Antipasti

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Gli antipasti per loro caratteristica debbono essere necessariamente cibi che riescano ad amplificare la sensazione di appetito senza entrare in conflitto con i piatti solitamente considerati principali che li seguiranno sulla tavola.
La premessa risulta fondamentale per chi vuole attuare un utilizzo corretto dell'antipasto, di fatto prima di procedere alla conoscenza degli antipasti si dovrà necessariamente attuare una lezione conoscitiva delle combinazione che gli antipasti devono avere con i cibi che li seguiranno.
Per semplificare l'introduzione nella tematica delle combinazioni antipasto/primo piatto teniamo presente che i gusti percepiti dal palato mentre mangiamo si possono suddividere in 5 gruppi principali: dolce, acre, salato, amaro e piccante, a loro volta le cinque sensazioni gustative principali possono combinarsi tra loro e dar origine a sottocategorie di gusto che possono essere infinite ma che nella predominante del retrogusto ciascuna manterà l'appartenenza ad uno dei quattro ceppi prinncipali. Altro elemento da analizzare nella percezione dei gusti del palato sono gli elementi: caldo, freddo. Ultimi elementi che determinano le variazioni del gusto sono la consistenza, la pastosità la liquidità del cibo.
Ora dopo queste premesse possiamo inoltrarci nella pratica creando insieme delle combinazioni esemplificative di antipasti, tenete presente che quando si parla di gusto percepito acre si intende lo spettro di sapori che va tra quello del limone e quello del l'aceto.
Ecco delle accoppiate esemplificative tra antipasti e primi piatti:
  1. Primo piatto di mare (escluse zuppe e minestre), gusto composto da agro-dolce-piccante con predominanza piccante
    • antipasti consigliati: acciughe all'agro, verdure cotte all'agro dolce, antipasto di crostacei all'agro dolce, antipasto di pesce, polipi e seppie all'agro, legumi cotti all'agro, legumi e verdure con salse agro/piccanti, insalate crude con salse piccanti.
  2. Primo piatto di zuppe e minestre a base mare, gusto composto da piccante-salato
    • antipasti consigliati: fritturine miste verdure e pastella, crostini soffritti ed al forno con salse dolci, melanzane, pomodori e zucchine al forno, patate lesse con salsa dolce, calamaretti ripieni a pangrattato e prezzemolo oltre che tutte le polpette fritte di pesce, tutto con predominanza dolce.
Riteniamo sufficienti per ora le esemplificazioni sopra ripotate che indicano la via da seguire per creare ottimi antipasti che abbiano una giusta combinazione con la portata successiva, va da se che per i "primi piatti" salati e corposi, come ad esempio i bucatini all'amatriciana, gli antipasti devono contenere una giusta corposità senza cadere nell'eccesso di piccante, per questo sono adatti per antipasti gli affettati e verdure cotte al forno o legumi con sughi leggeri d'introduzione. Con primi piatti così corposi è bene evitare l'utilizzo di ingredienti di condimento troppo piccanti o agri, mentre sapori che cadono nell'amaro con predominanza salato sono un'ottima combinazione.

Frittata di scammaro

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La frittata di scammaro è un piatto povero della cucina campana, consistente in pasta semi-cotta in acqua bollente e successivamente fritta in padella con olio insaporito con olive, uvetta, pinoli, erbe e pesce conservato (acciughe).
La definizione deriva dai "giorni di scammaro" che nel Regno delle Due Sicilie identificavano i giorni della quaresima e tutti gli altri giorni dell'anno nei quali, per precetto religioso, era obbligatorio mangiare di magro.


Frittata con gli zoccoli

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La frittata con gli zoccoli è un piatto della tradizione contadina toscana.
Nato per la necessità di riciclare gli avanzi, la frittata con gli zoccoli altro non è che una frittata alta, arricchita da cubetti di pancetta.
Le famiglie contadine utilizzavano ciò che avevano a disposizione per preparare il pranzo, ovvero, uova fresche ed avanzi del giorno prima, non era raro infatti, trovare questa frittata diversa ogni giorno, arricchita con pancetta, come richiede la tradizione, o con pezzetti di carne o salumi avanzati.



Cucina italiana

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La Scienza in Cucina e l'Arte di Mangiar Bene di Pellegrino Artusi fu la prima opera letteraria sulla cucina dell'Italia Unita.  



La cucina italiana si è sviluppata attraverso secoli di cambiamenti politici e sociali, con radici che risalgono al IV secolo a.C. La cucina italiana stessa è stata influenzata dalla cucina dell'antica Grecia, dell'antica Roma, bizantina, ebraica e araba e normanna. Importanti mutamenti si ebbero con la scoperta del Nuovo Mondo e l'introduzione di nuovi ingredienti come patate, pomodori, peperoni e il mais, ora fondamentali nella cucina ma introdotti in quantità solo nel XVIII secolo. La cucina italiana è conosciuta per la propria diversità a livello regionale, abbondanza nel gusto e nei condimenti, è inoltre ritenuta la più famosa nel mondo, con influenze a livello internazionale, tanto che l'emittente televisiva statunitense CNN la colloca al primo posto tra le cucine più apprezzate a livello globale.
La caratteristica principale della cucina italiana è la sua estrema semplicità, con molti piatti composti da 4 fino ad 8 ingredienti. I cuochi Italiani fanno affidamento sulla qualità degli ingredienti piuttosto che sulla complessità di preparazione. I piatti e le ricette, spesso, sono stati creati dalle nonne più che dagli chef, ed è per questo che molte ricette sono adatte alla cucina casalinga. Molti piatti che una volta erano conosciuti solo nelle regioni di provenienza, si sono diffusi in tutta la nazione. Il formaggio ed il vino costituiscono una parte importante della cucina, con molte variazioni e una tutela legale specifica, la Denominazione di origine controllata (DOC). Anche il caffè, specialmente l'espresso, è divenuto importante nella cucina italiana.


I pasti principali

Nella cucina italiana i pasti principali sono:

La colazione

La colazione è solitamente dolce con del latte caldo o freddo o del succo di frutta accompagnati da prodotti da forno come biscotti o pane con marmellata o crema di nocciole. Il caffè predomina con le varianti del cappuccino, del caffellatte, o del famoso caffè espresso. In alcune occasioni speciali come la domenica o le festività possono essere presenti anche prodotti di pasticceria.

Il pranzo

Tradizionalmente il pranzo è il pasto più importante della giornata ed è, se completo, composto da tre o quattro portate;
  • Un antipasto, in genere composto da crostini, salumi, formaggi, verdure.
  • Un primo piatto in genere un piatto di pasta o riso o una minestra.
  • Un secondo piatto di carne o pesce o formaggi o prosciutto accompagnato da un contorno di verdure.
  • Del dolce o della frutta per chiudere.
Oggi questo pranzo completo è utilizzato prevalentemente nei giorni festivi mentre per gli altri giorni si ricorre in genere a una sola portata o a un piatto unico.

La cena

Lo schema della cena ricalca quello del pranzo, con più o meno le stesse portate. Al giorno d'oggi, a differenza del pranzo, la cena rimane ancora, assieme alla colazione, un pasto consumato solitamente in compagnia perciò può presentare più pietanze del pranzo. Tutto ciò può variare a seconda delle tradizioni e dello sviluppo da regione a regione.



Gli spuntini

Detti anche merenda, non sono pasti principali ma sono importanti per placare la fame di metà mattina e pomeriggio, lontano dal pranzo e dalla cena. Sono solitamente leggeri e composti da frutta, pane e marmellata e d'estate anche del gelato.


La cucina italiana all'estero

È una delle cucine che viene offerta di più dai ristoranti del mondo, anche se spesso gli italiani non sono soddisfatti di come i ristoranti preparino i piatti italiani all'estero. Se uno dei motivi è la difficoltà di trovare prodotti tipici del Mediterraneo (o il loro alto costo in paesi in cui tali prodotti devono essere importati), un altro motivo è paradossalmente proprio la semplicità.
Spesso all'estero (soprattutto nei paesi anglosassoni) si pensa che un piatto buono debba essere ricco di ingredienti, e non si resiste alla tentazione di aggiungerne per rendere i piatti più complessi, oppure per non dare l'impressione di un piatto preparato con noncuranza agli occhi dei clienti (nel caso di un ristorante). Anche la distinzione tutta italiana tra "primo" e "secondo" piatto non aiuta allo scopo, soprattutto in questi paesi dove l'abitudine ad un piatto unico è ben radicata.
Così i primi di pasta molto semplici vengono evitati o presentati in modo più "ricco", aggiungendo ingredienti. Ad esempio la pizza Margherita viene raramente acquistata se confrontata con le altre pizze più invitanti del menù, quindi si aggiunge qualche ingrediente, anche se leggero; senza considerare le salsine (ad esempio la salsa d'aglio) che vengono date insieme alla pizza (pratica, questa, del tutto assente nella cucina italiana). Proprio l'aglio è spesso spacciato come ingrediente tipico della cucina italiana (creme all'aglio, pane all'aglio etc.) laddove la cucina di nessuna regione italiana ne fa un uso così intenso come apparentemente emerge dai ristoranti all'estero.
Un'altra caratteristica della cultura e cucina italiana è quella di non considerare su due livelli diversi la carne e i vegetali, ma tutti sono ingredienti della stessa importanza da abbinare con serenità. In molti paesi la carne è più importante e quindi un pasto senza carne è considerato povero, per cui è più difficile trovare i tipi di pasta senza carne anche a costo di aggiungere carne di pollo, quasi mai usata per un primo in Italia.


Canestrato

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In basso forme di canestrato al pepe sovrastate da forme di provola appese a stagionare



Il Canestrato, o in siciliano Canistratu e più raramente Tumazzu o Picurinu, è un formaggio a pasta dura di latte vaccino misto a latte pecorino o anche caprino prodotto in tutta la Sicilia, dove assume anche nomi diversi legati a produzioni specifiche o locali d'eccellenza come ad esempio canestrato vacchino o canestrato dei Nebrodi.
Il Canestrato rientra nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali (PAT) stilato dal Ministero delle Politiche agricole e forestali (Mipaaf).
In Italia il termine canestrato si riferisce anche a diversi altri formaggi che nell'ambito della loro produzione prevedono l'uso di un canestro di giunco come ad esempio il canestrato pugliese o il canestrato di Moliterno.


Storia

Citazioni del canestrato si trovano in alcuni contratti di gabella siciliani risalenti al 1400. Troviamo testimonianza del 1407 nel calmiere dei latticini dove è citato come tumazza e in un calmiere del 1412 citato come cacio vacchino. Un ulteriore riscontro si ha in una citazione nella dieta del 1562 delle monache del monastero di San Castrenze a Monreale (Palermo). La particolarità della mistura di latte del canestrato si fa risalire alla necessità dei mandriani di bovini di utilizzare il latte in eccesso delle pecore al seguito della mandria durante il periodo primaverile.


Nome

Il termine canestrato fa riferimento ai canestri di giunco utilizzati per produrre e conservare il formaggio. Vengono però localmente utilizzati anche altri nomi, come tumazzu o primosale, che fanno riferimento al grado di stagionatura.


Caratteristiche

Forma

Il canestrato ha una forma cilindrica con facce piane e talvolta concave, derivata dal canestro in cui viene prodotto. La crosta esterna è di colore bianco-giallognolo e su di essa sono evidenti i solchi lasciati dai giunchi che formano il canestro. Il canestrato è prodotto in forme che pesano tra i 4 ed i 14 chilogrammi. L'altezza dello scalzo varia dagli 8 ai 45 centimetri.



Caratteristiche organolettiche

Il sapore e il colore della pasta dipendono dalla stagionatura del canestrato. Il Canestrato fresco è molto morbido e ha un gusto dolce con un colore molto chiaro tendente al giallo paglierino. Il Canestrato stagionato ha invece un sapore piccante e un profumo pungente, si presenta con una pasta più dura e compatta dal colore giallo più scuro tendente al marroncino.



Produzione

Lavorazione

Si usa latte di vacca misto a latte intero crudo di pecora e (o in alternativa) di capra; microflora naturale e caglio in pasta di agnello o capretto. Il latte viene fatto coagulare in una tina di legno alla temperatura di 35° con caglio in pasta. La cagliata viene poi rotta e spurgata con le mani dopo essere stata adagiata sulle fascere, o in siciliano fascedde, nient'altro che i tradizionali canestri di giunco che danno al canestrato la sua tipica forma lasciando i solchi sui lati del formaggio.
Nella seconda fase la cagliata viene cotta con la scotta calda a 80°. Le forme sono poi sistemate sul tavoliere di legno per la fase fase di spurgo e di acidificazione cui seguirà la salatura.

Salatura e stagionatura

Le forme destinate al consumo immediato, dopo la fase di spurgo e di acidificazione, non vengono salate. Queste forme sono chiamate tuma. Le forme da stagionare, invece, sono salate a secco per dieci giorni consecutivi e poi di nuovo, una volta alla settimana, per i successivi mesi necessari alla stagionatura. Il Canestrato ha tre tipi di stagionatura: da 8 a 10 giorni per il primosale, da 2 a 4 mesi per il secondosale (o semistagionato) e oltre i 4 mesi per lo stagionato. Il canestrato può prevedere o meno l'aggiunta di pepe nero in grani o peperoncino. La stagionatura avviene su ripiani di legno in locali freschi e ventilati. Talvolta avviene in cantine e grotte naturali con pareti geologicamente naturali.


Pane di Matera

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Il pane di Matera è il pane ottenuto mediante un antico sistema di lavorazione, tipicamente utilizzato dai panificatori della provincia di Matera. Tale sistema prevede l'utilizzo esclusivo di semola di grano duro.

Storia

Il pane di Matera, con il suo sistema di lavorazione, ha una lunghissima tradizione risalente al Regno di Napoli ed anche oltre, come confermato da numerose ed autorevoli fonti storiche. È da sempre alimento tipico del territorio materano, tradizionale zona di coltivazione di cereali, come risulta anche da diverse testimonianze artistiche e letterarie che attestano l'importanza ed il culto del pane nella vita e nell'economia di tutto il territorio. Particolarmente suggestivo il rito dei tre tagli impressi con il coltello all'impasto, che rappresentavano la Santissima Trinità; gesto di profonda devozione con cui le famiglie ringraziavano Dio per la possibilità di usufruire di questo bene primario.


Zona di produzione

La zona di produzione del pane di Matera è costituita da tutto il territorio della provincia di Matera; tuttavia il tipico pane a forma di cornetto è prodotto principalmente nel comune di Matera stessa e nei paesi dell'alta provincia materana (Montescaglioso, Irsina, Tricarico, Grassano, Grottole). Nei paesi della bassa provincia materana come Montalbano Jonico, Tursi, Pisticci si produce il pane di forma rotonda, leggermente diverso in termini di sapore e consistenza rispetto al tipico pane materano.


Caratteristiche del prodotto

Il pane di Matera deve avere le seguenti caratteristiche:
  • Forma a cornetto oppure a pane alto;
  • Pezzatura da 1 o 2 kg;
  • Spessore della crosta di almeno 3 mm;
  • Mollica di colore giallo paglierino con caratteristica alveolazione;
  • Umidità non superiore al 33%.
La scelta di vecchie varietà di grano, che conservano, nel loro patrimonio genetico, caratteristiche non presenti in altre, dà luogo a farine che trasferiscono al pane il gusto ed il sapore unico che lo contraddistinguono. Si aggiungano il processo di lavorazione e, nello specifico, la realizzazione del lievito madre, che, prodotto con frutta fresca, aggiunge ulteriori e particolari sensazioni di gusto.


Produzione

Il prodotto si ottiene mediante l'antico processo di produzione che prevede l'utilizzo di lievito madre, semola di grano duro, sale e acqua. Parte delle semole da utilizzare per la produzione deve provenire da vecchie varietà coltivate nel territorio della provincia di Matera quali Cappelli, Duro Lucano, Capeiti, Appulo. Può essere cotto sia nel forno a legna che nel forno a gas. Il prodotto ottenuto, grazie agli ingredienti utilizzati ed alla specificità del processo di lavorazione, si caratterizza per un colore giallo, una porosità tipica e molto difforme (con pori, all'interno del pane, del diametro variabile da 2–3 mm. fino anche a 60 mm), un sapore ed un odore estremamente caratteristici. La conservabilità del pane, così ottenuto, può raggiungere i 7 giorni di tempo per le pezzatura da 1 kg ed i 9 giorni per la pezzatura da 2 kg




Pane di Altamura

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Forno a legna (Altamura).jpg


Il pane di Altamura è un prodotto di panetteria tradizionale di Altamura, nella città metropolitana di Bari.
È ottenuto dall'impiego di semole (molto ricca di glutine) rimacinate di varietà di grano duro coltivato nei territori dei comuni della Murgia.
Nel luglio 2003, a livello europeo, al pane di Altamura è stato riconosciuto il marchio denominazione di origine protetta (DOP).


Storia

Caratteristiche

Cotto nei tradizionali forni a legno e in pietra, il pane di Altamura si distingue per la sua fragranza, il suo sapore ed il suo aroma. Ha una crosta molto croccante e una mollica soffice di colore giallo paglierino. Si presenta sotto due forme tradizionali; la prima denominata localmente «U sckuanéte» (pane accavallato), è alta, accavallata, l'altra più bassa, localmente denominata «a cappidde del padre de simone» (a cappello di prete).


Zona geografica

L'area geografica delimitata dove sono coltivati i grani comprende i territori dei Comuni di Altamura, Gravina di Puglia, Poggiorsini (Spinazzola e Minervino Murge nella provincia di Barletta-Andria-Trani). La zona di produzione del pane di Altamura comprende soltanto il territorio amministrativo del Comune di Altamura, nella città metropolitana di Bari.


Fasi di produzione

«Pane di Altamura» è un prodotto di panetteria ottenuto dal rimacinato di semola di grano duro, ricavato dalla macinazione di grani duri delle varietà «appulo», «arcangelo», «duilio» e «simeto» prodotte nel territorio delimitato dal disciplinare di produzione, da sole o congiuntamente in ragione almeno dell'80%, purché prodotte nel medesimo territorio. Il prodotto si ottiene secondo l'antico sistema di lavorazione che prevede l'uso di lievito madre o pasta acida — sale marino — acqua.
All'atto dell'immissione al consumo deve presentare le seguenti caratteristiche: la pagnotta dal caratteristico profumo di peso non inferiore a 0,5 kg, la crosta deve possedere uno spessore non inferiore a 3 mm.; la mollica, di colore giallo paglierino, presenta una omogenea alveolazione; l'umidità non deve superare il 33 %.


 
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