  • Brostoi in alcuni paesi a sud di Brescia
Le castagne generalmente hanno proprietà toniche, antianemiche, energetiche, ed antisettiche e sono indicate per stitichezza, emorroidi, astenie ed anemia. Inoltre sono ricche di fibra, di potassio (K+) e di vitamine del gruppo B (soprattutto B1 e B6).
Le castagne, essendo semi come i cereali e diversamente da gran parte degli altri frutti, sono ricche di carboidrati complessi. La cottura trasforma parte dell'amido in zuccheri semplici. Da qui deriva il loro sapore tipicamente dolce e la controindicazione d'uso ai diabetici e dei soggetti in sovrappeso. Le caldarroste sono meno digeribili delle castagne bollite o crude, a causa del tipo di cottura, che produce alterazioni dei glucidi e delle proteine (come la reazione di Maillard), alterazioni responsabili tra l'altro del loro aroma tipico.
Quelli che seguono sono i valori nutrizionali mediamente presenti ogni 100 g di castagne arrostite:
  • Parte edibile 82%
  • Acqua 42,4 g
  • Carboidrati 41,8 g
  • Grassi 2,4 g
  • Proteine 3,7 g
  • Fibre 8,3 g
  • Energia 193 kcal (808 kJ)

Coleslaw

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La coleslaw, chiamata in breve semplicemente slaw, è un'insalata di cavolo cappuccio crudo diffusa negli Stati Uniti d'America.
Il nome coleslaw nacque nel diciottesimo secolo come anglicizzazione dell'olandese koolsla, abbreviazione di koolsalade che significa appunto insalata di cavolo.
Vi sono due modi di prepararla che differiscono solamente per il condimento: una versione prevede l'uso della maionese o del latticello, l'altra, più leggera si condisce con aceto e spezie. Il cavolo può essere preparato tagliandolo in pezzi finemente tritati oppure in strisce tagliuzzate o in piccoli pezzi.
Le due preparazioni principali, quella con la maionese o latticello e quella con l'aceto sono spesso entrambe rielaborate aggiungendo panna o panna acida e carote.
Ci sono molte varianti della ricetta base che includono l'aggiunta di altri ingredienti, solitamente altri condimenti quali formaggio grattugiato, maionese, panna, pepe, rafano o altri semi e spezie varie, oppure frutta e verdura come mele, cipolle, ravanelli e peperoni
Negli USA, specialmente se servita nelle catene di ristorazione, la coleslaw spesso contiene surrogati della maionese o del latticello. Altre versioni insieme all'aceto incorporano la senape. Negli USA ne esistono molte varianti regionali. Una variante detta barbecue slaw o red slaw (slaw rossa) si serve nella regione del Piedmont nella Carolina del Nord, è realizzata con ketchup (da cui l nome riferito al colore rosso) e aceto al posto della maionese. Un'altra variante prevede l'aggiunta di semi di sedano.
La coleslaw non è altro che un'insalata di cavolo (cappuccio), per cui con altri nomi e diverse varianti è diffusa in molti paesi. Ogni paese ha un'insalata simile alla coleslaw. A seguire sono riportate alcune varianti.
  • Nel Regno Unito, l'insalata di cavolo contiene quasi sempre la carota e la cipolla in aggiunta al cavolo. Alcune varianti includono frutta secca come le noci, uva sultanina o uvetta.
  • In Svezia una variante di insalata di cavolo fatta con aceto e olio è spesso servita con la pizza. Altre varianti di coleslaw includono i broccoli crudi triturati finemente al posto del cappuccio.
  • In Germania è in genere preparata con cavolo bianco o rosso e si chiama Krautsalat. Vi sono due versioni: quella fredda (kalter) e quella calda (warmer). Nella prima le verdure sono finemente tagliate o grattugiate. Il tutto è condito con una marinata di aceto e olio e integrato con mele e cipolle. La versione calda è cucinata in brodo e poi condita con olio e aceto. Tipica è l'aggiunta di pancetta e prosciutto.
  • In Serbia l'insalata di cavolo cappuccio è un'insalata tradizionale servita come accompagnamento per molti piatti durante molte feste tradizionali del paese e in occasione delle cene di Natale e pranzi di Pasqua. Di solito accompagna piatti di carne, quali la porchetta fresca o bistecche. Viene tradizionalmente fatta, tagliando il cavolo fresco a sottili strisce e condita solo con olio, aceto, sale e pepe.
  • In Grecia viene servita insalata di cavolo come accompagnamento a molti piatti. Nel prepararla il cavolo viene tritato e scottato. Viene fatta colare l'acqua residua e poi è mescolato con olio d'oliva, aceto, succo di limone, sale, pepe e altre spezie. Anche in questo caso vi sono varianti che includono carote a la julienne e cipolle.
  • In Libano il Malfuf è una insalata di cavolo con una salsa di olio d'oliva, succo di limone e aglio, con l'aggiunta di spezie tipiche come il cumino e la menta.
L'italiana insalata capricciosa con o senza l'aggiunta di prosciutto cotto può essere anch'essa considerata una coleslaw modificata (o viceversa).
La coleslaw viene generalmente consumata come contorno con alimenti come il pollo fritto e carni alla brace, e può essere accompagnata da un ulteriore contorno (nello stesso piatto) come le patate fritte o l'insalata di patate. Negli Stati Uniti viene usato come contorno classico dei piatti a base di pesce fritto anche nelle catene di ristorazione come Long John Silver's o Popeyes Louisiana Kitchen. Molto spesso la coleslaw è anche usata come farcia di panini, anche quelli scaldati sul barbecue o sulla piastra. I panini a base di coleslaw sono in genere imbottiti con hamburger, pesce fritto e hot dog, conditi con senape e peperoncino piccante.

Le cose più assurde che la gente ruba nei locali

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A tutti è capitato di svegliarsi in hangover in possesso di strani oggetti, ma i protagonisti di queste storie si sono spinti oltre
Qualche tempo fa, dal bar di un hotel è stato rubato un dito mummificato, a dimostrazione del fatto che non ci sono limiti alla fantasia quando si tratta di furti a conclusione di una cena o di una serata fuori. La cleptomania è un effetto collaterale dell'alcol, ed è forse per questo che almeno una volta ti sarà capitato di svegliarti confuso con uno strano oggetto in borsa, nel letto, o anche in testa - o per lo meno un oggetto di cui la notte prima non eri in possesso.
Spesso - si spera - i furti avvengono quando una persona è talmente ubriaca da non ricordare poi niente, ma alcuni si spingono oltre e rubano intenzionalmente. Abbiamo chiesto ad alcuni ladri particolarmente innovativi di raccontarci le loro esperienze.

David and Tim*
Tim: La maggior parte dell'oggettistica del nostro appartamento è fatta di oggetti rubati, perché vogliamo ricordarci sempre le nostre serate più divertenti. Tutti gli oggetti hanno una storia.
David: Per esempio, questo ventaglio è stato rubato allo Studio K a un evento per il capodanno cinese. Lo abbiamo staccato dal muro quando nessuno guardava, e nascosto in un angolo. Quando completamente aperto è enorme, ma anche da chiuso è alto come un'asta. Per portarlo fuori l'ho infilato nei pantaloni, dai piedi mi arrivava all'ombelico, e mi sono trascinato fuori con una gamba rigida. Ho anche salutato il buttafuori, che non si è accorto di niente.
Tim: È incredibile quante cose hanno bypassato gli occhi dei buttafuori. Una volta abbiamo avvolto i cappotti attorno a una sedia, e siamo usciti. Scoppiavamo d'adrenalina - spesso i buttafuori non si aspettano che vengano rubate cose così grandi, quindi ci fanno meno attenzione. Non siamo mai stati beccati!
David: Abbiamo anche rubato l'armadietto numero 383 da una discoteca di Amsterdam, era attaccato in un modo molto facile da smontare. Avevamo dietro gli zaini da campeggio, perciò non è stato difficile.
Tim: Siamo sempre più ambiziosi. È una specie di gara. Ma la domanda rimane: qual è il limite? Per quanto riguarda l'armadietto, siamo al limite dell'illegale. A volte ci sentiamo in colpa.
David: L'idea adesso è di rubare cose più funzionali. Piatti, posate, insomma cose che ci servono davvero.

Tapulanga
Io e la mia coinquilina una volta eravamo a una festa in un locale. Eravamo ubriache. Mentre ballavamo, ho notato una strobo da discoteca. Ne ho sempre voluta una, e quella era l'occasione perfetta per realizzare il mio sogno. Quando abbiamo recuperato i cappotti, ho nascosto la palla dentro al mio e sono uscita. È stato tutto molto veloce, perché la strobo stava proprio vicino all'uscita.
Subito dopo siamo andate da McDonald's, anche se avevamo paura di destare sospetti. Per fortuna c'erano due operai per strada che aggiustavano le rotaie del tram, quindi ho affidato loro la strobo in cambio di due bicchieri di coca cola. Credo avessero capito che c'era qualcosa di strano, ma non gliene fregava niente.

Laurens
Qualche anno fa, io e il mio coinquilino avevamo stabilito una regola secondo cui all'albero di Natale si potevano appendere solo decorazioni rubate - per divertimento, ma anche perché in questo modo dietro ogni oggetto ci sarebbe stata una storia. Abbiamo rubato nei pub, nei ristoranti e nei mercatini. Alla fine avevamo una bella collezione.
Una volta è capitato anche che mi sono svegliato a Terschelling (un'isola dei Paesi Bassi) con in tenda con un didgeridoo. Non so come sia successo. Mi ricordo solo che l'ho visto appeso al muro di un pub buono ed economico la sera prima. Mi sono sentito veramente in colpa perché il proprietario era molto gentile. L'isola è piccola, probabilmente tutti sapevano cos'avevo fatto quella notte. Ho abbandonato il didgeridoo in campeggio.

Jolien and Maxine
Maxine: Io e la mia coinqulina facevamo a gara a rubare più rotoli di carta igienica. È andata avanti per circa un anno e mezzo. Per entrambe era la prima esperienza a vivere da sole, e avevamo pochi soldi, quindi ci è venuto naturale chiederci perché avremmo dovuto spenderli per la carta igienica.
Jolen: La rubavamo dai bar, dai ristoranti e dai bagni dell'università - per dirne solo alcuni. Sapevamo quali bar avevano i rotoli più grandi e all'università alle volte trovavamo pacchi interi di carta igienica. Bingo.
Maxine: La competizione era serrata. Continuavamo a pensare a rubare la carta igienica, qualsiasi cosa stessimo facendo. Avevamo anche delle borse di plastica nello zaino, in caso ci fosse capitato un rotolone.
Jolen: Tutti i mesi decretavamo la vincitrice e scrivevamo il suo nome su una lavagna speciale.
Maxine: Abbiamo creato uno spazio apposito in un grande armadio. In tempo zero era pieno—un successo. Non abbiamo comprato carta igienica per tre anni!

Nele
Quando ero una studentessa non avevo molti soldi, e quando ero ubriaca diventavo una teppistella. Spesso - molto spesso - rubavo le cose di cui avevo bisogno. Dal Chicago Social Club ho rubato dieci bicchieri grandi, quattro più piccoli e qualcuno con una bella base di cristallo. Al Wastergasfabriek [un centro culturale di Amsterdam] avevano bicchieri per il gin tonic molto costosi: ne ho rubati quattro. L'obiettivo era quello di mettere insieme un bel set di bicchieri di lusso. Li mettevo velocemente in borsa, correvo al bagno e li avvolgevo nella carta igienica perché non si rompessero. I miei ospiti mi fanno sempre i complimenti per i bicchieri.
Una volta ho rubato anche un cestino da una discoteca. L'ho visto lì e ho pensato, "Mi serve." L'ho messo nella borsa e sono uscita. In più, a casa vecchia avevo anche un tappeto rubato. La mia coinquilina l'aveva semplicemente trovato sotto il tavolo in un locale, arrotolato e portato via.
*Alcuni nomi sono stati cambiati.


Braciola di capra

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La braciola di capra è un involtino di carne di capra, tipicamente spalla o coscia, ripieno di erbe aromatiche (aglio, prezzemolo, pepe) e formaggio pecorino stagionato, cotto in umido con pomodori pelati e olio extravergine di oliva. Il sugo che si ricava dalla cottura è utilizzato anche come condimento della pasta nei primi piatti: tradizionalmente si utilizzano gli ziti o zitoni.
È un piatto tipico della cucina tradizionale della valle del Sarno. La regione Campania ha ottenuto dal Ministero il riconoscimento per la Braciola di Capra di Siano di prodotto tradizionale.



Perché in questo ristorante 3 stelle Michelin si lavora solo 3 giorni a settimana

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Mentre gli altri ristoranti stellati hanno turni di 15 ore, Maaemo dà ai suoi chef quattro giorni liberi.
Quando gli chef di Maaemo - l'head chef Jordan Bailey, l'R&D chef Rob Drennan e lo chef de partie Tom Downes - hanno deciso di includere nel menù un nuovo dessert, un sorbetto con il latte intero di una sola mucca, hanno organizzato una gara. Si sono recati a Grøndalen Gårdsmejeri, e hanno diviso le mucche in gironi da quattro. Le hanno munte una a una. Quelle con il latte migliore, passavano al turno successivo. Alla fine di un processo di selezione molto scrupoloso, Bailey, Drennan e Downes hanno dichiarato la vincitrice: Isrosa, una mucca di due anni. E ne hanno comprato tutto il latte anche futuro, così che i clienti di Maaemo fossero gli unici al mondo - oltre i suoi vitelli - ad assaggiarlo.
La filosofia del ristorante, di ricercare i prodotti migliori per ogni piatto, ha un ruolo fondamentale nella fama che lo chef e proprietario Esben Holmboe Band ha in tutt'Europa. Ma in un momento storico in cui i ristoranti si auto-producono anche le sementi, il fatto che gli chef di Maaeme si affidino solo alle risorse migliori non è così caratteristico. Il fattore straordinario - nonché rivoluzionario - è che hanno il tempo di farlo.
Le difficili condizioni lavorative che vigono nell'industria della ristorazione non sono un segreto per chiunque abbia mai aperto un libro di Bourdain o guardato un episodio di Hell's Kitchen. Stage non pagati, stress emotivo e fisico, e una cultura intrisa di rabbia e machismo sono solo alcuni motivi che rendono così duro il lavoro di chef. Ma per molte persone che lavorano ai fornelli, l'aspetto più estenuante sono gli orari. Quindici ore al giorno, 85 ore a settimana: la norma, in molti dei ristoranti più famosi.
Molti giustificano questi turni con motivazioni economiche: hanno bisogno che lo staff faccia turni lunghissimi se vogliono sopravvivere in un business in cui i margini di profitto sono notoriamente sottili. Le lunghe giornate di lavoro sono parte della cultura dell'industria. Molti chef le onorano perché così è sempre stato, e la disponibilità a donare il proprio tempo (e a saltare compleanni e Natali in famiglia) è un segno di devozione, parte dell'identità collettiva della categoria, come le scottature o le braccia tatuate. Ma le conseguenze sono devastanti: burnout, stanchezza, depressione e un tasso di divorzio più alto che in qualsiasi altra categoria.
Per i primi quattro o cinque anni, Maaemo non era diverso. La domenica o il lunedì erano di libertà, ma il resto dei giorni i turni arrivavano anche fino a 20 ore di lavoro.
"Abbiamo visto le conseguenze del lavoro sulle persone," ricorda Holmboe Band. "Alcuni dovevano lasciare il lavoro perché non ce la facevano. Anche io, personalmente, sentivo di non reggere più—non potevo continuare per sempre a non vedere la mia famiglia, a stare al limite."
È proprio per questo che Holmboe Bang ha deciso di cambiare le cose. Nel settembre del 2016, ha ridotto i giorni lavorativi a Maaemo da cinque a quattro. "I risultati sono stati immediati," dice. "Le persone erano riposate, avevano più energia, quando entravano nel ristorante a inizio settimana avevano un atteggiamento da 'è qua che voglio essere oggi'".
A quel punto, ha fatto una cosa ancora più controcorrente. L'impatto di quella riduzione era così evidente, che ha deciso di andare oltre: ha ridotto gli orari lavorativi del suo staff a tre giorni a settimana. Tutti - in sala e in cucina - avrebbero continuato a lavorare 45 ore a settimana, ma sempre con quattro giorni liberi di fila. Una volta al mese i giorni liberi erano cinque di fila, abbastanza per visitare parenti lontani, o per viaggiare.
E questo, dice il caposala Benjamin Ausland, ha cambiato tutto. "Prima c'era sempre tensione. Le persone diventavano intolleranti, si rispondevano male. Mi arrabbiavo con i camerieri perché non sorridevano abbastanza," ricorda. "Ma adesso siamo diventati persone normali. Ci ha dato energia."
Con i nuovi orari veniva cancellato il servizio a cena del giovedì, ma aggiunto il pranzo del venerdì, così Maaemo ha dovuto assumere più personale. Dovevano anche gestire il tempo in modo più intelligente. "Se una persona lavora sia a pranzo che a cena, ha bisogno di una pausa in mezzo," dice Ausland. "Quindi invece di far pulire le posate a tutti per due ore tra i turni, ne abbiamo comprato un altro set."
Assumere più personale e comprare più posate ha un prezzo, e Bang ammette senza problemi che queste spese hanno influito sul profitto del ristorante. "Se fossimo andati avanti come prima, saremmo stati pieni di soldi," dice. "Ma mi accontento di andarci in pari. È una questione di cosa sacrificare - a cosa sei disposto a rinunciare? Noi abbiamo rinunciato al profitto."
Ovviamente non tutti i ristoranti possono o vogliono fare lo stesso. Homboe è cosciente dei privilegi - tre stelle Michelin e il fatto di trovarsi in un paese benestante con un forte sistema di welfare sociale - di cui gode Maaemo. E questa scelta non nasce dal voler rappresentare un modello per gli altri. "Tutti i ristoranti sono diversi, è una cosa molto personale," dice. "Da chef, passi la vita a cerca di essere unico. Quindi non credo che possiamo trovare una formula e applicarla a tutti."
Ma crede anche che valga la pena mettere in discussione alcuni concetti della ristorazione che consideriamo dogmi. "Quest'idea secondo cui dovremmo sempre dire 'Voglio lavorare 18 ore di fila al giorno, vivo di adrenalina' - non è solo una scusa? Una cazzata? Non vedo perché non puoi unire l'essere una persona zelante ed entusiasta del lavoro all'avere una vita. Non dovresti aver bisogno di essere sadico o masochista per aver successo."
Di certo i risultati di Maaemo smentiscono la filosofia del masochismo. Non soltanto il personale del ristorante è più contento - nessuno si è mai licenziato da quando l'orario è stato ridotto - ma è anche più innovativo. "Dio, siamo molto più creativi," dice Bang. "C'è un surplus di energie. Si vede in tutte le cose che stiamo creando, in tutti questi nuovi piatti."
Uno a caso: il sorbetto di latte di Isrosa.
Per l'R&D Chef Drennan, i nuovi orari sono stati stimolanti. "Ero abituato a lavorare sempre, quindi all'inizio è stato spiazzante—vuoi dire che posso lavorare in un ristorante tre stelle e avere una vita? Ma credo che tutti stiamo usando parte del tempo libero per essere più bravi nel nostro lavoro. Ci ha permesso di conoscere più a fondo la cucina norvegese."
Holboe Bang considera ancora questo cambiamento come una specie di esperimento, e anche se gli farebbe piacere se altri ristoranti seguissero il suo esempio, crede che a volte basti una sola persona a far scattare il cambiamento. "Non so se funzionerà, magari tra un anno scopriremo di esserci impigriti. Ma per adesso voglio provare. E se funziona, perché tornare a sentirci miserabili?" dice. "Perché non essere felici?"


 
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