Parlando di pasta, che senso hanno le penne lisce?

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La migliore pasta è quella che si cuoce più uniformemente ma che trattiene meglio il condimento.

Sebbene questo risultato sembra meglio raggiungibile con la pasta rigata, in realtà la miglior pasta in assoluto è una pasta liscia ma molto ruvida, ossia quella che ha una superficie come questa:



Perché?

Perché sebbene le rigature della pasta rigata trattengano molto bene il condimento, risulta impossibile avere una cottura uniforme e quindi quando le sporgenze delle rigature sono cotte, le parti più spesse non lo sono, quando invece le parti più spesse sono cotte, le rigature sono scotte.

Ovviamente sono sottigliezze, io compro la pasta integrale rigata di sottomarca dal penny market…

Uso la pasta buona solo quando invito qualcunǝ a mangiare da me…


Cosa è tipico della cucina greca?

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Direi che un piatto tipico della cucina greca che, in genere, incontra il favore degli italiani è la moussakà.



Arancini, panelle e interiora: le meraviglie dello street food Siciliano.

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Arancini, pani câ meusa, stigghioli, panelle, pidoni: breve viaggio tra alcuni street food rappresentativi della Sicilia.



Lo street food in Sicilia è da sempre un fenomeno immersivo. Da molto prima che si usasse quest’anglicismo, il cibo di strada trinacrio è una summa di colori, profumi, di tradizioni, di insegnamenti che si tramandano di generazione in generazione. Perché quello che da tempo si vende nei bar, sui camioncini, ai chioschi, agli angoli di strada non è solo appannaggio dei commercianti della ristorazione sicana ma è retaggio antico, di un rito culinario che quotidianamente si consuma nelle case, tra le famiglie.

Arancini


Nota personale, Arancini vengono chiamati nel catanese, arancine nel palermitano.



Il primo e più celebre rappresentante dello street food siciliano è sicuramente l'arancino. O anche arancina. In base alla forma - piramidale o sferica - o alla zona della Sicilia in cui ci si trova. Gli arancini sono preparazioni tipiche della rosticceria sicula, a base di riso allo zafferano, condito con ragù e piselli, che viene panato e fritto.

Non si conosce realmente da dove venga la tradizione degli arancini. C’è una leggenda che parla di sant’Agata, vissuta nel III secolo, che portò degli arancini tondi da Palermo a Catania, meta del suo viaggio: l’ultimo le cadde per terra e la religiosa lo risistemò dandogli la forma conica, facendo di fatto nascere l’arancina. C’è invece chi fa risalire questo cibo all’influenza della dominazione araba nel IX-XI secolo, e chi invece afferma che la panatura, che rende gli arancini a lunga conservazione, sia addirittura opera di Federico II - una “meraviglia del mondo " anche in cucina.


Panelle


In Sicilia diversi street food sono incarnati da panini preparati in un determinato modo. Come ad esempio il “pane cunzatu”, che altri non è che un panino con pomodoro, primo sale, origano e olio d’oliva, da sempre merenda per bambini siciliani e meridionali (con alcune piccole varianti). Molto celebre in quanto a ricette sicule è invece il pane con le panelle, originario nello specifico di Palermo ma presente in un po’ tutta l’isola.

Si tratta fondamentalmente di frittelle a base di farina di ceci, anche queste probabilmente legate all’influenza della dominazione araba. Lo scrittore Giuseppe Pitrè testimoniò anche la nascita delle cosiddette “piscipanelle”, che erano delle padelle a forma di pesce, per dare l’idea di questo ingrediente quando la popolazione del mare era alla portata di poche tasche.


Pani câ meusa


Un altro panino trinacrio molto speciale è il pani câ meusa, ovvero un panino con semi di sesamo farcito da interiora di vitello bollite e ricotta. Le interiora sono, nello specifico, milza - da cui il nome dialettale dello street food - ma anche polmone e cartilagini della trachea. Pare che fosse una tradizione ebraica del Medioevo, poi continuata in seguito, nel corso dell’Età Moderna, dalle fasce di popolazione subalterne, che utilizzavano in questo modo gli scarti della carne “nobile”.


Altri street food siciliani


Restando nell’ambito della carne e soprattutto delle interiora, uno street food siciliano molto noto è rappresentato dalle stigghiole, ossia involtini a base di budello d’agnello, farciti da cipolla e limone, legati tra loro da uno spiedino e arrostiti. La ricetta è invece proveniente questa volta, con grande probabilità, da influenze greche.



Personalmente a questo post voglio aggiungere la Caldume o in palermitano Quarumi, un mix di trippa, calletti, il Mussu e Carcagnola o ancora u pani ca frittula anche questo ottenuti da "scarti" di lavorazione.



A Palermo era famoso il frittolaro e il suo paniere che stazionava al Capo.


Accanto alla carne, ci sono anche i cibi legati alla panificazione. Come la scaccia ragusana o agrigentina, una sorta di focaccia schiacciata farcita con pomodoro e ortaggi, ma anche ricotta, salsiccia, gamberetti, olive o cipolla: si tratta di una ricetta “povera”, nata dalla tradizione contadina del XVII secolo.

E c’è anche la cartocciata, che è originaria di Catania e consiste da un calzone cotto in forno, con pomodoro, mozzarella e altri ingredienti. Vi è affine il pidoni messinese, che è invece fritto, e solitamente farcito con scarola riccia, acciughe e tuma.


Chi fu l’inventore della pizza Margherita?

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Piccolo spoiler: non fu Raffaele Esposito come la tradizione narra.



Nel 1883, Esposito rilevò una pizzeria e la sera dell’11 luglio di sei anni dopo, nelle cucine reali della Reggia di Capodimonte, lui e sua moglie furono chiamati a corte per cucinare.

Insieme prepararono la più celebre pizza Margherita di sempre.. ma non fu di certo la prima!

La ricetta infatti non era stata inventata dalla moglie di Esposito come si sosteneva, ma compariva già in un libro del 1886 intitolato “Usi e costumi di Napoli”.



Scritto da un napoletano di origine Svizzera, Francesco De Bouchard, decanta la ricetta di questo piatto prelibato.

Esposito però fu di certo colui che ne creò il marketing. Ulteriore vicenda che dimostra come sovente la storia sia nota, ma la verità lo sia molto meno.


Bammy

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Il bammy o bami è un pane basso tipico giamaicano.

Il bammy viene realizzato con la manioca amara, che viene grattugiata, pressata, battuta con un mortaio, ed infine setacciata per ottenere una farina. Alla farina viene aggiunto il sale ed eventualmente - soprattutto nella preparazione domestica - burro e spezie, ed il composto viene poi cotto su una piastra per tre minuti. In alternativa, prima della cottura l'impasto può essere inzuppato nel latte di cocco, e può anche essere fritto o cotto al forno.

Viene utilizzato sia come contorno che come snack. Tipicamente accompagna l'Escovitch fish, l'Ackee and saltfish, ed in generale i piatti a base di pesce.

Il piatto deriva dalla focaccia di manioca che consumavano gli Aruachi.

Tradizionalmente diffuso nelle campagne, a partire dal secondo dopoguerra il suo consumo conobbe un rapido declino, in favore del pane di farina di frumento, più economico. Solo a partire dal 1992, grazie ad un progetto della FAO in collaborazione con il governo giamaicano, si riuscì a rilanciare il prodotto: la produzione riprese rapidamente e già alla fine degli anni Novanta il bammy era tornato ad essere molto diffuso in tutto il paese.





Abbacchio

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L'abbacchio è un agnello giovane, lattante o slattato da poco, destinato al macello.

  • quella puramente etimologica lo fa risalire ad abecula o avecula, a sua volta derivante da ovacula o ovecula, diminutivo del latino ovis (pecora);

  • un'interpretazione popolana fa derivare il termine da ad baculum, "vicino al bastone", ad indicare l'agnello da latte, non ancora svezzato e che, in quanto tale, si usa tutt'oggi legare ad un bastone conficcato nel terreno (ad baculum), al fine di costringere la madre a rimanere nei pressi senza allontanarsi;

  • un'altra interpretazione popolana la fa originare dal termine abbacchiare, nel senso di abbattere, uccidere con il bastone (dal latino baculum, quindi un agnello che è prossimo all'abbattimento "ad baculum", "vicino al bastone"). Questo verbo è tuttora in uso nel dialetto romanesco e da lì nell'uso colloquiale della lingua italiana, soprattutto con il participio passato e aggettivo abbacchiato, nel senso di persona abbattuta, affranta, distrutta, fortemente dispiaciuta. L'abbattimento dell'agnello era solitamente effettuato mediante bastonata in testa e poi taglio della gola con coltello.

In tutta la fascia centrale dell'Italia, Sardegna compresa, la pastorizia era la principale fonte di approvvigionamento di carne: nell'antichità si macellavano soprattutto montone e pecora adulta. La macellazione dell'agnello era vietata, tranne che nel periodo di Pasqua e fino a giugno.

Gli agnelli o abbacchi originariamente erano destinati alla mensa dei giudei e a quella dei meno abbienti, perché la loro carne era considerata di basso livello. Oggi la tradizione culinaria laziale, abruzzese e sarda della carne ovina è soprattutto rivolta all'agnello, che viene offerto non solo nel periodo pasquale (quando la macellazione di tali ovini è detta sbacchiatura), ma anche durante le festività natalizie.

La maggior parte dell'agnello è di produzione italiana, ma esiste una quota significativa (congelata) di importazione neozelandese.





Arròs negre

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L'arròs negre, in valenzano, o arroz negro, in spagnolo (riso nero), è un piatto della cucina spagnola, tipico della costa della provincia di Alicante e del quartiere marittimo di Castellón de la Plana, nella Comunità Valenzana. È inoltre diffuso sul litorale della Catalogna.

A causa della sua somiglianza con la paella, il piatto viene anche soprannominato paella negra. È popolare anche a Cuba e a Porto Rico, dove è noto come arroz con calamares. Nelle Filippine, dove è considerato un sottotipo della specialità locale conosciuta come paelya, è noto come paella negra o paelya negra.

Il piatto è così denominato perché uno degli ingredienti, che gli conferisce il caratteristico colore, è il nero di seppia: l'accompagnamento di questo "inchiostro" con il riso è in uso anche in altre cucine del Mar Mediterraneo, come nel risotto al nero di seppia italiano.

La ricetta tradizionale dell'arròs negre richiede nero di seppia o di calamaro, riso bianco, aglio, peperoni, cubanelle Sweet verdi, paprica dolce, olio di oliva e brodo di pesce. Tuttavia, molti cuochi aggiungono altri frutti di mare, fra cui granchi e gamberetti.

La fideuà negra è una variante fatta impiegando dei piccoli spaghetti (paragonabili ai fedelini corti italiani al posto del riso e viene solitamente servita con aioli.

L'arròs negre non va confuso con il riso nero, il nome collettivo di diverse cultivar di riso che hanno un colore scuro.




 
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