Che sapore ha il coccodrillo?

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Come qualcuno che ha effettivamente assaggiato il coccodrillo, posso dirlo con certezza. Prima di tutto, voglio chiarire che sono totalmente contrario al consumo di qualsiasi specie con una popolazione in diminuzione e / o uno stato di conservazione inferiore a Least Concern. Il coccodrillo è estremamente gommoso e ha il sapore di un incrocio tra pollo e maiale con un piccolo accenno di pesce a seconda di ciò che il coccodrillo aveva mangiato prima della sua morte. Ho sentito che sa di quaglia, anche se non ho provato la quaglia e non ne sono sicuro. Quando dico gommoso, intendo dire che devi davvero masticare forte e ne rimarrà incastrato tra i denti. Credimi, l'alito di coccodrillo fa male. In conclusione, non consiglierei il coccodrillo e dovrebbero rimanere una specie che viene mangiata da animali diversi dall'uomo.




Perché i grandi chef mettono poco cibo nei loro piatti

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La risposta netta è una sola: "mettono poco cibo nei loro piatti perchè si aspettano che tu voglia assaggiare molti piatti del loro menù, e non solo un paio".

Ora, sicuramente viene da pensare male perchè conosco i miei polli, ma qui bisogna essere un po' onesti con sè stessi. Consideriamo una persona media, a cui piace mangiare ma non strafogarsi e che non ha lo stomaco delle dimensioni di un grattacielo. Questa persona va in un ristorante normale e senza pretese: quanto ordina? Presumibilmente un antipasto, un primo o un secondo e magari il dolcino, se ci sta ancora. In un ristorante con dosi normali-generose una persona media non ordina antipasto, primo, secondo e dolce, perchè altrimenti uscirebbe dal locale piena come un uovo e barcollante. Io sono in sovrappeso e sono un bel mangione, ma detto onestamente se in trattoria mangio un bel vitello tonnato come antipasto, un piatto di agnolotti al plin come primo e un bel brasato al nebbiolo con contorno poi non riuscirei a mangiare il dolce neanche sotto tortura, e sono "solo" 3 i piatti che ho mangiato, niente di sovranaturale. Riesco a fare la combo antipasto-primo-secondo-dolce solo se ordino un menù degustazione da 4 portate, semplicemente perchè nel degustazione solitamente le portate sono ridotte, grazie al cielo.

Mio padre ha gestito un ristorante per circa un anno, era un ristorante tipico piemontese con qualche accenno di modernità, niente nouvelle cuisine. Nel suo menù aveva un degustazione di 3 portate a scelta e un menù da 5 portate a scelta, nessuna limitazione. Beh, l'80% dei clienti sceglieva il menù da 3 portate, consapevoli che 5 portate relativamente abbondanti sono impossibili da mangiare nello stesso pasto. Il restante 20% sceglieva il menù da 5 portate, ma posso garantirvi che di loro più della metà alla fine rinunciava alla 5° portata, semplicemente erano più che pieni dopo 4 piatti, e mi sembra più che normale, solo che loro non se ne rendevano conto prima di arrivare a quel punto.

Cosa voglio dirti con questo? Che è naturale che in un ristorante di alta cucina le porzioni siano piccole, e non c'entra proprio niente con il "risparmiare sulla materia prima". Un ristorante di alta cucina propone menù degustazione da 8, 10, 12 portate, e sono QUATTRO volte le portate che riesce a mangiare senza star male un bombo di 85 kg come me, necessariamente queste porzioni devono essere un quarto di una normale.

Ho avuto la fortuna di mangiare in ristoranti con una cucina molto elaborata e studiata. Quando ci vado con mia madre e scegliamo un degustazione da 8 portate posso garantirti che io arrivo decisamente pieno prima di aver mangiato il dolce e mia madre, che pesa 60 e non 80 kg, arriva alla 4–5° portata che già si pente di aver scelto un degustazione, anche se i piatti singolarmente fanno quasi ridere in quanto a porzioni.

Non guardate mai al piatto singolo, ma all'insieme di quelli che mangereste in una cena di quel livello.



Cucina piacentina

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Con l'espressione cucina piacentina s'intende l'insieme dei piatti della tradizione culinaria della provincia italiana di Piacenza. È una gastronomia forte di piatti noti e apprezzati fuori dal territorio, non solo al giorno d'oggi, ma anche nei secoli scorsi. Un tempo si utilizzava infatti l'espressione “roba de Piasensa” per descrivere la prelibatezza di certi piatti, specialmente formaggi e salumi. È inoltre risaputo che nel XVIII secolo il cardinale piacentino Giulio Alberoni, primo ministro di Spagna al servizio di Filippo V, rifornisse la corte di prodotti provenienti dal Piacentino, particolarmente apprezzati dalla regina Elisabetta Farnese.
Pur essendo una cucina fortemente vincolata alla terra come tante della Pianura padana, risulta però molto ricca e variegata, unendo una gastronomia della campagna ad un'altra che caratterizzava le famiglie nobiliari di Piacenza. Inoltre, diverse possono essere le varianti locali di uno stesso piatto. Una sua caratteristica è quella dell'utilizzo di carni equine (cavallo ed asino), essendo sempre stata Piacenza un importante avamposto militare dove erano facilmente reperibili i suddetti animali.
Vista la posizione geografica occupata dalla provincia di Piacenza, lembo occidentale d'Emilia incuneata tra Lombardia e Liguria e per un breve tratto confinante anche con il Piemonte, la tradizione culinaria piacentina è il risultato di varie componenti. Si distinguono quella emiliana del salume e della pasta; quella lombarda del riso (che è anche piemontese), della "büṡéca" o trippa di vitello, dei pesci del Po e della "lüganga" (la salsiccia lombardo-veneta); e quella ligure che fa grande uso della verdura. Vi è poi una base comune in tutto il nord Italia che è quella della polenta, piatto povero per eccellenza, e delle paste ripiene (di cui si fa un gran consumo in Emilia). Come nelle altre cucine del Settentrione, anche in quella piacentina si utilizzano tradizionalmente il burro e lo strutto, al posto degli olii vegetali, per friggere gli alimenti.
Al momento la provincia di Piacenza è l'unica in Italia, oltre che l'unico distretto amministrativo europeo, ad annoverare tre salumi tipici protetti con il marchio D.O.P. (coppa, pancetta e salame piacentini). Inoltre i vini D.O.C. contrassegnati dal marchio Colli piacentini sono ventuno.


Antipasti

Il tradizionale antipasto piacentino è composto da salumi. Oltre ai già citati prodotti D.O.P.
  • coppa piacentina
  • pancetta piacentina
  • salame piacentino
sono diffusi
  • il salame gentile
  • la mariola (mariöla), un salame a grossa pezzatura, tozzo e corto o dalla forma a palla; è presidio di Slow Food.
  • il culatello piacentino, affine a quello D.O.P. parmense di Zibello, viene prodotto nella pianura orientale piacentina
  • la pistä d' gras o gras pist, lardo di maiale pestato o tritato con aglio, prezzemolo e carota
  • i ciccioli o graséi, pezzi di carne e grasso di maiale cotti, salati ed essiccati.
L'abitudine di servire i salumi con riccioli di burro, così come di presentarli insieme a prodotti sott'olio ha origini piuttosto recenti ed è stata introdotta dai ristoratori della zona.
Accompagnano o sostituiscono i salumi
  • la torta di patate, torta salata tipica dell'Appennino piacentino dove è riconosciuta con il marchio De.Co. (Denominazione comunale d'origine) nel comune di Farini; è costituita da una base di pasta sfoglia sulla quale si pone un impasto composto da patate schiacciate, burro, grana, cipolla, sale e, secondo alcune varianti famigliari, spennellata con salsa di pomodoro
  • i funghi sott'olio sull'Appennino
  • gli stric' in carpion, lasche del Po in carpione
  • la bortellina (burtlëina), una sorta di frittella da accompagnare con salumi o formaggi preparata secondo varie ricette:
    • rivergarese, composta da farina, acqua, uova, mela e latte
    • bettolese (burtlena), pagnotta vuota all'interno, il cui impasto è composto esclusivamente da farina, acqua e sale (De.co. a Bettola)
    • della Val Luretta, preparata con l'aggiunta di uova e cipollotto (bavaron)
  • batarö focaccine composte da un misto di farine di grano e mais, da farcire con i salumi, tipiche della Val Tidone e della Val Luretta
  • chisöla, focaccia con i ciccioli tipica della Val Tidone, riconosciuta con la De.Co a Borgonovo Val Tidone
Nella Bassa padana al confine con il Parmense ed il Cremonese è tradizionale la preparazione del chisulén (italianizzato in chisolino), conosciuto come gnocco fritto o torta fritta in altre zone dell'Emilia. È valorizzato con il marchio De.Co dall'amministrazione comunale di Fiorenzuola d'Arda.


Primi piatti

La gastronomia della provincia di Piacenza è particolarmente ricca di primi piatti. Si tratta per lo più di preparazioni di pasta, di riso o di paste ripiene, in linea con la tradizione dell'Emilia e delle regioni confinanti. Tra i più popolari risultano


Pisarei e faśö


  • Pisarei e faśö, primo piatto di gnocchetti e fagioli borlotti lessati. Gli gnocchetti sono di farina, pangrattato e acqua, che può essere sostituita dal latte; il sugo è costituito da passata di pomodoro, fagioli borlotti, lardo o pancetta piacentina per insaporire. Il comune di Piacenza ha attribuito il marchio De.Co. al piatto;
  • anolini (anvëin o anven), pasta all'uovo ripiena di stracotto di manzo, pane grattugiato, Grana Padano e noce moscata, cotti poi nel brodo di carne, tipicamente nel brodo cosiddetto di terza cioè ottenuto da tre differenti carni diverse (cappone o pollo, vitello o manzo e maiale);
  • anolini della Val d'Arda (anven), variante della ricetta precedente, il cui ripieno è costituito da Grana, pangrattato e noce moscata. Sono riconosciuti prodotto De.co. dal comune di Fiorenzuola d'Arda;
  • marubini (marüben), altra variante degli anolini, diffusa nella pianura piacentina nord-orientale e nel Cremonese con ripieno di manzo brasato, arrosto di vitello e maiale, e Grana;



Anolini in brodo
  • tortelli alla piacentina, con ripieno di magro composto da ricotta, spinaci e Grana, hanno ottenuto il marchio De.Co. nel comune di Vigolzone;
  • tortelli di zucca diversamente da quelli di altre province limitrofe, la variante piacentina non prevede mostarda e amaretti nel ripieno;
  • panzerotti alla piacentina cilindretti di pasta, da cuocere al forno, ripieni di ricotta, spinaci e Grana (lo stesso dei tortelli alla piacentina);
  • maccheroni alla bobbiese (macaron cun l'agùcia, macaron cun l'angùcia), pasta forata con un ferro da calza che ricorda un antico piatto del Medioevo, tradizionalmente condita con sugo di stracotto;
  • malfatti, gnocchetti composti da ricotta e bietole e cotti al forno; altro piatto proveniente da Bobbio
  • pinoli (pìn), panetti risultati dall'amalgama di farina, patate, ricotta, erbette o biete, uova, formaggio Grana o parmigiano o formaggio di pecora; conditi con sugo di carne o nella variante moderna con sugo di funghi o di salsa, è una ricetta tipica dell'Alta Val Trebbia;
  • meś mànag dal frà, pasta "mezze maniche" ripiene e cotte in brodo. Il ripieno è lo stesso degli anolini e quindi può essere costituito da stracotto, pangrattato e Grana e noce moscata; è un piatto della Bassa piacentina;
  • trofie con salsa di noci (ajà), piatto tipicamente ligure ma consumato anche sull'Appennino piacentino, dove è forte l'influenza della cucina ligure di cui le trofie sono forse la pasta più nota
  • tagliatelle con salsa di noci, altro piatto che risente dell'influenza ligure;
  • bomba di riso, pasticcio di riso e carne di piccioni tipica del paese di Bobbio;
  • torta di riso alla bobbiese, torta di riso, verdure, uova e grana dell'alta Val Trebbia, la cui preparazione è influenzata dalla cucina della vicina Liguria;
  • tortelli di farina di castagne, piatto dell'Appennino dove un tempo le castagne, usate per il ripieno, erano uno dei pochi alimenti sempre disponibili (la farina di castagne è De.co a Ferriere);
  • lasagna alla bobbiese (laśàgn ad Nadèl), cena tipica della vigilia del Natale, come primo di magro, composta la lasagnette di forma triangolare condite semplicemente con besciamella e sugo di funghi.



Secondi piatti

Una peculiarità della cucina piacentina, che la contraddistingue nel panorama delle cucine locali italiane, è il consumo di carni equine. Sono tre i piatti di questo tipo:
  • pìcula 'd caval, ricetta a base di carne di cavallo tritata finemente. Può essere accompagnata alla polenta
  • stracotto d'asinina, ganassino di giovane asina cotto per parecchie ore nel vino rosso (Barbera o Gutturnio), passata di pomodoro, lardo, burro, carote, sedano, alloro, aglio e cipolla; ha ottenuto il riconoscimento De.Co. del comune di Rottofreno
  • faldìa, sottilissima cotoletta ricavata dal diaframma del cavallo.
Tra le ricette a base di altre carni si citano:
  • stracotto alla piacentina, manzo cotto in casseruola con sugo di pomodoro, aromi e vino

Faraona ripiena al forno
  • faraona arrosto
  • anatra arrosto
  • trippa alla piacentina (büṡéca), interiora di manzo tagliate a listarelle e cotte per parecchie ore insieme a sedano, carota, cipolla, aglio, aromi, sale, pepe, salsa di pomodoro, brodo e fagioli bianchi di Spagna
  • salame cotto (salam da cota, salam cot), servito con abbondante polenta o purea di patate, viene preparato anche in crosta di pane, ed una volta affettato e fatto saltare sulla piastra. Può essere servito anche come antipasto
  • brachettone (u bracton), salume da cuocere realizzato con la spalla del maiale conciata, cucita nella cotenna e fatta stagionare fra due fascette di legno. Ormai rarissimo, è originario di Bobbio e del suo circondario, dov'è ancora preparato in alcuni ristoranti. Un tempo tipico del Carnevale, si serve con polenta o purea, oppure con legumi vari cucinati in casseruola, come fagioli o lenticchie.

Cima alla genovese
  • tasto o tasca (tast o picaia), punta di vitello ripiena, molto simile alla
    • cima alla genovese diffusa sull'Appennino.
Anche altri secondi piatti, per lo più a base di verdura, lasciano scoperti i legami con la cucina ligure. È il caso delle
  • verdure ripiene, tra le quali sono comuni
    • gli zucchini
    • i cavoli (ricetta tipicamente dell'Appennino dove è chiamata "côri pin")
    • i verzolini, ossia foglie di verza che avvolgono un ripieno solitamente composto da uova, pan grattato, formaggio grana grattugiato e salsiccia (alcune varianti prevedono anche la carne di manzo tra gli ingredienti del ripieno). Danon confondere con gli omonimi involtini di carne.
Come in altre zone dell'Italia Settentrionale, dove sono presenti ambienti umidi e boschi, non mancano i modi per cucinare le rane, specialmente fritte, e le lumache. Queste ultime sono note come
  • lumache alla bobbiese (e lümàś), lumache lessate alle quali si aggiungono sedano, cipolla e alloro prima di essere infornate con vino bianco, chiodi di garofano, aglio, salsa di pomodoro, brodo e sale. Sono tipiche della vigilia di Natale come piatto di magro.


Piatti della consuetudine

Si tratta di piatti che non sono legati ad alcuna ricorrenza particolare e che in passato venivano per lo più preparati con ingredienti poveri o facilmente reperibili, molto frequentemente recuperando gli avanzi del pasto precedente. Ricette simili sono comuni o simili, almeno negli ingredienti, a quelle di altri territori della Pianura padana.
Il più noto è la polenta, che compare sulle tavole del Piacentino prevalentemente nei mesi autunnali ed invernali non solo come accompagnamento alla pìcula 'd caval. Due sono le preparazioni più popolari:
  • polenta coi ciccioli (pulëinta e graséi) nella quale all'impasto di farina di mais si accompagnano i ciccioli, pezzi di grasso e carne di maiale cotti, salati ed essiccati. È stata denominata prodotto De.co. dal comune di Rottofreno;
  • pulëinta consa (polenta concia), consistente in strati sottili di polenta ricoperti di sugo e alternati con un'abbondante spolverata di Grana Padano.
A lungo è stato il riso, più che la pasta, l'elemento principale dei primi piatti:
  • risotto con codini di maiale
  • riso e cotenne (riś e cudagh, riś e cudghi)
  • risotto coi funghi
  • riso e zucca
  • risotto con verze e costine di maiale, piatto consumato nei mesi invernali, che condivide le radici della più conosciuta cassoeula lombarda
  • riso e latte, riso bollito nel latte con un'eventuale aggiunta di cannella per insaporire.
Veniva riutilizzato inoltre per la preparazione dei
  • frittellini di riso, (i burtlëin, i fritlëin), piccole frittelle risultanti dall'amalgama di acqua, farina e riso avanzato (in alternativa anche pasta di minestra) fritte in padella.
Tra le zuppe, le più note sono senz'altro
  • la zuppa di pesci del Po
  • la zuppa di ceci, molto diffusa in Val Tidone e nel limitrofo Oltrepò Pavese.
Una minestra preparata per sfruttare gli avanzi, la cui tradizione sopravvive ancora presso alcune famiglie, è la panä o panada, ampiamente diffuse in varie aree dell'Italia Settentrionale. È costituita da pane raffermo posto nel brodo insieme a uova e formaggio grattugiato, olio e noce moscata. Si serviva spesso ad anziani ed infermi.
Uno degli ingredienti di base nell'alimentazione del Nord Italia sono state a lungo le patate, la cui coltivazione nel Piacentino è ancora radicata nelle aree appenniniche. Venivano comunemente impiegate per:
  • gli gnocchi di patate, che il comune di Farini valorizza con la De.co., pur essendo diffusi in molte zone dell'Italia Settentrionale (sono accompagnati dal sugo di funghi)
  • le polpette di patate (il canìf, il pulpët ad patät, il pulpët cun i pum da tera)
  • le patate mescé, una sorta di poco elaborata purea di patate dell'alto Appennino (note come perbugion nel Genovese) costituita da patate lessate e ridotte in poltiglia con uno schiacciapatate, alla quale si aggiungevano latte e formaggio.
Soprattutto in epoche di minor benessere economico, le polpette potevano essere anche a base di carne di vitello lessata e avanzata, che veniva tritata con la mezzaluna con un'aggiunta di prezzemolo, uova ed eventualmente pane, formaggio Grana e patate. Il pane secco veniva abitualmente riutilizzato non solo nelle polpette, ma anche in diversi tipi di ripieno, tra i quali quello dei
  • verzolini, involtini di carne lessa avanzata ripieni di pane e formaggio. Con questo nome si identificano anche gli involtini di verza.



Dolci

La tradizione dolciaria piacentina non è altrettanto ricca come quella dei primi e dei secondi piatti. Si tratta di preparazioni semplici, realizzate con prodotti genuini e delle quali si ricordano tuttavia:
  • turtlìt o turtei ad San Giüṡep, i tortelli dolci preparati in occasione del Carnevale e per la ricorrenza di San Giuseppe, il cui ripieno, che varia a seconda delle tradizioni locali o delle usanze famigliari, può prevedere amaretti, marmellate di vario tipo o mostarda. Possono essere cotti al forno a legna o fritti.
  • farsö, frittelle tipiche della Val Trebbia, preparate in occasione del Carnevale e soprattutto in occasione della festa di San Giuseppe attorno ai falò serali (ra fuiè), composti da pasta molto lievitata di forma tondeggiante e fritti in olio o strutto.
  • croccante (crucànt), dolce di mandorle tostate intere e a pezzi, miele e zucchero caramellato. La tradizione del croccante realizzato in forma di cestino è ancora viva a Bobbio e nell'Alta Val Trebbia
  • latte in piedi (lat in pé), versione delicata del crème caramel; è fatto con latte, zucchero e uova, ingredienti facilmente reperibili nelle campagne
  • buslàn, la tradizionale ciambella


Buslanëin fatti in casa
  • buslanëin, le ciambelline dure, talvolta legate a particolari ricorrenze religiose, riconosciute De.Co. a Rottofreno
  • spongata una torta dalla probabile origine ebraica diffusa nella Bassa Val d'Arda e tradizionale anche nel Parmigiano e nel Reggiano
  • torta di fichi, basata su una ricetta del XVIII secolo di Albarola, frazione del comune di Vigolzone, riconosciuta con la De.Co.
  • torta di mandorle, tipica ricetta medievale bobbiese, a base di farina di mandorle e mandorle tritate, tuorli d'uovo e albumi con zucchero, nelle varianti morbida, ripiena e secca.
  • canestrelli, biscotti di farina bianca tipici del Piemonte e della Liguria, che per prossimità fanno parte della tradizione gastronomica dell'Alta Val Trebbia e della Val d'Aveto
Come in altre zone della Pianura padana è abitualmente consumata la
  • sbrisolona, torta friabile a base di mandorle e uovo sodo dalle indiscusse origini mantovane, ma comunissima sulle tavole piacentine.

Vini

Il vino piacentino più conosciuto è il Gutturnio, ma vi sono molti altri vini della zona, marchiati Colli piacentini, derivati dalle uve coltivate in collina.


Liquori

  • Bargnolino (bargnulëin, bargnulen), liquore dolce fatto con le bacche del prugnolo (localmente chiamato bargnö o brügnö). Una volta prodotto, deve riposare almeno tre anni prima della consumazione; a seconda delle preparazioni può avere una gradazione alcolica tra i venticinque ed i trenta gradi. È un ottimo digestivo;
  • nocino liquore diffuso in Emilia e fatto con le noci verdi raccolte il giorno di San Giovanni Battista (24 giugno). Deve riposare alcuni anni prima della consumazione per poterlo apprezzare. In alcune zone del piacentino è tradizione conservare alcune bottiglie di nocino prodotte nell'anno di nascita dei figli, per poi aprirle nelle varie occasioni di festa, quali Prima comunione, cresima, festa di laurea e matrimonio.




Com'è il lavoro del cuoco?

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"Questa foto mi riguarda davvero da vicino. Cucino più di mille piatti a settimana per far godere le persone di una cena in compagnia delle loro famiglie e dei loro amici. E così è come ceno io di solito. Così, ricurvo sul cestino della spazzatura. Quindi se avete un cuoco nella vostra vita tenete a mente questa immagine, e cucinategli un pasto, sedetevi con loro e passate con loro una buona serata. Qualcosa del genere può sembrare una cosa da poco agli altri, ma significa tanto per persone come noi."

L'ho tradotta più o meno letteralmente perché credo che queste poche righe e questa sola foto riassumino l'essenza di quella professione. Lontana dalle luci del piccolo schermo, è un lavoro fatto di turni infiniti, assenze dagli affetti, per non parlare delle condizioni in cui si trovano sotto le feste di Natale, ho personalmente visto il cuoco di uno dei ristoranti in cui ho lavorato dormire sopra il freezer, e riconoscimenti in termini economici nulli, in relazione all'impegno richiesto.

Riso cantonese

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Il riso cantonese (炒飯), in italiano noto anche come riso alla cantonese, è un piatto che fa parte dei menù di cucina cinese; tuttavia, a differenza di come siamo abituati a credere, non è un piatto di origine cinese bensì occidentale, nulla a che vedere con la cucina di Canton nota per i gusti delicati, viene chiamato in tal modo per un mero gusto estetico che dona al piatto una connotazione esotica. È comune trovarlo in qualsiasi ristorante cinese
Viene preparato con riso al vapore o bollito condito con prosciutto, uova strapazzate, piselli ed altre verdure.; servito caldo, può essere un ottimo contorno a piatti di carne o pesce o semplicemente da solo come primo piatto condito con poca salsa di soia.

Panella

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Pane e panelle




La panella, è una frittella di farina di ceci, tipico cibo da strada della cucina palermitana.
Le panelle vengono servite soprattutto in mezzo alle Mafalde - forme di pane di circa 200 grammi con la crosta ricoperta di semi di sesamo (a Palermo detto "cimino, gigiolena o giuggiulena").
Sono spesso consumate assieme alle "crocchè" (dal francese "croquette", crocchette di patate) o con altre specialità fritte in pastella, e condite a piacere con sale e limone.
Le panelle rappresentano il caratteristico spuntino del palermitano: si possono acquistare in moltissimi luoghi della città, in particolare nelle “friggitorie", anche ambulanti, presenti nelle strade di Palermo.

La ricetta

Panelle e Cazzilli



Le panelle vengono preparate con farina di ceci, acqua e prezzemolo. La farina viene sciolta in acqua salata e viene girata con un mestolo fino a farla diventare una pasta cremosa, poi viene stesa su un piano, tagliata e poi fritta.



Cenni storici

Già in epoca romana imperiale i ceci erano largamente usati in cucina, specialmente sotto forma di 'polenta': farina di ceci impastata con acqua e cotta; così com'era consumata dai greci, in tutta l'area della cosiddetta "mezzaluna fertile" e soprattutto nel sub continente indiano. Forse le prime panelle erano cotte sulla pietra dentro i forni 'verticali', quelli usati per cuocere il pane di forma piatta. Forse in epoca tardo-medievale si cominciano a friggere le panelle, probabilmente durante il dominio francese della dinastia Angioina della Sicilia, dato che costoro ne erano particolarmente ghiotti (vedi al riguardo gli aneddoti relativi alle vicende dei Vespri Siciliani).

Curiosità

Una pasto simile alle panella palermitana è la "fetta" savonese, che, a differenze della panella, viene tipicamente servita in mezzo a panini bianchi senza crosta, rotondi, piatti chiamati "focaccette". Queste fette sono derivate dalla panissa ligure.

Perché i manici di pentole e padelle hanno un piccolo buco?

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Diversamente da quello che si pensa non serve per appendere la padella al suo gancio ma per poterci appoggiare la cucchiaia di legno come nella foto.



Il cucchiaio in legno deve sempre essere a portata di mano e al tempo stesso non può essere immersa nel sugo per non alterarne il sapore, perció c'é quel buco.


 
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