Cucina romana

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La cucina romana tradizionale è fondata su ingredienti di derivazione rurale e contadina, di origine vegetale ed animale, preparati secondo ricette spesso tramandate di generazione in generazione in ambito familiare. Poiché si è sempre trattato di pietanze ricavate da una terra molto fertile e produttiva, destinate a soddisfare le esigenze energetiche dell'uomo impegnato nel lavoro nei campi e spesso consumate nell'ambito di una o al massimo due sedute alimentari quotidiane, le preparazioni della cucina romana sono idealmente associate a piatti particolarmente nutritivi, somministrati in porzioni abbondanti.

Filosofia e storia

I capisaldi di questa cucina sono i primi piatti, sia asciutti sia in brodo. Questi ultimi sono preparati con della pasta con verdure o legumi (ceci, patate, broccoli, fagioli), e il cosiddetto "quinto quarto". Nei giorni di festa era molto comune l'abbacchio e la carne di capretto forniti direttamente dai pastori locali.
Roma è stata da sempre un mercato di consumo e non di produzione, ma la cucina romana ha avuto a disposizione le produzioni tipiche della regione, dall'olio ai maiali dell'Umbria (i macellai che vendevano maiale si chiamavano, infatti, norcini, e fino agli anni cinquanta il maiale non si vendeva da dopo Pasqua a novembre). Il burro nella vera cucina romana è praticamente uno sconosciuto: per ingrassare e anche per friggere si usava casomai lo strutto di maiale. Ma il condimento d'elezione è l'olio, ancora presente tra le produzioni tipiche del Lazio.

La cucina povera

Il quinto quarto è quel che rimane della bestia vaccina o ovina dopo che sono state vendute ai benestanti le parti pregiate: i due quarti anteriori e i due quarti posteriori.
Si tratta, quindi, di tutto quanto è commestibile delle interiora: trippa (la parte più pregiata è l'omaso, a Roma detta anche cuffia), rognoni (i reni della bestia: vanno tenuti a bagno in acqua acidulata con limone, prima di cucinarli), cuore, fegato, milza, animelle (pancreas, timo e ghiandole salivari) e schienali, cervello e lingua. Dalla carne ovina si prende anche la coratella, l'insieme delle interiora (fegato, polmoni, cuore). Del bue si usa la coda, preparata nel tipico piatto alla vaccinara.
Per il maiale e la vitella, a questa lista vanno aggiunti gli zampetti.
Da che esiste Roma, la cucina delle classi meno abbienti è stata quella dei prodotti del vicino Agro, delle farinate e dei legumi. Non a caso la celebre "puls" dei romani (che per questo erano detti "pultiferi" cioè mangiatori di polenta) era una pappa di cereali e legumi che nei diversi accostamenti prendeva altri nomi e sapori.
Tra i legumi erano i ceci a farla da padrona, anche sulla tavola dei ricchi. Bagnati di olio e presentati caldi in ciotoline di coccio aprivano il pasto della sera. Poi, con i secoli, la cucina del volgo prese l'abitudine di fare della zuppa di legumi il suo piatto della vigilia, come pasta, ceci e baccalà.

La cucina di festa

  • i fritti in pastella
  • l'abbacchio e la coratella
  • il piccione

Gli aromi

  • la mentuccia detta anche Nepetella, la menta romana detta anche Poleggio, il lauro, il rosmarino e la salvia.

Le verdure

  • il broccolo romanesco
  • i carciofi
  • la cicoria, la misticanza e le puntarelle

Il pesce

  • le alici
  • il baccalà

La cucina degli ebrei romani


Carciofo alla Giudia del Ghetto Ebraico


  • i carciofi alla giudia (puliti, fritti interi e insaporiti con sale e pepe)
  • il tortino di alici e indivia

Formaggi e dolci

  • la ricotta romana e il pecorino Romano
  • il maritozzo
  • le castagnole e le frappe, tipici dolci carnevaleschi
  • la pizza cresciuta, dolce prenestino e tiburtino del periodo pasquale
  • la pizza a solchi (o pizza a soleca), dolce sabino si accompagna con i salumi la mattina di Pasqua
  • la grattachecca

Piatti tipici

  • i rigatoni con la pajata, ossia con l'intestino tenue di vitello da latte (il più gustoso) oppure di agnello e di capretto, contenente ancora il chimo, sostanza ricca e cremosa
  • gli spaghetti alla carbonara con uova di gallina, guanciale, pepe e pecorino
  • gli spaghetti all'amatriciana, con guanciale, pecorino e salsa di pomodoro
  • i vermicelli cacio e pepe, il cui condimento risulta essere una semplice salsa di acqua di cottura, pepe e pecorino
  • la coratella d'abbacchio con i carciofi
  • la trippa alla romana, aromatizzata con la menta romana e condita da abbondante pecorino romano
  • la coda alla vaccinara
  • il saltimbocca alla romana, fettina di vitello con prosciutto crudo e salvia, cotta nel burro e vino bianco
  • le coppiette, strisce di carne condite con sale e spezie naturali e stagionate per circa due mesi
  • i carciofi alla romana e i carciofi alla giudia
  • i supplì

Ciccioli

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I ciccioli sono un prodotto alimentare ottenuto dalla lavorazione del grasso del maiale nella preparazione dello strutto.

Preparazione

Il grasso viene tagliato in piccole parti e viene messo a cuocere su fuoco lento così da far fondere la parte grassa e consentire l'evaporazione dell'acqua contenuta. Quando i pezzi di grasso hanno acquistato un colore giallastro vengono versati in un canovaccio, spremuti e infine insaporiti con l'aggiunta di aromi, che possono essere chiodo di garofano, cannella, pepe, noce moscata o altro, in dosi e proporzioni variabili a seconda del norcino. A volte vengono salati.
La parte colata è lo strutto, la parte solida residua sono i ciccioli. Dopo la torchiatura i ciccioli possono essere lasciati in formella oppure sbriciolati a caldo. Si conservano fino a due mesi.
In Calabria, ove il nome più comunemente usato è "curcuci", la preparazione è diversa. Sono la parte residua nella bolliture delle frittole, cioè di tutte le parti del maiale non usate per gli insaccati o per il lardo secco, unitamente ad una parte di grasso, ossia di sugna che si liquefa nella predetta bollitura.

Caratteristiche

I ciccioli sono un alimento ipercalorico che, nella tradizione contadina, rappresentava un ottimo pasto, in unione alla polenta. Ora si utilizzano soprattutto per accompagnare aperitivi ed antipasti. Sbriciolati rendono più gustose focacce, pane e polenta e osei. In particolare in Irpinia viene fatta una pagnotta che nell'impasto contiene appunto i ciccioli, detta anche pizza pe ret frittole o pane con le cicole.

Denominazione

I ciccioli, diffusi in quasi tutta Italia, vengono in alcune zone chiamati con nomi diversi: grasëtte in piemontese; graséi in piacentino, grasó o grasól in reggiano; grasooli in modenese, grasul in romagnolo; grasó o cicioli in ferrarese, grasselli o sgrisci nelle Marche; in novarese, vercellese, pavese e lodigiano gratón, in cremonese gratòon; gréppole nel Mantovano e nel Bresciano; cicines o fricis in friulano; sfrizzoli nel centro Italia; cìguele in Molise; lardinzi, siccioli, cicoli, frittole, sprittoli, scittole in Campania; scarafuagli, curcuci, risimoglie, frisulimit o sprinzuli in Calabria; frittula, ziringuri in Sicilia; gherda, gerde, jelda o gigiole in Sardegna.

Ciccioli napoletani

A Napoli è molto diffusa una versione dei ciccioli nella quale la carne di maiale, pressata, resta morbida con abbondanti parti di magro. Questi ciccioli sono venduti affettati in spessori non troppo sottili, e sono usati tipicamente come companatico. Tipica è l'abbinata ciccioli e ricotta con pepe.

Coda alla vaccinara

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La coda alla vaccinara è un piatto tipico della cucina romana, costituito dalla coda del bovino (di solito bue) stufata, condita con verdure varie.

La coda nella tradizione

Nata nel cuore di Roma, nel rione Regola dove abitavano i vaccinari, la coda alla vaccinara è considerata la "regina" del quinto quarto, ovvero quel che rimane della bestia vaccina dopo che sono state vendute ai benestanti le parti pregiate. Del quinto quarto fanno parte la coda, la trippa, la pajata, il cuore, la milza, e tutte le frattaglie. Esistono due versioni principali, che si differenziano soprattutto nella parte finale della preparazione, dove in una viene preparata una salsa a base di cacao amaro, pinoli e uva passa, mentre nell'altra no. Tuttavia per nessuna delle due varianti si può parlare di ricetta originale, in quanto entrambe convivono da molti decenni nelle varie trattorie di Roma.
La prima versione è quella indicata anche da Ada Boni nel suo libro La cucina romana (1929). L'autrice, avendo come obiettivo principale una cucina casalinga, indica una preparazione dal doppio uso: prepara con la stessa carne un primo piatto con il brodo ottenuto lessando la coda, e poi un secondo di carne costituito dalla coda alla vaccinara vera e propria. La coda, quindi, veniva inizialmente fatta lessare, in modo tale che il brodo si potesse utilizzare per altri piatti. La carne continuava la cottura in un tegame dove era stato fatto soffriggere un trito di aglio, cipolla, prezzemolo, carota, lardo e una fettina di prosciutto. Quindi veniva aggiunta un po' di salsa di pomodoro, parte del brodo e il sedano sbollentato. La cottura proseguiva fino a che la salsa non si era ristretta.
L'altra versione è un piatto più ricco, che si poteva trovare nelle trattorie e nei ristoranti, e alla quale era stata dedicata anche una poesia da Cesare Simmi, proprietario de "La Cisterna" a partire dal 1928. Si prende una coda di bue e la si lava sotto l'acqua corrente per toglierle le tracce di sangue. Si taglia a tocchi, o "rocchi", e la si mette a rosolare con un trito di lardo (o guanciale) e olio. Appena rosolata si aggiunge una cipolla tritata con due spicchi d'aglio, dei chiodi di garofano, sale e pepe. Si fa evaporare l'acqua buttata fuori dalla coda, si sfuma con del vino bianco secco e si fa cuocere per un quarto d'ora coperta. Quindi si aggiunge un chilo di pomodori pelati a pezzi. Si lascia cuocere per circa un'ora, poi si allunga la salsa con dell'acqua calda fino a coprire la coda, si incoperchia nuovamente e si prosegue la cottura per altre 3 ore. Nel frattempo si lessa del sedano. Appena pronto, si scola e si mette in un tegame con un po' di sugo della coda, i pinoli, l'uva passa e il cacao amaro. Questa salsa va fatta bollire per qualche minuto e poi va versata sulla coda al momento di servire.
Altre varianti prevedono l'uso anche dei "gaffi", ovvero le guance del bovino, l'aggiunta a fine cottura di un pizzico di cannella (Adolfo Giaquinto) o di noce moscata (Carnacina-Buonassisi).

Rigatoni al sugo di coda

Nata come piatto a sé la coda, o meglio la sua salsa, a Roma viene anche usata per condire i rigatoni rigati (chiamati anche “rigatoni alla vaccinara”). La preparazione è la stessa, ma invece di servire la coda da sola, con la salsa viene condita la pasta, si aggiunge del pecorino, quindi viene messo sopra un “rocchio”.



Cosa c'è di unico e distintivo nella cucina ungherese

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Ho visitato l'Ungheria molte volte. Dalla mia esperienza, questi sono i distinguo della loro cultura del cibo:

1. Paprika: questa spezia al pepe è prevalente nella maggior parte dei pasti salati.

2. Zuppa: tutti i pranzi iniziano con la zuppa (leves). È più comune in Ungheria mangiare zuppe fredde come la zuppa di amarene, soprattutto nei mesi estivi. Il gulasch e le zuppe di pesce sono anche parti importanti della cucina tutto l'anno.

3. Salse di panna acida: mentre molte cucine fanno molto affidamento su carne e patate/pasta, la cucina ungherese fa altrettanto, ma unicamente su salse a base di panna acida con peperoni arrostiti e cipolle . Uno dei miei piatti preferiti è "paprikás csirke galuskával" che si traduce pollo alla paprika con gnocchi:


4. Pane e panini fatti in casa: è una parte importante della cultura mangiare pane fresco (kenyér) che è stato acquistato al supermercato locale quella mattina. La farina in Ungheria è unica e crea un sapore particolare che è amato ... e atteso ad ogni pasto. Inoltre, a volte, le persone spargono il grasso invece del burro sul pane come spuntino.

5. Salame: "Szalami" è un alimento base e non è raro trovare dozzine di opzioni di salame in qualsiasi piccolo negozio di alimentari e molte opzioni nei mercati più grandi.

6. Maiale natalizio: la maggior parte delle famiglie macella un maiale a Natale, quindi il maiale è una parte importante della cucina invernale.

7. Peperoni ripieni e cavolo: un piatto principale molto comune sono i peperoni ripieni o il cavolo ripieno. Le verdure sono farcite con una miscela di carne macinata cruda, riso e spezie e poi cotte al forno.

8. Dessert elaborato: simile al pane sopra, è abbastanza comune avere pan di spagna a strati per dessert (chiamati dobos torta), solitamente di 7-8 mini strati. I panifici sono numerosi e diffusi.

9. Liquori unici: Tokaji aszu, Unicum, pálinka: la maggior parte del mondo conosce meglio i vini ungheresi attraverso i vini dolci da dessert della regione Tokaji. Unicum è anche un amato liquore nazionale c talvolta chiamato affettuosamente "il maglione liquido". Il brandy di frutta (pálinka) è spesso distillato a casa in piccoli lotti da persone che vivono nel paese, così tante persone hanno la loro "palinka di famiglia"che condivideranno con te quando vai a trovarli. Potrebbero farti bere un bicchierino al mattino per iniziare la giornata, in modo simile ad alcuni locali. La prugna e l'albicocca sono quelli più comuni.




Le friggitrici ad aria calda non interessano più?

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Se parliamo di macchine domestiche, credo che si usino maggiormente all'estero rispetto a noi. Io ne comprai una circa due anni fa. L'ho usata molto e devo dire che funziona bene. Un po' rumorosa per via della ventola, ma il suo lavoro lo fa.



Foto mie.


Oggi però esistono forni a microonde combinati che offrono anche questa funzione. Se dovessi cambiare il microonde mi orienterei su questi, se non altro per ragioni di spazio.

Gli street food popolari in Grecia

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Immagina di essere un impiegato greco, è mattina presto e stai correndo al lavoro, ma prima devi procurarti qualcosa da mangiare!

Opterai per uno di questi cibi:


una tyropita (torta di formaggio)



un koulouri (un mix tra pane e biscotto) 


una mpougatsa (una sorta di torta con panna, formaggio o carne macinata), la regina indiscussa nel nord della Grecia.


È già ora di pranzo, ecco apparire all'orizzonte il re dello street food:


souvlaki, con gyros, kebab, maiale, pollo o addiritura vegano!


Potresti comunque optare per un panino:



o un trancio di pizza, un hot dog, un hamburger, un'altra torta, ad esempio quella di spinaci,…

Ma magari preferisci qualcosa di dolce?

Allora compra dei loucoumades (un tipo di ciambella):


loucoumades.


o un gelato:



nonostante sia un dolce internazionale, posso confermarti che quello che facciamo buono come quello italiano.

A questo punto spero che tu sia sazio… altrimenti corri a comprare un sacchetto di castagne, una pannocchia di mais grigliata o una tavoletta di cioccolato, ma a quel punto mi sa che avrai esagerato col cibo!


Qual è il segreto per una frittura di calamari perfetta?

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Gli anelli di calamaro fritti sono un delizioso secondo piatto di pesce dal sapore irresistibile.

Per ottenere una frittura dorata, croccante e asciutta sono però necessari degli accorgimenti, che servono ad evitare una panatura che si stacca, che è morbida o molliccia, rovinando inevitabilmente uno di quei piatti che conquistano il palato di grandi e piccini.



Preparazione

  1. Se avete dei calamari interi, procedete lavandoli sotto l’acqua corrente. Prendete la testa con una mano e con l’altra il corpo e tirate delicatamente, in modo che staccando la testa si rimuovano anche le interiora. Togliete anche la penna di cartilagine trasparente interna.

  2. Risciacquate di nuovo sotto l’acqua corrente per rimuovere eventuali residui di interiora ed eliminate la pelle facendo un piccolo taglio con un coltello nella parte finale del mantello (in modo da riuscire a tirare via la pelle stessa tirandola, o se trovate difficoltà, aiutatevi con un coltellino). Sciacquateli di nuovo sotto l’acqua e tagliate il mantello ad anelli.

  3. Per ottenere una frittura croccante, asciutta e dorata, il primo importante accorgimento è quello di utilizzare degli anelli che siano ben asciutti.Pulite i calamari e riduceteli ad anelli la sera precedente, inseriteli in uno scolapasta appoggiato in una ciotola o su un piatto, copriteli con un altro piatto e farli “scolare” in frigorifero per tutta la notte. Ma se non avete tutto questo tempo a disposizione, potete ovviare asciugando gli anelli di calamaro con un canovaccio di tela ben pulito o della carta assorbente da cucina, asciugando accuratamente il pesce.

  4. Inserite gli anelli di calamaro puliti e asciutti in un sacchetto per alimenti, aggiungete un po’ di farina, richiudete il sacchetto e sbattetelo bene in modo che la farina si distribuisca uniformemente sugli anelli. Dopo questa operazione mettete gli anelli in uno scolapasta e scuotetelo per far cadere la farina in eccesso (assorbirebbe troppo olio, rendendo la vostra frittura “moscia” ed oleosa).

  5. Scaldate abbondante olio in una padella dai bordi alti e cuocete pochi anelli per volta, per pochi minuti, fino ad ottenere una leggera doratura, quindi utilizzando una pinza da fritto o un mestolo forato mettete gli anelli di calamaro fritti su un piatto rivestito di carta assorbente da cucina o carta paglia ad asciugare l’olio in eccesso.

 
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