Un tour dei peggiori ristoranti di Milano

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Basandoci su esperienze dirette e recensioni online abbiamo deciso di testare alcuni ristoranti milanesi per capire se le prime impressioni sono sempre quelle che contano.
Il mese scorso i medici veterinari dell'Asl hanno fatto irruzione in un ristorante di Mila​no, La Sidreria, e hanno sequestrato cinquanta chili di insetti commestibili che stavano per finire nello stomaco di un sacco di clienti entusiasti all'idea di provare "il cibo del futuro."
Le portate a base di scorpioni e grilli non hanno fatto nemmeno in tempo ad arrivare in tavola che tutto è stato requisito perché gli insetti non erano certificati.
In redazione siamo rimasti particolarmente colpiti dallo zelo dimostrato dall'Asl alla Sidreria: l'impressione era che, facendosi un giro per la città, avrebbero scovato innumerevoli altri posti che servono ai clienti scarafaggi e blatte non certificate. Accidentalmente, però.
La questione è presto degenerata in una specie di FantaDiarrea, e tutti si sono battuti per rivendicare il primato di aver mangiato nei peggiori tuguri di Milano. Con un tono a metà strada fra il disperato e il liberatorio sono stati snocciolati i nomi di un sacco di posti lercissimi, con annesse storie sensazionalistiche riguardanti pizzaioli che si masturbano dietro forni a legna e particolari raccapriccianti sulla composizione chimica della salsa allo yogurt di alcuni take away greci.
La domanda che sorgeva spontanea era come facessero certi posti a rimanere aperti nonostante le norme igieniche da rispettare per mantenere la licenza. Così, ispirato dalle avventure culinarie, ho deciso di compiere un tour di alcuni ristoranti di Milano al fine di testare l'efficacia degli enti preposti al controllo sanitario, e valutare poi se uno scarso livello di igiene è sempre sinonimo di cattiva cucina.
Ho contattato l'Ufficio Annonaria e Commerciale della Polizia Municipale per sapere se esistessero delle liste di ristoranti a rischio per quanto riguarda le norme igieniche, come del resto accade per esempio nel Regno Unito, dove a tutti i servizi è assegnata una nota di igiene, ma mi hanno risposto che queste liste o non esistevano o non erano consultabili.
Per individuare i ristoranti da testare, quindi, mi sono affidato ai risultati del FantaDiarrea, e sfruttando le recensioni di TripAdvisor, ho selezionato i quattro peggiori della lista.
I risultati dovevano essere il più oggettivi possibile, quindi mi serviva l'appoggio di un aiutante. Qualcuno che fosse abbastanza temerario da rischiare il controllo degli sfinteri in nome della ricerca sociologica. Quindi ho optato per il più sacrificabile dei redattori.
Così abbiamo composto un tem​erario think tank, e abbiamo passato due sere girovagando per Milano alla caccia di coliti.
La nostra prima meta è stato il ristorante San Michele, in zona Porta Romana, che si è guadagnato la nostra attenzione perché su Trip Advisor 26 utenti su 29 lo votavano come "Pessimo". Il campo semantico delle recensioni viaggiava tra "diarrea" e "truffa", con contorno di aggettivi come "inqualificabile". Un utente chiosava con "da consigliare al vostro peggior nemico."
San Michele, patrono della polizia, visto da fuori non sembrava così pauroso, ma non appena entrati siamo stati accolti da un mix di pesce rancido, persistente odore di sugo e aromi proveniente da un bidone dell'immondizia pieno. Gnam. Le vetrate erano ricoperte di una condensa solida, fatta di vapore acqueo e periferia in polvere.
I tavoli erano tutti vuoti, quindi ci siamo accomodati e abbiamo iniziato a sfogliare il menù e darci un'occhiata intorno: stelle marine, pesci di terracotta, grappoli d'uva finti e la fotografia di un calesse a Trani. Era tutto piuttosto malinconico, ma non sembrava particolarmente sporco o tremendo. Le tovaglie però erano lise e macchiate e le posate ruvide e rovinate, forgiate dal fuoco di mille lavastoviglie.
Abbiamo deciso di ordinare il primo piatto sul menù, l'Antipasto San Michele, e un cous cous di pesce. Nonostante fossimo gli unici clienti, i nostri piatti sono arrivati dopo 45 minuti.
Il polpo e i totani dell'antipasto, annegati in una pozza d'olio, erano semicrudi. Forse siamo poco aggiornati, ma il collante industriale non dovrebbe far parte della ricetta per le capesante gratinate; alla fine siamo riusciti a staccarle usando il coltello come scalpello.
Al momento di pagare, 29 euro di stoicismo e gastrolesività, abbiamo pensato di fare una visitina al bagno (chissà da dove ci è venuta questa idea) e al posto della carta igienica c'erano tre sedie.
La prima esperienza ci ha lasciato un retrogusto di nostromo carbonchioso in bocca e i villi intestinali in rivolta, ma anche un certo languorino.
Ci siamo quindi messi per strada, destinazione Trattoria Da Lina, vicino alle Colonne di San Lorenzo: una specie di istituzione milanese. Alla proprietaria è dedicata anche una pagina su Facebook. Il collega che ce lo ha segnalato lo ha ironicamente descritto come il posto dove "quelli dell'ASL potrebbero entrare con le tute da palombaro."
Le recensioni su TripAdvisor si dividevano equamente fra un romanticismo entusiasta: "Ogni bel ricordo è un sorriso, ogni incontro surreale è un pezzo di cuore abbandonato da qualche parte. La Lina, come avrebbe detto Wilde, non va capita, va soltanto amata. Diffidenti per le brutte recensioni e le indignazioni eccessive, approdiamo in questo angolo storico di città. La curiosità prevarica sul rischio di una brutta esperienza, e si rivela il modus operandi migliore. Attenzione: non è un ristorante, non pretendete di mangiare bene. Non è neanche un'osteria, è una sala da 'oratorio', un prolungamento del soggiorno di casa, e un pezzo di vita di Lina e Tony. Abbandonate l'occhio critico, chiudete ogni contatto con l'ufficio d'igiene e lasciatevi andare."
E il sentenzioso: "Il peggior ristorante del mondo."
Appena entrati ci sembra di stare in un posto sospeso tra un bar degli anni Sessanta (come se ne avessimo mai visto uno)
E un oratorio.
Il tutto è reso sublime da lanterne cinesi, zucche di halloween e macchie sulle tovaglie. Anche qui siamo gli unici clienti.
La proprietaria, Lina, è una signora anziana con un forte accento milanese. Ci fa sedere e prima che riusciamo ad aprire bocca si mette a raccontarci aneddoti sulla trattoria e su di lei. È difficile seguirla, perché mentre parla si muove in continuazione e sbuca da tutte le parti. La Lina è nostra nonna.
Ci chiede se vogliamo il menù fisso, e noi, con lo stomaco ancora debilitato, decidiamo di smezzarcene uno in due.
Il locale è pieno di cartelli con divieti e avvertimenti.
Mentre scattiamo una foto Lina spiega che è stata obbligata a fissarlo a quella porticina, e la apre. Dall'altra parte del muro c'è un lavandino, e in mezzo una scala ripida che scende in cantina. Se uno si volesse lavare le mani dovrebbe farlo restando fuori dalla porta.
"I ragazzi continuavano ad appoggiarsi, e c'era il pericolo di cadere e farsi male. Fino a poco tempo fa questo era l'unico lavandino, perché il bagno un tempo era fuori, nella corte del palazzo. Adesso però ne ho anche uno interno, bisogna averlo per legge."
Nel bagno costruito per legge c'è un odore persistente di umidità e muffa, l'intonaco delle pareti è scrostato, e accanto alla porta sono appoggiate delle scale e arrugginite. Intanto Lina è andata a prepararci da mangiare, ma l'odore di carne bruciata che arriva dalla cucina non è esattamente invitante. Il menù era composto da "antipasto, risotto e carne in umido."
Ci sentivamo quasi in colpa a non mangiare, quindi ci siamo sforzati di finire, e vergognandoci per il fallimento abbiamo cercato di nascondere la spalla e il salame impilando i piatti. Un tentativo abbastanza stupido, perché poi Lina si sarebbe sicuramente accorta che avevamo nascosto il cibo, ed è una cosa che ci ha tenuti svegli la notte (insieme al mal di pancia).
Lei intanto continuava a portarci cose da mangiare: ci ha messo davanti del riso e un po' di insalata. Il riso è stata la portata che abbiamo preferito in assoluto, anche se non capivamo bene quali fossero gli ingredienti e non sapeva praticamente di niente.
Dopo il riso è arrivato un pezzo di carne in umido, che è toccato a chi era rimasto senza riso. Dopo i primi tre bocconi vi assicuriamo che era praticamente impossibile continuare: non siamo riusciti a capire bene da dove provenisse l'odore di carne bruciata, perché quella che ci ha servito Lina era praticamente cruda. Considerate inoltre che chi l'ha assaggiata è lo stesso che si è fatto una settimana mangiando solo cibo pronto dell'Eurospin: non esattamente un palato fino quindi.
A questo punto la cena ha assunto una strana piega martire, perché Lina continuava a sincerarsi che mangiassimo tutto, e noi non sapevamo più dove nascondere la roba. Fortunatamente dalla porta sono entrati dei ragazzi nel locale per bere qualcosa, e lei si è distratta.
I ragazzi sembravano dei frequentatori abituali, hanno salutato e si sono accomodati spostando le sedie a loro piacimento e mettendo della musica. A questo punto abbiamo capito perché la trattoria è un'istituzione: con qualche spicciolo è possibile raccattare delle legnate epiche, dato che i liquori costano poco, lei ti riempie il bicchiere fino all'orlo e, soprattutto, capita che le passi di mente di avertelo già riempito. Si è creata subito un'atmosfera allegra, ma noi nostro malgrado non abbiamo potuto partecipare: abbiamo approfittato per pagare velocemente il conto e fuggire. Non volevamo si accorgesse che la nostra cena era praticamente tutta nascosta sotto ai piatti.
Comunque è tutto in regola e il nostro collega si sbagliava.
La sera seguente ci siamo apprestati a portare a termine il nostro tour gastronomico con molto meno entusiasmo. "Non è stata una notte semplice" è il mantra che ci ha accompagnato verso Via Ripamonti, dove ci attendeva Il Mago. Il ristorante ci era stato segnalato come "una delle esperienze alimentari più inquietanti della mia vita," e Su Trip Advisor la percentuale di scarso/pessimo era del 76 percento.
Siamo fortunati però: l'atmosfera non esattamente allegra è stemperata dalla presenza della cantante Grazia, una donna sui sessanta che se ne sta in un angolo con una pianola a cantare il repertorio neomelodico italiano a un volume sufficientemente alto da impedire la conversazione. A un certo punto chiama un signore di mezza età con i capelli cotonati, e insieme guidano una filippica contro le canzoni moderne, stonando praticamente ogni nota di quelle vecchie.
Siamo praticamente costretti a ordinare delle linguine ai funghi e gli "spaghetti del Mago" perché l'80 percento degli ingredienti presenti sul menù non è disponibile. Ci viene indicato con un cenno il buffet degli antipasti.
È il ristorante in cui trascorriamo meno tempo: i "funghi" delle linguine somigliano a delle squame bianche gelatinose, e il sapore non ricorda tanto dei funghi ma qualcosa che sa di funghi. In più viene fuori che l'ingrediente segreto degli spaghetti sono i capelli.
Lasciamo i piatti praticamente come sono, paghiamo il conto e saliamo in macchina per provare a mettere fine all'esperimento. Arriviamo dunque all'ultima tappa del nostro viaggio: El Rincón De Lupita.
Si tratta di un ristorante peruviano ecuadoriano in zona Loreto, ed era stato segnalato da più di un ragazzo in redazione per il suo potere lassativo.
Il locale è piccolo, e accanto al bancone ci sono un paio di sacchi neri della spazzatura. Probabilmente siamo capitati nel mezzo di un compleanno, perché è pieno di palloncini e festoni, e tutti ci fissano straniti. Ci sono un mucchio di bambini che strillano, corrono e giocano attorno ai tavoli e cerchiamo di limitare le foto.
Una cameriera gentile e sorridente ci chiede cosa vogliamo mangiare. "Il venerdì è la serata del buffet, ma potete prendere anche altre cose."
Dopo aver dato un'occhiata al buffet scegliamo "altre cose". Ordiniamo un piatto a caso da dividere, perché dopo questi due giorni lo stimolo dell'appetito con tutta probabilità ci è passato per sempre. Mentre aspettiamo diamo un'occhiata al bagno, soltanto per dovere di cronaca, ovviamente, e scopriamo che la spazzatura qui deve essere importante, perché praticamente sta dappertutto.
Finalmente arriva l'ultima portata del nostro esperimento, un piatto di riso e fagioli con delle robe bianche che galleggiano.
E un piatto di carne mista alla brace con del platano fritto.
La carne non sarebbe neanche male, ma facciamo l'errore di consumarla insieme al platano, che ci lascia un sapore oleoso e terribile in bocca (sì lo sappiamo che è il suo sapore normale, infatti questa è una critica generalizzata al platano in sé e per sé).
A un certo punto parte un nuovo karaoke, e anche se quelli che cantano sono di gran lunga più bravi della signora Grazia, noi decidiamo comunque di lasciare il locale.
Mentre guidiamo nel traffico per tornarcene a casa a piangere i nostri villi intestinali sul barattolo della citrosodina, fissiamo la gente che affolla i ristoranti del centro e vorremmo poter essere loro.
In definitiva quello che abbiamo imparato è che, per quanto riguarda i ristoranti di Milano, se il livello di pulizia di un locale vi sembra assimilabile agli standard igienici che vigevano sull'Amistad, state certi che il cibo non tradirà le aspettative.
Probabilmente i medici veterinari dell'Asl non hanno sequestrato gli insetti alla Sidreria perché rischiavano di non essere commestibili, ma perché speravano che lo fossero una volta tanto.


Il Montenegro dice no a McDonald's

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La piccola repubblica adriatica, assieme ad Islanda e Corea, è fra i paesi che non vogliono la catena di fast food perché non appoggia la globalizzazione e poi il cibo è malsano.

Le catene di fast food McDonald's sono diffuse in tutto il mondo ma alcuni paesi, tra cui il Montenegro , hanno deciso di opporsi ad un marchio popolare ed hanno detto “no” al gigante del fast food. Lo racconta la rivista americana “The Daily Meal“. "Potete trovare un McDonald's in alcune località piuttosto remote, come nei pressi del carcere di Guantanamo Bay a Cuba, nel deserto del Negev in Israele, sotto il museo del comunismo di Praga e anche all'interno di un vecchio aereo in Nuova Zelanda. Tuttavia, McDdonald's non è dappertutto, ci sono paesi soprattutto in Africa e in Asia centrale, dove gli "archi dorati" devono ancora aprire un ristorante, si legge oin un articolo intitolato "I dieci paesi che hanno vietato McDonald's.
Alcuni paesi hanno direttamente vietato l’ingresso a questa azienda: il Montenegro, per esempio, dice di essere contrario alla globalizzazione ed ai grandi marchi globali perche’ vuole permettere loro di dominare il mercato. “The Daily Meal”, una rivista specializzata in cibo e bevande, ricorda che poco più di dieci anni di McDonald's era presente nel capitale montenegrina Podgorica durante l'estate, con un piccolo ristorante mobile. "Era un modello di business popolare che stava andando bene, ma il governo non vuole che prosegua. Il Montenegro resiste da lungo tempo ai principali marchi globali che dominano il mercato strangolando le piccole imprese", recita il testo di un comunicato ufficiale.
Il governo aggiunge di nutrire preoccupazioni per la salute dei suoi cittadini, rispetto ai ristoranti locali il cibo di McDonald's è malsano e provoca "grande preoccupazione" nel pubblico. McDonald attualmente non lavora neppure in Islanda , dove chi vuole aprire la propria versione della catena di fast food dovrà utilizzerà prodotti locali e incoraggiare l'industria nazionale. La corona islandese quattro anni fa ha subito un collasso e tutti e tre i ristoranti McDonald nella capitale Reykjavik avevano chiuso, adesso non ci sono piani per riaprire ed i funzionari governativi non hanno voluto autorizzare nuove aperture perché preferiscono dar vita ad una variante locale della catena.
Altri paesi, come la Bolivia, hanno chiuso tutti i ristoranti McDonald's perché catena di fast food proprio non era conveniente. Non che i boliviani non piacesse l’hamburger sembra che la popolazione semplicemente non concepisca il concetto di “fast food”. Anche la Corea del Nord non è mai stata appassionata ai grandi marchi, soprattutto se degli Stati Uniti. "Questo però non ha impedito all'attuale leader Kim Jong e ad altri membri del regime di farsi spedire segretamente hamburger nelle loro case con l'aiuto di aerei civili”, sostiene la rivista.
I ristoranti della McDonald's hanno diversi problemi anche negli Emirati Arabi Uniti e nello Yemen, in parte a causa della debolezza dell'economia e in parte a causa della minaccia di militanti religiosi che attaccano le strutture americane nella zona. A Bermuda McDonald's ha cercato di costruire il primo ristorante nel 1999, ma la gente del posto ha rifiutato, tanto da far approvare una legge che nel paese vieta tutti i ristoranti in “franchising“.
Il Kazakistan è il più grande fra i paesi che hanno detto “no” a McDonald's anche se la situazione potrebbe cambiare presto: i media locali hanno riferito che un importante centro commerciale vorrebbe aprire un “fast food” in stile americano.
In Macedonia, McDonald's ha operato per 16 anni, poi i dirigenti della sede europea della societa’ e le aziende macedoni che avevano ottenuto il “franchising" hanno risolto il contratto e tuttri i sette ristoranti del paese hanno chiuso.
Come in molti paesi africani, l'economia del Ghana potrebbe non essere abbastanza forte per sostenere l'apertura del “McDonald's” visto che la maggior parte dei cittadini non ha un reddito sufficiente a diventare clienti ma in aggiunta a questo, il Ghana non vuole un “McDonald's”. Ci sono voci però che il gigante alimentare stia cercando di aprire nella capitale un ristorante. Più di dieci anni McDonald's ha cercato di ottenere un franchising in Zimbabwe, ma la tempesta politica ha portato al crollo totale dell'economia, e le sanzioni internazionali hanno costretto molte marche di fama mondiale ad andarsere.Due mesi fa, il Vietnam ha aperto il primo ristorante McDonald's nella capitale a seguito dei molti marchi internazionali come Starbucks, Subway, Burger King e la pizza di Domino", conclude la rivista americana.

Cibo d'amore

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METTERSI A DIETA È UN RITUALE ESSENZIALE PER OGNI RAGAZZA DEL PIANETA. MA COME PER OGNI ALTRA COSA, LE RAGAZZE IN GIAPPONE SPINGONO IL LIMITE UN PO’ TROPPO IN LÀ, DRITTO AL PUNTO IN CUI DIVENTA FONDAMENTALMENTE UN DISORDINE OSSESSIVO-COMPULSIVO. LA MANIA DIETETICA DEL “MANGIA E PERDI PESO!” È UN AFFARE NAZIONALE. CI SONO UN SACCO DI DIETE SOLO-BANANA E SOLO-NATTO [fagioli di soia fermentati che puzzano come se i tuoi piedi avessero cagato su una montagna di spazzatura, ndr]. Appena questi programmi vengono illustrati in televisione, puoi scommettere che il giorno successivo il prodotto in questione scomparirà miracolosamente dagli scaffali del tuo supermercato di zona. Mangiare e perdere peso al tempo stesso sembra, uhm, stupido per persone come me e te, ma per le signorine giapponesi che hanno già testato ogni singolo programma dietetico esistente, è solamente un altro modo per evitare di affrontare una nuova routine e mollare i dolci, che è probabilmente l’unico vero sistema per perdere peso.
Tuttavia, è proprio qui in Giappone che un gruppo di ragazze non-proprio-magre gestisce il Pomeranian: The Chubby Maid Café ad Akihabara, la mecca degli otaku. Le ragazze sono vestite da cameriere francesi con tanto di grembiulino, e si portano tutte addosso un’accogliente e piacevole dose di ciccia. Chiamano i loro clienti “padrone” e soddisfano ogni loro bisogno culinario. In Giappone, il Paese che ha prodotto le magre-come-un-binario, aranciabbronzate, shopping-dipendenti kogal, queste paffute seduttrici sono come una brezza calda ed emolliente che profuma di cioccolato al latte.
Quando sono andato a incontrare alcune delle ragazze del Pomeranian, ho provato uno strano senso di calma. Sarà stato perché lasciano strabordare tutto senza vergogna, o forse solo perché ero circondato da ragazze cicciotelle che mi facevano dimenticare di quanto io sia grasso.
In un modo o nell’altro, il fatto di mostrare con orgoglio i loro rotolini in un Paese famoso per il suo basso tasso di obesità e l'alto tasso di omologazione, rende queste ragazze una specie di equivalente buongustaio di un punkabbestia che lancia una molotov in una banca. E in più sono carine. L’abbiamo già detto? Sono molto carine.
Ichigo
Come è nata l'idea del “chubby café”?
Ichigo:
Lavoravo in una normale caffetteria, ma a un certo punto mi sono resa conto che tutte le ragazze erano più magre di me. Credo di aver provato un senso d’inferiorità, ma poi ho cercato di pensare a come ribaltare la cosa e farla funzionare per me. Ed è così che ho avuto l’idea per questo posto.

I maid café sono una cosa molto giapponese. Essere trattati così gentilmente da una cameriera destabilizzerebbe parecchi stranieri.
Personalmente sono una grande fan dei maid café e ci lavoro da almeno cinque anni. Le cameriere sono molto educate e offrono un ottimo servizio. Le cameriere normali possono sbattere sul tavolo un bicchiere d’acqua, mentre quelle dei maid café sono molto attente al modo in cui ti servono e a come ti riempiono nuovamente il bicchiere. Adoro il modo in cui mostrano quanto tengono al cliente.
Hai qualche cliente speciale?
Sì, un cliente ha voluto fare una polaroid con ogni singola cameriera. Abbiamo un servizio per cui puoi farti una polaroid con una cameriera per 500 yen, e quell’uomo ha voluto posare con ognuna delle ragazze. È stato tutto il giorno al café, aspettando i turni in modo che potesse incontrarci tutte. Penso sia un collezionista di foto di cameriere [ride].
Hai qualche aneddoto sulla tua cicciosità come vantaggio?
Mmm, vediamo... Penso che potrei farti un paio di esempi, ma il migliore è che la gente ritiene che io sia facile da approcciare. Quando piove e non ho un ombrello, le vecchie signore mi lasciano andare sotto al loro. Inoltre, mi chiedono un sacco d’indicazioni stradali. Penso mi credano amichevole, ma se questo sia un vantaggio o meno, be', non lo so! In ogni caso, la gente tende a essere più aperta con me.
Anch’io sono cicciottello. Pensi che dovrei essere più sicuro di me stesso?
Certo. Credo che sia decisamente meglio per gli uomini essere un po’ paffuti, piuttosto che essere magri come un rastrello, perché così trasudano un senso di gentilezza. Vale anche per le ragazze, che spero non considerino la cicciosità come una cosa negativa. Ci sono tante ragazze là fuori pienotte e attraenti, e si dovrebbe pensare a loro come a punti di riferimento. E, anche se noti che qualcuno è grassottello, non dovresti commentare il suo peso insistentemente [ride]. È una aspetto peculiare di quelle persone, ed è una bella caratteristica da avere.
TSUKASA
Al momento sei la capocameriera. Quando hai cominciato a lavorare qui?
Tsukasa:
Circa un anno fa. Il primo evento del Pomeranian si è tenuto il 6 ottobre dell’anno scorso, e io mi sono unita al gruppo per il terzo che si è svolto a dicembre. In qualità di capocameriera passo le informazioni alle altre, do loro delle direttive, e lavoro come organizzatrice.
Qual è il tuo punto di forza?
Dunque, anche qui mi trovo nella squadra delle più grosse, quindi in un certo senso credo di trasmettere l’idea fondante del café. A dire la verità, credo che tra tutte le ragazze, Ichigo sarebbe più adatta ad essere la capocameriera. Detto questo, essere di questa misura mi si addice, quindi credo che i clienti che amano le ragazze paffute siano attratti da me. Ma questo non significa che amo me stessa per questo motivo.
Lavorare al Pomeranian ti ha cambiato in qualche modo?
Una volta ero abbastanza timida, ma lavorare qui mi ha reso una persona che apprezza di più stare con gli altri. Conoscere tanta gente diversa e passarci del tempo insieme, è stata una cosa molto positiva per me. Sono felice di farlo.
Qual è il tuo cibo preferito?
Il gelato, specialmente il gelato soft. Ne ho mangiato un po’ ieri e, a dir la verità, una volta al giorno sarebbe il mio minimo ideale [ride]. Mi piace così tanto che forse potrei mangiarlo in ogni momento della giornata. Il mio gusto preferito è fiordilatte o crema, quella densa. Qualsiasi cosa, basta che ci sia il latte dentro. Di solito non bevo latte, ma tendo a preferire i gelati che hanno un corposo sapore di latte.
Di cosa parli con i clienti?
Di solito facciamo dei commenti sui loro vestiti o su cosa hanno portato con loro. Oppure, per esempio, oggi avevamo inscenato un contesto scolastico, perciò chiedevamo a chi entrava se gli sarebbe piaciuto essere chiamato senpai [un’espressione giapponese per riferirsi a quelli dell’ultimo anno di scuola, ndt] o “maestro”, e in base a quello cominciavamo a conversare. Quindi con i senpai parlavamo come se fossimo delle ragazze più piccole che li ammiravano, mentre con i maestri facevamo finta di essere delle loro studentesse. Ci inventiamo ogni volta dei nuovi contesti, quindi a volte ci puoi vedere vestite da cameriere, ed altre in modo completamente diverso. Dipende.
KOZUE
Qual è il tuo ruolo al café?
Kozue:
Sono la vice-capocameriera. Di fatto, assisto la capocameriera. Pianifico i progetti e mi occupo dei dettagli finali. Per esempio, in questo momento un sacco di scuole stanno ospitando dei festival scolastici, quindi abbiamo deciso di organizzare un festival scolastico al Pomeranian. Indossiamo tutte delle cose che si metterebbero a scuola, come le divise sportive. Ad aprile, abbiamo allestito degli eventi per cui vestivamo delle normali divise scolastiche per richiamarci alle cerimonie d’iscrizione che le scuole giapponesi organizzano per i nuovi arrivati. Durante il periodo natalizio, abbiamo messo tutte dei completi stile Babbo Natale. Abbiamo anche avuto il Giorno dei Codini, in cui tutte le cameriere avevano i codini e indossavano il solito costume da cameriera. Questo è stato un grande successo; i clienti l’hanno trovato rinfrescante. Quindi, al posto di essere semplici cameriere, abbiamo diversi temi a seconda delle stagioni.
Cosa ti piace mangiare?
I carboidrati, tipo gli spaghetti ramen con il curry. Di tutte le cameriere in questo café, sono quella con l’appetito più grande. Ho un metabolismo veloce. Quando andiamo fuori per pranzo, finisce che comincio a mangiare come una matta, ordino porzioni di riso extra-large e simili... E poi mi prendo il gelato con la panna montata come dolce e alla fine mi sento ancora affamata.
Fai qualche sport?
Sono una cheerleader della mia università. La nostra squadra è arrivata seconda ai campionati nazionali. Essere cicciottelle è ok per le cheerleader, perché devi prendere le persone al volo e fare movimenti decisi. È uno sport che ti fa usare tutto il corpo, e a volte devi tenere in equilibrio le altre ragazze sulle tue spalle, quindi penso che sia meglio essere robuste, da quel punto di vista.
Qual è la tua posa caratteristica quando i clienti chiedono di farsi una polaroid con te?
Una delle pose più comuni è quando tu e il cliente unite le dita per fare la forma di un cuore. Inoltre, dal momento che il café si chiama Pomeranian, spesso indossiamo delle orecchie da cagnolino sulla testa con il nostro solito costume da cameriera, e ne mettiamo un paio anche al cliente. E poi facciamo una cosa che chiamiamo la “posa delle orecchie da cagnolino”.
KAYA
Da quanto tempo lavori al Pomeranian?
Kaya:
Sono al Pomeranian da quando ha aperto, quindi oggi è un anno e un mese.
Come ne sei venuta a conoscenza?
Be', prima che il Pomeranian diventasse il Pomeranian, c’era un gruppo chiamato Utahime Party che ospitava degli eventi. Come il Pomeranian, era un luogo in cui la gente grassa s’incontrava, faceva cosplay, e si divertiva. Facevo parte dello staff di questi eventi, a cui partecipava anche Ichigo. Un giorno è venuta da me e mi ha offerto un lavoro qui.
Qual è il tuo personaggio da cameriera?
Dunque, al Pomeranian la maggior parte delle ragazze sono solari e allegre, e ho pensato che l’unica cosa da fare fosse il contrario. Da quel momento, il mio personaggio è stato quello della persona seria e severa.
Cosa fai per rendere il tuo ruolo severo?
Ci sono cose che non puoi fare, tipo tingerti i capelli e devi anche essere sempre attenta al tuo comportamento. È abbastanza difficile.
E cosa mi dici di quando chiacchieri con i clienti?
Quando converso con loro, sto attenta a non fare errori con il mio keigo [un modo molto educato di parlare giapponese, ndr]. Ho studiato il dizionario abbastanza costantemente per essere sicura di farlo bene.
E come reagiscono i clienti?
Alcuni lo apprezzano, altri pensano che questo personaggio sia troppo rigido.
Hai mai desiderato perdere peso?
Certo, come ogni ragazza ho sempre in testa l’idea di perdere peso. Poi però penso al Pomeranian.



Carnikavas nēģi

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La Carnikavas nēģi è una denominazione che designa le lamprede pescate e cucinate nella zona dell'estuario del Gauja, situato sul territorio del comune di Carnikava, nella regione della Livonia, in Lettonia.
La pesca è autorizzata, dal 1º agosto al 1º febbraio, solo lungo il fiume Gauja del comune dove l'attività della cattura e della lavorazione delle lamprede è di antiche tradizioni.
La denominazione riguarda sia le lamprede fresche, sia le lamprede preparate in aspic, e dal 20 febbraio 2015, la Carnikavas nēģi è il primo alimento lettone iscritto nel registro europeo delle indicazioni geografiche protette (IGP)
A Carnikava esiste anche un sagra della lampreda che si svolge ogni anno alla fine di agosto.
A notare che nello stemma cittadino è raffigurata una lampreda.


Qual è il tempio del pollo fritto a Roma, e perché è più buono di quello americano

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Siamo andati nel nuovo locale dei The Fooders, aperto negli stessi locali di Mazzo a Centocelle.
E i loro panini spaccano.

A Dicembre cerco sempre, con tutte le mie forze, di mangiare poco fuori in vista delle abbuffate natalizie in casa ma, come immaginerete, fallisco spesso. Così, felicemente rassegnato, ho deciso di cavalcare l’onda del tracollo e, pochi giorni prima di Natale, ho fatto il pieno di pollo fritto in quello che in pochi mesi dall'apertura è già diventato il tempio del pollo fritto a Roma. Non a caso dietro ci sono due ragazzi che qui a Munchies conosciamo molto bene: i Mazzo - The Fooders o, come li chiamano i genitori, Marco Baccanelli e Francesca Barreca. Con loro altri due soci: Giuseppe Ricciardulli ed Emanuele Repetto di Artisan, birreria artigianale nel quartiere San Lorenzo.
Circa un anno fa, proprio quando il loro ristorante Mazzo aveva raggiunto il momento più alto di notorietà, abbassano la serranda e chiudono il locale. I due chef si cimentano in un vero e proprio tour mondiale: il “Mazzo Invaders”. Dalla Sardegna fino al Giappone, portano la loro cucina nel mondo (alcune delle loro avventure le avete viste anche sul nostro canale Instagram).
Marco e Francesca mi parlano della necessità di aggiungere qualcosa di nuovo alla loro proposta ristorativa. Mi raccontano anche che la gestione di Mazzo era diventata difficile: fuori c’era sempre fila ma il locale era troppo piccolo per accogliere tutti (Mazzo aveva un unico tavolo per sole dieci persone). La situazione quindi, che sulla carta poteva sembrare rose e fiori, nella realtà dei fatti aveva bisogno di essere rinnovata e riadattata. Per questo motivo hanno deciso di chiudere, che poi chiudere non è.
Durante quest’anno in giro per il mondo, non hanno mai davvero lasciato Roma. Un pezzo di cuore - e di lavoro - è rimasto a Centocelle. Nelle stesse mura di Mazzo, con pochi posti a sedere e all’esterno due file di lampadine che illuminano i tavolini, hanno aperto Legs.
Quando sento di Legs e del suo essere focalizzato solo sul pollo fritto, ho subito un po' di dubbi: in questo periodo a Roma spuntano di continuo nuovi bistrot monotematici senza personalità, che poi chiudono altrettanto velocemente. In più il pollo al momento sembra essere l'unico vero trend capitolino, tolto l'orrido poke, fatto male: altri grandi nomi della ristorazione come Niko Romito e Gabriele Bonci stanno ridando al pollo fritto quel che è del pollo fritto, ovvero un procedimento di preparazione e una dignità che lo allontanano dal metodo all’americana, che poco ci appartiene.
Ovviamente tutte queste perplessità che avevo all'inizio su Legs, vengono spazzate via dalla proposta dei The Fooders. Arrivo, mi offrono una birra e mi chiedono se voglio assaggiare qualcosa. Anche voi avreste detto di sì. Azzanno è il Legs Burger: bun al burro rigorosamente sfornato da Bonci con all’interno 150gr di sovraccoscia panata e fritta, coleslaw, salsa legs (una maionese alla cacciatora) e cetriolino sottaceto.
La cosa che mi regala più gioia è la facilità con cui riesco a staccare il primo morso, senza trovarmi con tutti gli ingredienti del panino, fuori dal panino. Forse non sarò un’esperto di hamburger, ma sui burger di pollo fritto sono piuttosto ferrato, e quello di Legs sale sul mio personalissimo podio dei più buoni mai mangiati.
A seguire, tanto per non farmi mancare nulla, provo la trippa fritta, che era un cavallo di battaglia dei due cuochi anche da Mazzo. Decido poi di farmi un cestino di solo pollo fritto “per assaggiarlo meglio”, mi giustifico. I ragazzi mi spiegano, a me che sono un profano dei fornelli, cosa lo rende così buono. Mi dicono che il pollo viene prima fatto marinare in delle spezie, poi cotto a bassa temperatura, schiacciato, panato e per finire, fritto.
Il pollo di Legs rimanda anche alla cucina della domenica a pranzo, quella cucina dell’infanzia che suscita sempre grandi emozioni. Dietro c’è solo una spiegazione: l’uso del pangrattato.
Ma la ciliegina sulla torta arriva quando meno me lo aspetto, nel momento più alto di scetticismo. Mi consigliano di assaggiare il broccolo fritto e io, che mangio verdure anche a merenda, ho l’obbligo di non mollare proprio ora. Posso solo dire che è entrato a far parte delle mie cose preferite nell’istante esatto in cui l’ho morso per la prima volta; non per aggiungere altra sofferenza e languori di pancia, ma ne esiste anche una versione burger.
Avrei provato volentieri anche i Funghi Burger, i PopCorn di pollo o il Sano Burger (un Legs burger con la sovraccoscia alla griglia anzichè panata e fritta), ma anche io ho un ritegno. Ad accompagnare tutto questo popò di roba ci sono le birre dei ragazzi di Artisan.
Vado via chiedendo a Francesca e Marco qualche informazione sul tour. Per il momento piccola pausa, ma si riprenderà già nella prima metà del 2020. E sicuramente ci sarà un Mazzo in versione 2.0: stessa anima, ma maggiore consapevolezza. Niente paura, nessun piatto fusion, semplicemente una rinfrescata a una cucina che ha colonne portanti ben salde al terreno, quello romano. Bisognerà aspettare un po’ ed essere pazienti; d’altronde, citando le loro stesse parole:“per dare vita ad un nuovo progetto, devi essere tu stesso una persona nuova”.
Intanto c'è il pollo fritto che, insomma, mi pare un ottimo modo per aspettare.

Bombette

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Con il termine bombette si indicano degli involtini di carne fresca di maiale ripieni solitamente di formaggio, sale e pepe. Ricetta nata a Cisternino intorno agli anni 60, ma tradizionalmente diffusa in tutta la Puglia e preparati in tutto il territorio della Valle d'Itria (in particolare Martina Franca, Cisternino e Locorotondo, oltre che diffuse in gran parte delle province di Taranto e Brindisi con ricette variabili da località a località).

Nome
Il nome fa evidentemente riferimento alla forma arrotondata e alle piccole dimensioni di questi involtini, nonché al loro ripieno che genera una vera e propria "esplosione" di sapore.

Descrizione
Le bombette sono degli involtini di carne di dimensioni piccole (3–5 cm), preparati con fettine di capocollo (coppa di maiale) ripiene di tocchetti di formaggio canestrato pugliese, sale, pepe ed in alcuni casi prezzemolo. Questi involtini sono usualmente cotti sulla griglia o molto più tradizionalmente nei fornelli delle macellerie. Come cibo di strada sono servite in coni alimentari, quasi sempre accompagnate da una fetta di pane locale.

Preparazione
Si utilizzano per questa specialità fettine scelte di capocollo di maiale (coppa); le fettine di carne vengono adagiate su un tagliere e solitamente farcite con formaggio canestrato pugliese, sale e pepe, quindi arrotolate e richiuse manualmente sino a creare un vero e proprio "fagottino". Gli involtini così ottenuti possono essere cotti sulla griglia o anche al forno.

Varianti
Esistono molte varianti di questa specialità, le cui ricette vengono spesso gelosamente e segretamente custodite dalle singole macellerie che ne fanno un vero e proprio vanto, originando una gran varietà di bombette "della casa". Tra le più diffuse possiamo ricordare quelle senza alcuna farcia, semplicemente condite con sale e pepe, oppure quelle avvolte da una fettina di pancetta tesa, quelle contenenti prosciutto al posto della carne tritata o ancora quelle dal ripieno piccante spesso denominate "bombette messicane".

Diffusione
Le bombette alla brace sono preparate e cotte al momento da moltissime bracerie e macellerie delle province di Bari, Brindisi e Taranto, dove è possibile pertanto gustare questa pietanza già cotta o acquistarla a peso in modo da poterla cuocere presso la propria abitazione. Al di fuori del territorio della Valle d'Itria e delle province di Bari, Taranto e Brindisi le bombette costituiscono una rarità anche se, col passare del tempo, si stanno iniziando a conoscere in altre località dell’Italia.


 
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