Il formaggio americano — quel
prodotto dallo strano colore arancione brillante, dalla consistenza
quasi gommosa e dal sapore dolce e salato al tempo stesso — è uno
degli ingredienti più onnipresenti nella cucina popolare
statunitense. Dall’hamburger perfetto al grilled cheese sandwich,
passando per la colata cremosa sui mac & cheese, questa
particolare preparazione è un’icona culturale del fast food e
della comfort food americana. Ma in altri Paesi — in particolare in
nazioni dalla lunga tradizione casearia come Francia e Italia — il
cosiddetto "American cheese" è poco più che una curiosità
industriale, un surrogato che raramente trova spazio tra gli scaffali
e quasi mai nel piatto.
Cosa spiega allora questa netta
divergenza tra popolarità interna e disinteresse estero?
Il “formaggio americano” come lo
conosciamo oggi non è tecnicamente un formaggio, almeno secondo le
normative europee. Si tratta piuttosto di un formaggio
processato, una miscela di veri formaggi (spesso cheddar o
colby), emulsificanti, conservanti, e a volte latte in polvere o
siero. Il risultato è un prodotto che non si deteriora
facilmente, fonde in modo uniforme e si conserva a lungo,
anche fuori dal frigorifero. Ed è proprio qui che risiede la sua
forza.
Nato negli Stati Uniti all’inizio del
Novecento, e perfezionato durante gli anni '40 e '50, il formaggio
processato venne commercializzato come una soluzione
economica, stabile e standardizzata in un periodo di forte
urbanizzazione e crescita industriale. Nel contesto di una società
orientata all’efficienza e alla produzione di massa, questo tipo di
formaggio offriva una qualità prevedibile, a basso costo,
adatta ai ritmi della vita moderna americana e alle esigenze delle
mense scolastiche, degli eserciti e dei fast food nascente.
Il sapore del formaggio americano è
dolce, poco stagionato, e lontano dalla complessità organolettica
dei grandi formaggi europei. Ha una funzione più tecnica che
edonistica: fonde alla perfezione, copre in modo
uniforme hamburger e nachos, ed è progettato per essere
complementare — non protagonista.
Negli Stati Uniti, questo prodotto non
è disprezzato, anzi: è un comfort food generazionale,
evocativo dell’infanzia, dei barbecue estivi e della cucina
casalinga veloce. È la quintessenza dell’“americano medio”,
non per sofisticatezza, ma per funzionalità.
In Europa, però, la situazione è
diametralmente opposta. Francia, Italia, Svizzera, Olanda e Spagna
vantano tradizioni casearie millenarie, dove il
formaggio è parte integrante dell’identità gastronomica e
culturale. Non è solo un ingrediente: è un simbolo, un rituale,
un’espressione di territorio e artigianato. Dai pecorini delle
campagne italiane ai bleu francesi, ogni formaggio ha una storia, una
denominazione d’origine, un terroir.
Il formaggio processato americano, con
la sua standardizzazione industriale e il sapore
“plastificato”, è percepito in queste culture non solo
come inferiore, ma come un’eresia gastronomica.
Non rispetta i canoni della stagionatura, della fermentazione, della
complessità aromatica: è, insomma, un prodotto alieno,
che non si inserisce né per gusto né per funzione nella cucina
europea.
In Italia, per esempio, il concetto
stesso di “colata di formaggio fuso” è raramente contemplato
fuori dalla besciamella o dalla fonduta. Le ricette italiane usano
formaggi veri: parmigiano, gorgonzola, mozzarella di bufala —
prodotti che raccontano una terra. Lo stesso vale per la Francia,
dove un croque monsieur sarebbe irrimediabilmente rovinato da una
fetta di formaggio processato.
Negli ultimi decenni, con la
globalizzazione dei gusti e la diffusione di catene di fast food
americane, il formaggio americano ha fatto breccia anche nei mercati
esteri, ma sempre come elemento esotico e mai come
sostituto dei formaggi tradizionali. È usato in ambiti precisi: cibo
da strada, hamburger da catena, snack. In nessun caso entra nei
ricettari familiari o nei menu dei ristoranti d’autore.
La popolarità del formaggio americano
negli Stati Uniti nasce da esigenze storiche, produttive e culturali
specifiche: è un prodotto funzionale a un certo modo di
vivere e mangiare. La sua assenza in contesti come Francia e
Italia non è una questione di snobismo, ma di incompatibilità
culturale e organolettica. Dove il formaggio è patrimonio e
simbolo, l’idea stessa di un derivato industriale fondente e
insapore appare semplicemente superflua.
Un toast con American cheese può
essere per qualcuno la perfetta merenda. Ma per un casaro di Langa o
un affineur della Valle della Loira, è un paradosso gastronomico. Ed
è in questa tensione tra comfort e cultura, tra praticità e
tradizione, che si gioca il curioso destino internazionale del
formaggio più discusso d’America.