Amatriciana

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«"… e li tra gli armenti, da magica mano, nascesti gioiosa nel modo più strano la pecora mite e il bravo maiale, donarono insieme formaggio e guanciale."»
(Carlo Baccari)
L'amatriciana (matriciana in romanesco) è un condimento per la pasta che ha preso il nome da Amatrice, cittadina in provincia di Rieti, nella regione Lazio.

Storia

L'antenata della amatriciana è la gricia (o griscia). Secondo alcuni il nome deriverebbe da gricio. Così era chiamato nella Roma dell'Ottocento il venditore di pane ed altri commestibili. Un gruppo di questi, immigrato dal Cantone svizzero dei Grigioni, avrebbe dato origine al termine. Secondo un'altra ipotesi questo nome deriverebbe da un paesino a pochi chilometri da Amatrice, frazione del comune di Accumoli, di nome Grisciano. La griscia era ed è ancora conosciuta come l'amatriciana senza il pomodoro, anche se differisce per alcuni ingredienti.
L'invenzione della salsa di pomodoro, e quindi il termine post quem per l'introduzione del pomodoro nella gricia creando l'Amatriciana, risale alla fine del diciottesimo secolo: la prima testimonianza scritta dell'uso della salsa di pomodoro per condire la pasta si trova nel manuale di cucina L'Apicio Moderno, scritto nel 1790 dal cuoco romano Francesco Leonardi.
Nell'Ottocento e sino all'inizio del Novecento la popolarità della pietanza a Roma si accrebbe considerevolmente. Questo avvenne a causa degli stretti contatti, a quel tempo già pluricentenari, tra Roma ed Amatrice. A quei tempi parecchi osti e i trattori della città erano originari di Amatrice, così che il termine "Matriciano" venne a significare "locanda con cucina". L'Amatriciana fu estremamente bene accolta e, anche se nata altrove, venne rapidamente considerata un classico della cucina romana. Il nome della pietanza in Romanesco divenne matriciana a causa dell'afèresi tipica di questo dialetto.

Descrizione

Ingredienti

Il sugo è composto da: guanciale soffritto e sfumato con vino bianco secco, pomodoro, formaggio pecorino. È inserita nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali laziali.

Varianti

Per quanto originaria d'Amatrice, la ricetta si è diffusa a Roma e nel Lazio, diventando così uno dei piatti tradizionali della capitale e della regione. L'amatriciana esiste in diverse varianti, dipendenti anche dalla disponibilità di alcuni ingredienti. Mentre ognuno concorda sull'uso del guanciale, il pomodoro non è riportato nel manuale di Gosetti. La cipolla non è usata ad Amatrice, ma è riportata nei manuali classici della cucina romana. Sebbene nelle ricette più vecchie non venga indicato alcun grasso di cottura, o meglio sia utilizzato il grasso del guanciale, di solito come grasso di cottura viene usato prevalentemente l'olio extravérgine d'oliva. L'uso dello strutto è anche attestato.
L'uso dell'aglio soffritto in olio extravérgine d'oliva, prima d'aggiungere il guanciale, è anche possibile, mentre come formaggio può essere usato sia il pecorino romano sia quello di Amatrice (proveniente dai Monti Sibillini o dai Monti della Laga). L'uso di pepe nero o peperoncino è anche attestato.
È consuetudine condire con l'amatriciana gli spaghetti, i bucatini, i tonnarelli o i rigatoni.
L'amatriciana, adattata alle regole del Casherut, è presente nella cucina giudio-romana. Nella preparazione non si usano il pecorino o altri tipi di formaggi, si utilizza olio d'oliva al posto dello strutto e la carne secca di manzo sostituisce il guanciale di maiale.

Tutela della ricetta originale: codifica De.Co e percorso per il riconoscimento STG

Con delibera 27/2015, il Comune di Amatrice ha formalizzato le ricette, sia della versione bianca, sia della versione rossa, in un Disciplinare di produzione De.C.O. Come chiaramente indicato nel disciplinare, non sono previsti né aglio né cipolla. Inoltre il Comune di Amatrice, col pieno supporto della Regione Lazio, nel 2015 ha iniziato il percorso, volto a ottenere il prestigioso riconoscimento europeo STG della salsa, per un'ulteriore tutela dell'originalità della ricetta. Come formato di pasta da condire nell'amatriciana originale, occorre rigorosamente usare quello degli spaghetti. Amatrice stessa si fregia del titolo di "Città degli spaghetti", come impresso anche sui cartelli stradali di benvenuto, che accolgono all'entrata in paese.

Filatelia

Agli "Ingredienti degli spaghetti all'amatriciana e città di Amatrice", il 29 agosto 2008, è stato dedicato un francobollo, policromo e dentellato, emesso dalla Repubblica Italiana, del valore di 0,60 euro.

Scrippelle

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Le scrippelle sono un piatto tipico della cucina teramana.
Oggigiorno, si stanno diffondendo sempre più in tutto l'Abruzzo, comunque rimangono un elemento caratterizzante delle zone del teramano da cui hanno origine e sono costituite da sottilissime frittatine preparate versando su una padella caldissima una pastella di farina, acqua e uova; sono in effetti molto simili alle crêpes francesi che, secondo alcuni, da Teramo furono portate oltre le Alpi al seguito dei loro eserciti, mentre altri le considerano derivate proprio da queste.
Di fatto, tuttavia le scrippelle differiscono dalle crêpes nella preparazione, negli ingredienti e nell'uso che se ne fa nella cucina teramana, infatti diventano elementi tipici per la preparazione di piatti salati, costituiti in genere da primi.
Le scrippelle sono alla base di diversi piatti fondamentali della cucina teramana tra i quali:
  • le "scrippelle mbusse": cioè bagnate, immerse in un leggero brodo di pollo dopo essere state cosparse di parmigiano o pecorino d'Abruzzo stagionato ed arrotolate;
  • il "timballo di scrippelle", dove sostituiscono la pasta sfoglia nel separare gli strati di ingredienti;
  • le "scrippelle in forno" dove vengono farcite e cotte in forno in modo simile ai cannelloni.
Spesso si fa riferimento alle "scrippelle teramane" intendendo il piatto delle "scrippelle mbusse", quest'ultimo termine corrispondente alla forma in dialetto teramano (letteralmente "scrippelle bagnate").

Virtù

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Le virtù sono un piatto della cucina teramana, caratteristico del primo di maggio.
«Al primo di maggio noi usiamo di cucinare insieme ogni sorta di legumi, fave, fagiuoli, ceci, lenti, ecc. con verdure ed ossa salate, orecchi e piedi pure salati di maiali; e questa minestra chiamiamo Virtù ...»
(Giuseppe Savini, Lessico del dialetto teramano)

Storia

Piatto dalla storia controversa di cui molti paesi rivendicano la primogenitura ma le cui origini romane sembrano incontestabili e riconosciute dallo stesso Giuseppe Savini, primo a studiare in modo sistematico le tradizioni e il folklore della provincia di Teramo.
Savini infatti, cita Poggio Bracciolini (1380-1459) che riferisce come questo piatto ai suoi tempi fosse molto noto a Roma, dove si consumava proprio alla data del 1º maggio ed era chiamato con lo stesso nome di Virtù, oggi usato in Teramo.
(LA)
«Facetum Contra Romanos Qui Edunt "Virtutes":
Calendis Maii, Romani varia leguminum genera, quae virtutes appellant, simul coquunt mane eduntque. Franciscus Lavegnis, Mediolanensis, per jocum, cum is mos recitaretur inter socios: -- 'Nequaquam mirum est,' inquit, 'Romanos a superioribus degenerasse, cum singulis annis eorum virtutes edendo absumant'»
(IT)
«Detto giocoso su i romani che mangiano le "virtù":
Ai primi di maggio i Romani raccolgono varie specie di legumi che chiamano virtù, le cociono e le mangiano alla mattina. Francesco Lavegni, di Milano, per ridere parlandosi fra amici di questo costume: «Non è da meravigliare», disse, «che i Romani abbiano degenerato dai loro maggiori, perché ogni anno le loro virtù hanno consumato mangiandole.»
(Poggio Bracciolini, oltre l'edizione citata da Savini cfr. ad esempio, Facezie, prefazione di Domenico Ciampoli, Lanciano, Carabba, stampa 1911)
Si tratta di un cibo molto antico che rispetta rigorosamente "le scadenze calendariali e i ritmi stagionali", scrive Giuseppe Di Domenicantonio in un suo studio, un cibo che se ormai è ufficialmente "adottato" come proprio dal popolo teramano, si ritrova, sia pure con altre denominazioni e caratterizzato da numerose varianti, in molti paesi d'Abruzzo.
Si dice che in passato le Virtù venissero prodotte dall'intera comunità che le distribuiva agli indigenti. In effetti tale usanza sembra permanere nell'abitudine a cucinare le Virtù in grande abbondanza e ad offrirle in omaggio ai vicini, alle persone care e anche a semplici e occasionali conoscenti.
In tutti i casi le Virtù appaiono legate all'incerta esistenza dei contadini che al termine dell'inverno vuotavano le madie e le ripulivano da tutti gli avanzi. Ai legumi secchi, così raccolti, si univano gli ingredienti freschi che già la nuova stagione aveva iniziato a produrre in abbondanza.
Tale credenza tuttavia per quanto molto nota non è molto seguita nella pratica e gli ingredienti in realtà sono sempre in numero maggiore. Resta il fatto che il sapore deve nascere dalla realizzazione di una perfetta miscela nella quale nessun ingrediente deve emergere.
Secondo Giuseppe Savini le Virtù venivano un tempo chiamate anche "li zocche" o "cucine" ma si tratta di espressioni ormai non più in uso.

Ingredienti

La scelta degli ingredienti può subire variazioni notevoli, sia nelle quantità che nella tipologia. Senza entrare qui nel merito della ricetta, delle quantità, delle proporzioni o della preparazione che richiede una procedura lunga e complessa, si elencano qui gli ingredienti base, in modo da dare un'idea concreta della varietà di elementi che concorrono alla realizzazione di questo piatto:
  • legumi secchi: fagioli di varie qualità, ceci e le lenticchie (da prepararsi separatamente e in modo diverso);
  • legumi freschi: piselli e fave in primo luogo;
  • verdure: zucchine, carote, patate, carciofi, bietole, indivia, scarola, lattuga, verza. cavolfiore, cicoria, spinaci, finocchio, rape;
  • odori: aglio, cipolla, maggiorana, salvia, timo, sedano, prezzemolo, aneto, noce moscata, chiodi di garofano, pepe o peperoncino, pipirella, menta selvatica, borragine, finocchietto selvatico, basilico;
  • carni: prosciutto crudo, cotiche di maiale, carne macinata di manzo, lardo, lonza, piedi e orecchie di maiale, pancetta, guanciale, polpettine (o pallottine) di manzo;
  • tipi di pasta: pasta di grano duro corta, pasta fresca all'uovo di varie forme e dimensioni, qualche tortellino e qualche raviolo di carne, con il tempo si sono aggiunte paste all'uovo anche colorate;
  • altri ingredienti: olio d'oliva, burro, sale, pepe, polpa di pomodoro.

Mazzarelle

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Le Mazzarelle, pietanza tipica della cucina teramana, sono involtini di coratella di agnello avvolta in foglie di indivia legati con budelline dello stesso agnello. Così descritta, la pietanza sembrerebbe un secondo piatto ed è in effetti creduta tale da molti, che, prigionieri della prima impressione, la considerano una portata successiva ad altri piatti della cucina teramana come il timballo o i maccheroni alla chitarra, mentre invece, nella tradizione, le mazzarelle sono diventate un primo, anzi di fatto il primo "obbligatorio", del pranzo pasquale, una sorta di ouverture dedicata all'agnello ed evocatrice di un indimenticato e indimenticabile passato di quotidianità contadina. Piatto in apparenza semplice, le mazzarelle sono al centro di un irrisolto dibattito tra due scuole di pensiero: quella che le vuole semplici, cotte in un soffritto che ne esalti il sapore, e quella che le preferisce in umido, lasciate cuocere in un sughetto che si impreziosisce degli umori delle carni d'agnello.

Ricetta

Dosi per 4 persone: 1 coratella d'agnello (cuore, fegato e budella), un bicchiere e mezzo di acqua e vino, 1 mazzetto di maggiorana, agli e cipolle freschi, alcune foglie di lattuga, prezzemolo e peperoncino, aceto quanto basta.
Preparazione: Aprire le budella nel senso della loro lunghezza, lavarle e sciacquarle accuratamente. Quando le budella saranno diventate di color chiaro e ben pulite, sciacquare con acqua ed aceto. Tagliare a listelli la coratella, sciacquarla e metterla a scolare, dopo averla salata, insieme con le budella. Prendere una foglia di lattuga e porvi sopra, facendone un mazzetto, 3-4 listelli di coratella, cui bisogna aggiungere un po' di cipolla, di prezzemolo e d'aglio. Legare il mazzetto con le budella e via via che le mazzarelle saranno confezionate metterle a scolare e poi cuocere solo in olio. Quando le mazzarelle cominceranno a friggere (ed olio e acqua saranno stati assorbiti), aggiungere mezzo bicchiere d'acqua e vino, fare assorbire e versare ancora una volta la stessa quantità di acqua e vino. Ripetere nuovamente l'operazione. Se si vuole si può aggiungere qualche pomodoro a pezzetti. N.B. Per pulire bene le budella, strizzarle, ripetendo l'operazione più volte.

Ricotta affumicata di Mammola

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La Ricotta Affumicata di Mammola è uno dei Prodotti agroalimentari tradizionali italiani della provincia di Reggio Calabria a base di latte di capra, l'area di produzione è il territorio di Mammola.

Disciplinare

Storia, tradizione e usi:
Le aziende zootecniche che producono le ricotte sono a conduzione familiare. Anticamente molti pastori che abitavano nelle zone montane distanti dai centri abitati, conservavano le ricotte fresche con la tecnica dell'affumicatura e una volta a settimana le portavano al mercato per la vendita. Una tradizione molto usata è quella di regalare la Ricotta. Molti emigrati al rientro delle ferie la offrono agli amici e ne fanno consumo personale, per lungo tempo infatti il prodotto si conserva bene sottovuoto in frigo. Viene commercializzato direttamente dalle aziende zootecniche nel comprensorio di Mammola. La Ricotta è molto richiesta altresì sui mercati regionali, nazionali ed esteri e non si riesce a soddisfare le tante richieste dei consumatori. Da ricordare a Mammola la “Festa della Ricotta affumicata” che si svolge la prima domenica di giugno e la “Festa dei Sapori” che si svolge ogni anno il 7 dicembre, nella liete circostanze si degustano, con la Ricotta affumicata fatta dai pastori, altre pietanze tipiche, dagli antichi sapori ormai dimenticati.
La “Ricotta affumicata di Mammola” viene utilizzata: a fettine negli antipasti tipici calabresi; grattugiata sulle paste caserecce, quando la ricotta è più dura; a fine pasto, da sola o con un misto di formaggi, accompagnata con vino rosso.
I capi caprini censiti nei territori del Comuni sono: Mammola 2850.

Descrizione sintetica del prodotto


La Ricotta affumicata di Mammola si ottiene dal latte di capra, ed ha sapore particolarissimo di formaggio fresco leggermente salato. Ha consistenza morbida, e vellutata al tatto e di gradevole aroma affumicato, con la sua caratteristica forma, simbolo della fertilità.
Ingredienti utilizzati: Latte di capra.
Forma: Cilindrica con testa ingrossata a forma di fungo.
Dimensioni medie: Lunghezza 30 cm circa, diametro 6 cm.
Peso medio: 700/1000 gr. circa.
Sapore: Di formaggio fresco leggermente salato ed affumicato.
Odore: Di formaggio con l'aroma di affumicato.
Colore: Di colore del rosa scuro al dorato all'esterno e bianco all'interno.

Lavorazione prodotto

Tecniche di lavorazione:
Il latte caprino viene versato in un pentolone e riscaldato girandolo col mestolo. Dopo averlo tolto dal fuoco si aggiunge il caglio, si rigira ancora e si lascia riposare per più di un'ora. Si rompe la cagliata e dopo ulteriore attesa, con le mani si estrae il formaggio. Si porta il pentolone sul fuoco e si ricomincia a mescolare con un bastoncino di essenza locale a punta ramificata (minaturi). Le abili mani del casaro strappano quello che dopo opportuno trattamento diventerà il saporito formaggio caprino locale. Quando il latte incomincia a bollire, si immerge un rametto di fico tagliuzzato e si gira con il bastoncino, sempre per un lato, ancora per pochi minuti. Dopodiché la Ricotta fresca è pronta, la si toglie dal fuoco e con un cucchiaio di legno appositamente prodotto per questa delicata fase della lavorazione, viene messa nelle forme (fasceji) e quindi avvolta e protetta da profumate felci di montagna. La Ricotta il giorno dopo è tolta dalle forme e salata. Poi viene messa in un'impalcatura alta circa un metro e mezzo (1,5 m), dal piano di fuoco del focolare, su un letto di cannicci di castagno coperti da felci di montagna. Si accende sotto, un fuoco a fiamma moderata, usando legna fresca di castagno oppure di erica, in modo da produrre un fumo denso e profumato che va ad investire direttamente, da sotto, le ricotte. L'operazione di affumicatura dovrà durare mediamente 24 ore, girando le ricotte dopo le prime 12, se si preferiscono di consistenza morbida. Se invece si preferiscono più dure e consistenti, il tempo di affumicatura si allungherà in maniera opportuna. La Ricotta Affumicata di Mammola è da considerarsi un prodotto ricavato con tecniche molto antiche ed artigianali.
Periodo di produzione: Tutto l'anno in particolare dal mese di dicembre a giugno.
Materiali utilizzati: I pentoloni sono in acciaio e i cucchiai sono in legno di erica.
La bollitura del latte viene effettuata con il gas, sono in pochi quelli che ancora usano il fuoco a legna.
I contenitori delle ricotte fresche si chiamano fasceji (fatte di junco) di forma cilindrica, la mastreja è la tavola per la scolatura della ricotta, il minaturi è un bastoncino a punta ramificata.
I locali sono ambienti che si usano esclusivamente per la trasformazione del latte, nelle masserie.
I Locali dove avviene la produzione sono ambienti che si usano esclusivamente per la trasformazione del latte.
La Ricotta affumicata di Mammola con la suddetta scheda è stata inclusa dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali nell'Elenco Nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali, Suppl. Ord. Gazzetta Ufficiale N°167 del 18-7-02 pag. 11 N°58.

Caprino della Limina

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Il Formaggio Caprino della Limina è uno dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali Italiani della provincia di Reggio Calabria a base di latte, l'area di produzione è il territorio dei Comuni della Comunità Montana Limina: Mammola, Grotteria, San Giovanni di Gerace, Martone, Gioiosa Jonica, Canolo, Gerace e i Comuni limitrofi di Marina di Gioiosa Jonica, Siderno e Agnana.

Disciplinare

Il “Formaggio Caprino della Limina” si ottiene dal latte delle capre di varie razze indigene raggruppate in mandrie e condotte giornalmente in pascoli col sistema brado allevate nelle zone montane e collinari. Questi animali si adattano bene al clima locale, danno un'ottima resa e, grazie alla grande varietà di erbe, il latte prodotto è di alta qualità. La commercializzazione del caprino viene fatta direttamente dai produttori e nei negozi locali. Essendo molto richiesto, non si riesce a soddisfare le richieste dei consumatori. Negli ultimi anni, la produzione del formaggio caprino è diminuita in quanto alcuni allevatori hanno sostituito le capre con mucche da latte, perché più redditizie. È tradizione che i pastori, ancora oggi come una volta, pagano il fitto dei pascoli in natura con adeguata quantità di formaggio. Il caprino, considerato il più antico dei formaggi, deve essere conservato per circa 8-12 mesi per la stagionatura nelle cantine dove viene curato esternamente con un'emulsione di olio d'oliva e un po' di aceto Qualche volta si aggiunge un po' di pepe rosso macinato. Può capitare che durante la stagionatura alcune forme, per effetto di particolare fermentazione sviluppino internamente piccoli vermi che conferiscono al formaggio un gusto del tutto particolare che lo rendono ricercato da tanti estimatori. L'intera pelle della capra rovesciata, conciata e tratta opportunamente è utilizzata come mantice nella costruzione artigianale delle zampogne. Si può considerare un formaggio, con una produzione limitata e prevalentemente artigianale, ma molto richiesto dai consumatori. Il “Formaggio Caprino della Limina” viene usato nei piatti tipici calabresi: in particolare per la preparazione delle melanzane ripiene (piatto tipico della cucina del territorio della Comunità Montana e calabrese), grattugiato sulle paste caserecce, nella preparazione delle polpette, nelle frittate e ripieni in genere, ecc. In questi ultimi anni viene usato anche in piatti della cucina nazionale ed estera. Il formaggio varia di sapore a secondo la durata della stagionatura, che va dal sapore leggero quando è fresco fino al forte e piccante a fine stagionatura, viene usato anche negli antipasti e a fine pasto accompagnato con vini locali o calabresi. I capi caprini censiti nei territori dei Comuni sono: Mammola 1850; Grotteria 500; San Giovanni di Gerace 400; Martone 75; Gioiosa Jonica 1050; Canolo 800; Gerace 650; Marina di Gioiosa Jonica 600; Siderno 220; Agnana 95.

Descrizione sintetica del prodotto

Il “Formaggio Caprino della Limina” si ottiene esclusivamente dal latte di capra. L'aroma è particolare, il sapore forte, con caratteristica di piccantino, può essere consumato fresco o stagionato da 8 a 12 mesi.
  • Ingredienti utilizzati: latte di capra e caglio.
  • Forma: cilindrica.
  • Dimensioni medie: diametro 15 cm, altezza 10 cm.
  • Peso medio: da 1 a 2,5 kg.
  • Sapore: Il sapore forte, con caratteristica di piccantino che varia d'intensità e profumo col mutare delle stagioni.
  • Odore: di formaggio che varia con la stagionatura.
  • Colore: il colore esterno è giallo chiaro, all'interno è bianco.

Lavorazione prodotto

Si versa il latte caprino appena munto in un pentolone. Si scioglie il caglio (prodotto estratto dallo stomaco dei caprettini e messo a stagionare) in poca acqua e la si versa in latte ancora crudo. Si mescola il tutto e lo si lascia cuocere un'ora circa. Quando il contenuto si addensa, si mescola con un cucchiaio di legno, fino a che non diventa di nuovo liquido. Pian piano si estrae il formaggio separato dalla lacciata (latte sgrassato) con le mani e lo si mette dentro le forme di junco comprimendolo fino a quando non è ben scolato. Dopo la si rimette nella forma per un giorno ancora, quindi la, si toglie e la si lascia stagionare. Hanno a questo punto inizio le operazioni di cura e protezione del formaggio, cospargendo un velo d'olio sull'intera superficie. Queste particolari tecniche di produzione fanno del formaggio caprino della Limina un prodotto tipico di grande pregio.
  • Periodo di produzione: tutto l'anno in particolare dal mese di dicembre a giugno
  • Maturazione stagionatura del prodotto: da 8 a 12 mesi.
  • Conservazione: nelle cantine dove viene curato esternamente con un'emulsione di olio d'oliva e un po' di aceto.
  • Materiali utilizzati: i pentoloni sono di acciaio e i cucchiai sono di legno di erica. I contenitori del formaggio caprino si chiamano fasceji (fatte di junco) di forma
rotonda.
  • Altri attrezzi:
    • La mastreja è una tavola usata a mo' di gocciolatoio per la premitura del formaggio.
    • Il culaturi è uno scolino in acciaio per filtrare il latte.
    • Il minaturi è un bastoncino in legno a punta ramificata.
  • Locali dove avviene la produzione: Ambienti che si usano esclusivamente per la trasformazione del latte.
Il Caprino della Limina con la suddetta scheda è stato incluso dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali nell'Elenco Nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (Suppl. Ord. Gazzetta Ufficiale N°167 del 18-7-02 pag. 10 N°44).

Caciocavallo silano

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Il caciocavallo silano è un formaggio italiano a Denominazione di origine protetta.
Il nome deriva dalla forma del caciocavallo silano, diverso da tutti gli altri. Esso, (quello prodotto in Sila), ha la forma di una testa di cavallo, ed i legacci per appenderlo sembrano delle vere e proprie briglie.
Il caciocavallo silano è un formaggio semiduro a pasta filata prodotto esclusivamente con latte di vacca, nel rispetto del disciplinare di produzione (Provvedimento 29 luglio 2003 del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali).
La forma è ovale o tronco-conica con testina o senza. Il peso di ogni forma è compreso tra 1 kg e 2,500 kg. La crosta è sottile, liscia, di marcato colore paglierino. Le forme possono essere trattate in superficie con sostanze trasparenti, prive di coloranti.
La pasta è omogenea compatta con lievissima occhiatura, di colore bianco o giallo paglierino più carico all'esterno e meno carico all'interno.
Il sapore è aromatico, piacevole, fusibile in bocca, normalmente delicato e tendenzialmente dolce quando il formaggio è giovane, fino a divenire piccante a maturazione avanzata.
Il contenuto di grasso della sostanza secca non è inferiore al 38%.
All'atto della sua immissione al consumo ogni forma reca impresso termicamente il contrassegno identificativo del caciocavallo silano.

 
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