Virtù

0 commenti

Risultati immagini per Virtù (gastronomia)


Le virtù sono un piatto della cucina teramana, caratteristico del primo di maggio.
«Al primo di maggio noi usiamo di cucinare insieme ogni sorta di legumi, fave, fagiuoli, ceci, lenti, ecc. con verdure ed ossa salate, orecchi e piedi pure salati di maiali; e questa minestra chiamiamo Virtù ...»
(Giuseppe Savini, Lessico del dialetto teramano)

Storia

Piatto dalla storia controversa di cui molti paesi rivendicano la primogenitura ma le cui origini romane sembrano incontestabili e riconosciute dallo stesso Giuseppe Savini, primo a studiare in modo sistematico le tradizioni e il folklore della provincia di Teramo.
Savini infatti, cita Poggio Bracciolini (1380-1459) che riferisce come questo piatto ai suoi tempi fosse molto noto a Roma, dove si consumava proprio alla data del 1º maggio ed era chiamato con lo stesso nome di Virtù, oggi usato in Teramo.
(LA)
«Facetum Contra Romanos Qui Edunt "Virtutes":
Calendis Maii, Romani varia leguminum genera, quae virtutes appellant, simul coquunt mane eduntque. Franciscus Lavegnis, Mediolanensis, per jocum, cum is mos recitaretur inter socios: -- 'Nequaquam mirum est,' inquit, 'Romanos a superioribus degenerasse, cum singulis annis eorum virtutes edendo absumant'»
(IT)
«Detto giocoso su i romani che mangiano le "virtù":
Ai primi di maggio i Romani raccolgono varie specie di legumi che chiamano virtù, le cociono e le mangiano alla mattina. Francesco Lavegni, di Milano, per ridere parlandosi fra amici di questo costume: «Non è da meravigliare», disse, «che i Romani abbiano degenerato dai loro maggiori, perché ogni anno le loro virtù hanno consumato mangiandole.»
(Poggio Bracciolini, oltre l'edizione citata da Savini cfr. ad esempio, Facezie, prefazione di Domenico Ciampoli, Lanciano, Carabba, stampa 1911)
Si tratta di un cibo molto antico che rispetta rigorosamente "le scadenze calendariali e i ritmi stagionali", scrive Giuseppe Di Domenicantonio in un suo studio, un cibo che se ormai è ufficialmente "adottato" come proprio dal popolo teramano, si ritrova, sia pure con altre denominazioni e caratterizzato da numerose varianti, in molti paesi d'Abruzzo.
Si dice che in passato le Virtù venissero prodotte dall'intera comunità che le distribuiva agli indigenti. In effetti tale usanza sembra permanere nell'abitudine a cucinare le Virtù in grande abbondanza e ad offrirle in omaggio ai vicini, alle persone care e anche a semplici e occasionali conoscenti.
In tutti i casi le Virtù appaiono legate all'incerta esistenza dei contadini che al termine dell'inverno vuotavano le madie e le ripulivano da tutti gli avanzi. Ai legumi secchi, così raccolti, si univano gli ingredienti freschi che già la nuova stagione aveva iniziato a produrre in abbondanza.
Tale credenza tuttavia per quanto molto nota non è molto seguita nella pratica e gli ingredienti in realtà sono sempre in numero maggiore. Resta il fatto che il sapore deve nascere dalla realizzazione di una perfetta miscela nella quale nessun ingrediente deve emergere.
Secondo Giuseppe Savini le Virtù venivano un tempo chiamate anche "li zocche" o "cucine" ma si tratta di espressioni ormai non più in uso.

Ingredienti

La scelta degli ingredienti può subire variazioni notevoli, sia nelle quantità che nella tipologia. Senza entrare qui nel merito della ricetta, delle quantità, delle proporzioni o della preparazione che richiede una procedura lunga e complessa, si elencano qui gli ingredienti base, in modo da dare un'idea concreta della varietà di elementi che concorrono alla realizzazione di questo piatto:
  • legumi secchi: fagioli di varie qualità, ceci e le lenticchie (da prepararsi separatamente e in modo diverso);
  • legumi freschi: piselli e fave in primo luogo;
  • verdure: zucchine, carote, patate, carciofi, bietole, indivia, scarola, lattuga, verza. cavolfiore, cicoria, spinaci, finocchio, rape;
  • odori: aglio, cipolla, maggiorana, salvia, timo, sedano, prezzemolo, aneto, noce moscata, chiodi di garofano, pepe o peperoncino, pipirella, menta selvatica, borragine, finocchietto selvatico, basilico;
  • carni: prosciutto crudo, cotiche di maiale, carne macinata di manzo, lardo, lonza, piedi e orecchie di maiale, pancetta, guanciale, polpettine (o pallottine) di manzo;
  • tipi di pasta: pasta di grano duro corta, pasta fresca all'uovo di varie forme e dimensioni, qualche tortellino e qualche raviolo di carne, con il tempo si sono aggiunte paste all'uovo anche colorate;
  • altri ingredienti: olio d'oliva, burro, sale, pepe, polpa di pomodoro.

Mazzarelle

0 commenti

Risultati immagini per Mazzarelle



Le Mazzarelle, pietanza tipica della cucina teramana, sono involtini di coratella di agnello avvolta in foglie di indivia legati con budelline dello stesso agnello. Così descritta, la pietanza sembrerebbe un secondo piatto ed è in effetti creduta tale da molti, che, prigionieri della prima impressione, la considerano una portata successiva ad altri piatti della cucina teramana come il timballo o i maccheroni alla chitarra, mentre invece, nella tradizione, le mazzarelle sono diventate un primo, anzi di fatto il primo "obbligatorio", del pranzo pasquale, una sorta di ouverture dedicata all'agnello ed evocatrice di un indimenticato e indimenticabile passato di quotidianità contadina. Piatto in apparenza semplice, le mazzarelle sono al centro di un irrisolto dibattito tra due scuole di pensiero: quella che le vuole semplici, cotte in un soffritto che ne esalti il sapore, e quella che le preferisce in umido, lasciate cuocere in un sughetto che si impreziosisce degli umori delle carni d'agnello.

Ricetta

Dosi per 4 persone: 1 coratella d'agnello (cuore, fegato e budella), un bicchiere e mezzo di acqua e vino, 1 mazzetto di maggiorana, agli e cipolle freschi, alcune foglie di lattuga, prezzemolo e peperoncino, aceto quanto basta.
Preparazione: Aprire le budella nel senso della loro lunghezza, lavarle e sciacquarle accuratamente. Quando le budella saranno diventate di color chiaro e ben pulite, sciacquare con acqua ed aceto. Tagliare a listelli la coratella, sciacquarla e metterla a scolare, dopo averla salata, insieme con le budella. Prendere una foglia di lattuga e porvi sopra, facendone un mazzetto, 3-4 listelli di coratella, cui bisogna aggiungere un po' di cipolla, di prezzemolo e d'aglio. Legare il mazzetto con le budella e via via che le mazzarelle saranno confezionate metterle a scolare e poi cuocere solo in olio. Quando le mazzarelle cominceranno a friggere (ed olio e acqua saranno stati assorbiti), aggiungere mezzo bicchiere d'acqua e vino, fare assorbire e versare ancora una volta la stessa quantità di acqua e vino. Ripetere nuovamente l'operazione. Se si vuole si può aggiungere qualche pomodoro a pezzetti. N.B. Per pulire bene le budella, strizzarle, ripetendo l'operazione più volte.

Ricotta affumicata di Mammola

0 commenti

Risultati immagini per Ricotta affumicata di Mammola

La Ricotta Affumicata di Mammola è uno dei Prodotti agroalimentari tradizionali italiani della provincia di Reggio Calabria a base di latte di capra, l'area di produzione è il territorio di Mammola.

Disciplinare

Storia, tradizione e usi:
Le aziende zootecniche che producono le ricotte sono a conduzione familiare. Anticamente molti pastori che abitavano nelle zone montane distanti dai centri abitati, conservavano le ricotte fresche con la tecnica dell'affumicatura e una volta a settimana le portavano al mercato per la vendita. Una tradizione molto usata è quella di regalare la Ricotta. Molti emigrati al rientro delle ferie la offrono agli amici e ne fanno consumo personale, per lungo tempo infatti il prodotto si conserva bene sottovuoto in frigo. Viene commercializzato direttamente dalle aziende zootecniche nel comprensorio di Mammola. La Ricotta è molto richiesta altresì sui mercati regionali, nazionali ed esteri e non si riesce a soddisfare le tante richieste dei consumatori. Da ricordare a Mammola la “Festa della Ricotta affumicata” che si svolge la prima domenica di giugno e la “Festa dei Sapori” che si svolge ogni anno il 7 dicembre, nella liete circostanze si degustano, con la Ricotta affumicata fatta dai pastori, altre pietanze tipiche, dagli antichi sapori ormai dimenticati.
La “Ricotta affumicata di Mammola” viene utilizzata: a fettine negli antipasti tipici calabresi; grattugiata sulle paste caserecce, quando la ricotta è più dura; a fine pasto, da sola o con un misto di formaggi, accompagnata con vino rosso.
I capi caprini censiti nei territori del Comuni sono: Mammola 2850.

Descrizione sintetica del prodotto


La Ricotta affumicata di Mammola si ottiene dal latte di capra, ed ha sapore particolarissimo di formaggio fresco leggermente salato. Ha consistenza morbida, e vellutata al tatto e di gradevole aroma affumicato, con la sua caratteristica forma, simbolo della fertilità.
Ingredienti utilizzati: Latte di capra.
Forma: Cilindrica con testa ingrossata a forma di fungo.
Dimensioni medie: Lunghezza 30 cm circa, diametro 6 cm.
Peso medio: 700/1000 gr. circa.
Sapore: Di formaggio fresco leggermente salato ed affumicato.
Odore: Di formaggio con l'aroma di affumicato.
Colore: Di colore del rosa scuro al dorato all'esterno e bianco all'interno.

Lavorazione prodotto

Tecniche di lavorazione:
Il latte caprino viene versato in un pentolone e riscaldato girandolo col mestolo. Dopo averlo tolto dal fuoco si aggiunge il caglio, si rigira ancora e si lascia riposare per più di un'ora. Si rompe la cagliata e dopo ulteriore attesa, con le mani si estrae il formaggio. Si porta il pentolone sul fuoco e si ricomincia a mescolare con un bastoncino di essenza locale a punta ramificata (minaturi). Le abili mani del casaro strappano quello che dopo opportuno trattamento diventerà il saporito formaggio caprino locale. Quando il latte incomincia a bollire, si immerge un rametto di fico tagliuzzato e si gira con il bastoncino, sempre per un lato, ancora per pochi minuti. Dopodiché la Ricotta fresca è pronta, la si toglie dal fuoco e con un cucchiaio di legno appositamente prodotto per questa delicata fase della lavorazione, viene messa nelle forme (fasceji) e quindi avvolta e protetta da profumate felci di montagna. La Ricotta il giorno dopo è tolta dalle forme e salata. Poi viene messa in un'impalcatura alta circa un metro e mezzo (1,5 m), dal piano di fuoco del focolare, su un letto di cannicci di castagno coperti da felci di montagna. Si accende sotto, un fuoco a fiamma moderata, usando legna fresca di castagno oppure di erica, in modo da produrre un fumo denso e profumato che va ad investire direttamente, da sotto, le ricotte. L'operazione di affumicatura dovrà durare mediamente 24 ore, girando le ricotte dopo le prime 12, se si preferiscono di consistenza morbida. Se invece si preferiscono più dure e consistenti, il tempo di affumicatura si allungherà in maniera opportuna. La Ricotta Affumicata di Mammola è da considerarsi un prodotto ricavato con tecniche molto antiche ed artigianali.
Periodo di produzione: Tutto l'anno in particolare dal mese di dicembre a giugno.
Materiali utilizzati: I pentoloni sono in acciaio e i cucchiai sono in legno di erica.
La bollitura del latte viene effettuata con il gas, sono in pochi quelli che ancora usano il fuoco a legna.
I contenitori delle ricotte fresche si chiamano fasceji (fatte di junco) di forma cilindrica, la mastreja è la tavola per la scolatura della ricotta, il minaturi è un bastoncino a punta ramificata.
I locali sono ambienti che si usano esclusivamente per la trasformazione del latte, nelle masserie.
I Locali dove avviene la produzione sono ambienti che si usano esclusivamente per la trasformazione del latte.
La Ricotta affumicata di Mammola con la suddetta scheda è stata inclusa dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali nell'Elenco Nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali, Suppl. Ord. Gazzetta Ufficiale N°167 del 18-7-02 pag. 11 N°58.

Caprino della Limina

0 commenti

Risultati immagini per Caprino della Limina

Il Formaggio Caprino della Limina è uno dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali Italiani della provincia di Reggio Calabria a base di latte, l'area di produzione è il territorio dei Comuni della Comunità Montana Limina: Mammola, Grotteria, San Giovanni di Gerace, Martone, Gioiosa Jonica, Canolo, Gerace e i Comuni limitrofi di Marina di Gioiosa Jonica, Siderno e Agnana.

Disciplinare

Il “Formaggio Caprino della Limina” si ottiene dal latte delle capre di varie razze indigene raggruppate in mandrie e condotte giornalmente in pascoli col sistema brado allevate nelle zone montane e collinari. Questi animali si adattano bene al clima locale, danno un'ottima resa e, grazie alla grande varietà di erbe, il latte prodotto è di alta qualità. La commercializzazione del caprino viene fatta direttamente dai produttori e nei negozi locali. Essendo molto richiesto, non si riesce a soddisfare le richieste dei consumatori. Negli ultimi anni, la produzione del formaggio caprino è diminuita in quanto alcuni allevatori hanno sostituito le capre con mucche da latte, perché più redditizie. È tradizione che i pastori, ancora oggi come una volta, pagano il fitto dei pascoli in natura con adeguata quantità di formaggio. Il caprino, considerato il più antico dei formaggi, deve essere conservato per circa 8-12 mesi per la stagionatura nelle cantine dove viene curato esternamente con un'emulsione di olio d'oliva e un po' di aceto Qualche volta si aggiunge un po' di pepe rosso macinato. Può capitare che durante la stagionatura alcune forme, per effetto di particolare fermentazione sviluppino internamente piccoli vermi che conferiscono al formaggio un gusto del tutto particolare che lo rendono ricercato da tanti estimatori. L'intera pelle della capra rovesciata, conciata e tratta opportunamente è utilizzata come mantice nella costruzione artigianale delle zampogne. Si può considerare un formaggio, con una produzione limitata e prevalentemente artigianale, ma molto richiesto dai consumatori. Il “Formaggio Caprino della Limina” viene usato nei piatti tipici calabresi: in particolare per la preparazione delle melanzane ripiene (piatto tipico della cucina del territorio della Comunità Montana e calabrese), grattugiato sulle paste caserecce, nella preparazione delle polpette, nelle frittate e ripieni in genere, ecc. In questi ultimi anni viene usato anche in piatti della cucina nazionale ed estera. Il formaggio varia di sapore a secondo la durata della stagionatura, che va dal sapore leggero quando è fresco fino al forte e piccante a fine stagionatura, viene usato anche negli antipasti e a fine pasto accompagnato con vini locali o calabresi. I capi caprini censiti nei territori dei Comuni sono: Mammola 1850; Grotteria 500; San Giovanni di Gerace 400; Martone 75; Gioiosa Jonica 1050; Canolo 800; Gerace 650; Marina di Gioiosa Jonica 600; Siderno 220; Agnana 95.

Descrizione sintetica del prodotto

Il “Formaggio Caprino della Limina” si ottiene esclusivamente dal latte di capra. L'aroma è particolare, il sapore forte, con caratteristica di piccantino, può essere consumato fresco o stagionato da 8 a 12 mesi.
  • Ingredienti utilizzati: latte di capra e caglio.
  • Forma: cilindrica.
  • Dimensioni medie: diametro 15 cm, altezza 10 cm.
  • Peso medio: da 1 a 2,5 kg.
  • Sapore: Il sapore forte, con caratteristica di piccantino che varia d'intensità e profumo col mutare delle stagioni.
  • Odore: di formaggio che varia con la stagionatura.
  • Colore: il colore esterno è giallo chiaro, all'interno è bianco.

Lavorazione prodotto

Si versa il latte caprino appena munto in un pentolone. Si scioglie il caglio (prodotto estratto dallo stomaco dei caprettini e messo a stagionare) in poca acqua e la si versa in latte ancora crudo. Si mescola il tutto e lo si lascia cuocere un'ora circa. Quando il contenuto si addensa, si mescola con un cucchiaio di legno, fino a che non diventa di nuovo liquido. Pian piano si estrae il formaggio separato dalla lacciata (latte sgrassato) con le mani e lo si mette dentro le forme di junco comprimendolo fino a quando non è ben scolato. Dopo la si rimette nella forma per un giorno ancora, quindi la, si toglie e la si lascia stagionare. Hanno a questo punto inizio le operazioni di cura e protezione del formaggio, cospargendo un velo d'olio sull'intera superficie. Queste particolari tecniche di produzione fanno del formaggio caprino della Limina un prodotto tipico di grande pregio.
  • Periodo di produzione: tutto l'anno in particolare dal mese di dicembre a giugno
  • Maturazione stagionatura del prodotto: da 8 a 12 mesi.
  • Conservazione: nelle cantine dove viene curato esternamente con un'emulsione di olio d'oliva e un po' di aceto.
  • Materiali utilizzati: i pentoloni sono di acciaio e i cucchiai sono di legno di erica. I contenitori del formaggio caprino si chiamano fasceji (fatte di junco) di forma
rotonda.
  • Altri attrezzi:
    • La mastreja è una tavola usata a mo' di gocciolatoio per la premitura del formaggio.
    • Il culaturi è uno scolino in acciaio per filtrare il latte.
    • Il minaturi è un bastoncino in legno a punta ramificata.
  • Locali dove avviene la produzione: Ambienti che si usano esclusivamente per la trasformazione del latte.
Il Caprino della Limina con la suddetta scheda è stato incluso dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali nell'Elenco Nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (Suppl. Ord. Gazzetta Ufficiale N°167 del 18-7-02 pag. 10 N°44).

Caciocavallo silano

0 commenti

Risultati immagini per Caciocavallo silano

Il caciocavallo silano è un formaggio italiano a Denominazione di origine protetta.
Il nome deriva dalla forma del caciocavallo silano, diverso da tutti gli altri. Esso, (quello prodotto in Sila), ha la forma di una testa di cavallo, ed i legacci per appenderlo sembrano delle vere e proprie briglie.
Il caciocavallo silano è un formaggio semiduro a pasta filata prodotto esclusivamente con latte di vacca, nel rispetto del disciplinare di produzione (Provvedimento 29 luglio 2003 del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali).
La forma è ovale o tronco-conica con testina o senza. Il peso di ogni forma è compreso tra 1 kg e 2,500 kg. La crosta è sottile, liscia, di marcato colore paglierino. Le forme possono essere trattate in superficie con sostanze trasparenti, prive di coloranti.
La pasta è omogenea compatta con lievissima occhiatura, di colore bianco o giallo paglierino più carico all'esterno e meno carico all'interno.
Il sapore è aromatico, piacevole, fusibile in bocca, normalmente delicato e tendenzialmente dolce quando il formaggio è giovane, fino a divenire piccante a maturazione avanzata.
Il contenuto di grasso della sostanza secca non è inferiore al 38%.
All'atto della sua immissione al consumo ogni forma reca impresso termicamente il contrassegno identificativo del caciocavallo silano.

Pancetta

0 commenti

Risultati immagini per Pancetta

La pancetta (detta anche ventresca di maiale) è un salume di suino preparato con la parte della pancia dell'animale.

Preparazione

Le parti della pancia dei suini vengono squadrate e rifilate. La conservazione o meno della cotenna dipende dal tipo di preparazione prevista per la pancetta. Le rifilature delle pancette sono utilizzate per la parte grassa dei salami (lardelli) o per ricavarne ciccioli.
Successivamente alla rifilatura, le pancette passano alla salagione. Vengono cosparse di sale (in alcune zone, oltre al sale, si aggiungono anche aromi e spezie - ad esempio frequentemente pepe nero, raramente altri aromi come chiodi di garofano e noce moscata) e sono poste a riposare per alcuni giorni.
L'insaccato che successivamente se ne ricava, varia da regione e regione e, in base alla destinazione finale, può essere:
  • Arrotolata come un grosso salame (con o senza cotenna). Se si rimuove la cotenna, la pancetta si insacca in un grosso budello naturale o artificiale e viene legata; se all'interno si inserisce un blocco di coppa (detta anche "capocollo") si avrà la "pancetta coppata"
  • Steccata, con cotenna (piegata e stretta tra due robuste assi tenute legate saldamente fra loro);
  • Stesa con cotenna;
Dopo i tre tipi di preparazione sopra riportati inizia la stagionatura vera e propria che può durare dai 50-60 giorni per la pancetta stesa e per le pezzature piccole, fino ai 90-120 giorni per le pezzature più grosse.
Altre preparazioni della pancetta possono essere:
  • Affumicata, con cotenna, in apposite stufe e lasciata stesa;
  • Cubettata, sia affumicata che dolce, pronta per sughi e commercializzata come prodotto semilavorato.
Queste ultime due preparazioni di norma non richiedono stagionatura.
L'aspetto esteriore finale del taglio di pancetta sarà di uno strato di grasso bianco con filettature rosa (più o meno scure) di carne magra. Il grasso della pancetta affumicata si presenta con un colore più scuro, tendente al giallo avorio; se la pancetta sarà stata aromatizzata con peperoncino, il bianco del grasso avrà riflessi rossicci.

Prodotti a denominazione d'origine protetta e agroalimentari tradizionali italiani

Due prodotti possono vantare la denominazione DOP:
  • Pancetta Piacentina
  • Pancetta di Calabria
La pancetta di maiale è tanto diffusa in Italia da essere inoltre inserita nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali di 12 Regioni:
  • Basilicata
  • Calabria
  • Campania: Pancetta arrotolata e pancetta tesa
  • Emilia-Romagna: Pancetta canusina, pancetta piacentina
  • Friuli e Venezia Giulia: pancetta arrotolata dolce e affumicata, pancetta arrotolata manicata, pancetta con lonza, pancetta stesa
  • Liguria
  • Lombardia: pancetta con filetto, con pisteum, alla bergamasca, pavese
  • Marche: pancetta arrotolata
  • Piemonte
  • Toscana: pancetta apuana, pancetta e rigatino, pancetta stesa vergazzata
  • Trentino- Alto Adige, pancetta affumicata, panceta ligada all'ai della Val Rendena e pancetta nostrana all'aglio di Caderzone
  • Umbria: Ventresca di maiale
  • Veneto: pancetta col tocco (filetto) del basso vicentino e pancetta con l'ossocollo del basso vicentino

Preparazioni simili

Il bacon, che ha un ampio utilizzo sia negli Stati Uniti e nel Regno Unito che nella cucina cinese e coreana, è una pancetta che subisce il processo di cottura a vapore e successivamente di affumicatura, sebbene il bacon possa essere ricavato anche dalla schiena o dal fianco del maiale e non solo dalla pancia.

Economia

La pancetta di maiale e il relativo contratto future sono quotati al Chicago Mercantile Exchange (CME) dal 1961.
Dato che la pancetta è un prodotto della macellazione del maiale, tanto l'andamento della produzione di suini che le dimensioni della macellazione di suini ne influenzano il prezzo, anche perché la domanda è relativamente poco influenzata dalle variazioni di prezzo.

Soppressata di Calabria

0 commenti

Risultati immagini per Soppressata di Calabria

La Soppressata di Calabria (o Suppizzata" o "suprissata o sopressata) è un insaccato a denominazione di origine protetta. Si ottiene con carne di maiale tagliata a pezzettoni a cui si unisce pepe nero, finocchio (a grani), sale e peperoncino.

Preparazione

Si prepara prendendo le parti migliori della coscia del maiale, tritate e prive di nervi e insaccandole in budello naturale, in particolare bisogna usare il budello proveniente dall'intestino crasso, ben lavato con acqua, vino e limone e messo a mollo. Si usa anche il budello del bue che è più resistente. Si impasta la carne con sale e peperoncino rosso piccante. Una volta riempito il budello, viene forato con uno spillo e legato a mano. Il tutto viene poi lasciato asciugare all'aria.
Vi sono due diversi modi di stagionatura. Nella Calabria settentrionale dopo riempito il budello viene lasciato ad asicugare all'aria e dopo circa due settimane si sistema sul pavimento un lenzuolo di lino e vi si adagiano le soppressate, le une vicine alle altre, con l'accortezza di lasciare tra esse uno spazio di circa un centimetro. Le soppressate vengono quindi coperte con un altro lenzuolo di lino, al disopra del quale viene poggiato un tavoliere (o un rigirato). Sul tavoliere vanno posti dei pesi in modo da ottenere quella pressatura che secondo alcuni (erroneamente secondo altri) conferirebbe il nome al salume.
Dopo circa una settimana viene interrotta la pressatura e gli insaccati vengono messi ad asciugare.
Nella fase di asciugatura, della durata di circa due settimane, si usa spesso l'accorgimento di accendere un braciere nelle vicinanze che conferisca al prodotto una leggera affumicatura, nel braciere vengono aggiunte scorze di arance per garantire un'affumicatura aromatica.
Quindi si ripete l'operazione della pressatura (la "soppressa").
Nella fase conclusiva le soppressate (dette anche schiacciate) vengono lasciate stagionare per un periodo di cinque sei mesi.
Nella Calabria meridionale invece la "suppizzata", dopo l'impasto (la carne va tritata al coltello) con sale e pepe nero (a volte si aggiungono semi di finocchio selvatico) e l'insaccamento nel budello, opportunamente suddivisa in gropssi nodi, viene appesa alle travi del tetto a tegole (si tratta, in origine di un tipico prodotto contadino e le case di campagna erano tutte a tegole senza soffitta) della stanza ove in inverno era acceso il focolare che conferiva una leggera affumicatura. Oggi si appende sempre in alto in locale leggermente arieggiato e si lascia stagionare per almeno un mese per poi può iniziare il consumo alimentare. Per conservarla in estate si usa porla in vasi di coccio salaturi con una pietra sopra per tenerla al di sotto del livello dell'olio.
Secondo un'altra ipotesi più accreditata il nome deriverebbe dalla fusione e contrazione di due termini: susu che in calabrese antico significa "sopra" "in alto" e mpizzare che significa "appendere" quindi il significato è: appesa in alto. La tesi è suffragata anche dal fatto che esiste la suppizzata di tonno siciliana che non viene messa sotto pressa, ma anch'essa viene appesa in alto. Inoltre il salume in questione viene messo sotto pressa solo in alcune zone della Calabria ed, essendo indiscutibilmente un prodotto contadino di antica data, non sembra logico collegarlo con vocaboli dell'italiano (pressa) che non esiste nel calabrese antico e neppure si può collegare col provenzale moderno come alcuni fantasiosamente sostengono, per ovvi ed evidenti motivi.

 
  • 1437 International food © 2012 | Designed by Rumah Dijual, in collaboration with Web Hosting , Blogger Templates and WP Themes