Battolli

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I battolli caiegue sono un primo piatto, fatto con un tipo di pasta tipico della cucina ligure, prodotta nel levante ligure, in particolare nella Valle Fontanabuona e nel comune di Uscio.
Appartiene alla cucina povera della cucina ligure. I battolli nascono dall'utilizzo delle risorse presenti nella zona e nella campagna. In questo caso la castagna da cui viene ricavata la farina di castagne e le coltivazioni locali quali grano, patate, basilico, e navoni nauìn che sono rape bianche, utilizzate anche come alimento per il bestiame.
Per la pasta: acqua, farina di grano, farina di castagne e sale. Per il condimento: pesto, navoni e patate.
Si prepara l'impasto. Si uniscono le farine con un po' d'acqua ed un po' di sale. Poi si prepara la sfoglia e la si taglia in lunghe striscioline, tipo tagliatelle, della larghezza di circa 4 mm.
Una volta fatti, si lasciano asciugare sulla madia e poi si cuociono per 2 minuti, in acqua portata ad ebolizione e salata, od anche in latte.
Vengono conditi con il pesto, patate tagliate a pezzetti e i navoni.
Si possono accompagnare con un buon vino bianco come per esempio il Golfo del Tigullio Bianchetta Genovese.
Il comune di Uscio (GE) ha fatto richiesta per la de.co.

Budino

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Il budino, o bodino, è una preparazione alimentare, solitamente servita come dessert alla fine del pasto.

Preparazione e varianti

Il budino è composto da una parte liquida, generalmente costituita da latte, da zucchero e da vari ingredienti o aromi che gli danno il gusto desiderato: frutta, cioccolato, nocciole, caramello, liquori, vaniglia ed altri ancora. A questi si uniscono spesso degli ingredienti che servono a legare il composto, cioè a renderlo più corposo e solido.
I leganti sono frequentemente farina di grano, fecola di patate, semolino, riso, uova, gelatina animale (nota come colla di pesce) oppure carragenina. Per prepararlo si seguono tecniche diverse a seconda del tipo.

La famiglia dei crème caramel

Nei budini che derivano dalla famiglia dei crème caramel si sbattono insieme a freddo uova, latte, zucchero, ed eventuali altri ingredienti quali amaretti, rum, cacao, vaniglia. Si pone sul fuoco lo stampo in cui il budino andrà cotto, vi si versa dentro dello zucchero e lo si fa caramellare coprendo fondo e pareti. Si travasa il composto di latte e uova nello stampo e si cuoce a bagnomaria sino a che si sia rappreso. Si lascia quindi raffreddare, dal momento che il dolce si gusta rigorosamente freddo. A questa famiglia appartengono il crème caramel, il bônet, la crema rovesciata e le loro variazioni sul tema. Nei primi due il legante è costituito da uova, mentre nella crema rovesciata è costituito da panna.

La famiglia dei bavaresi

Nei budini che derivano dalla famiglia dei bavaresi la base è costituita da crema inglese: si porta ad ebollizione il latte con lo zucchero e vi si scioglie la colla di pesce precedentemente ammollata, cioè ammorbidita. Si sbattono i tuorli e gli altri ingredienti, incorporando da ultimo il latte zuccherato. Quindi si mette in casseruola il composto e lo si cuoce senza far bollire, mescolando a lungo. Una volta cotto si lascia intiepidire mescolando di tanto in tanto, quindi si versa in uno stampo imburrato e si pone in frigo per ore, sino a che sia completamente freddo e ben rappreso.
La preparazione segue le stagioni e vede l'aggiunta, a seconda di quanto è disponibile, di ingredienti diversi: frutta fresca o candita, confettura o marmellata, cioccolato o aromi diversi dalla vaniglia, caffè e così via. A questa famiglia appartengono bavarese, panna cotta e i budini casalinghi, inclusi quelli che si comprano in preparati liofilizzati in busta.
Questi ultimi permettono di preparare budini in gusti semplici quali vaniglia o cacao. Tuttavia il gusto resta non paragonabile a quello del dolce fresco. Questo anche considerando che tutti gli ingredienti, ad eccezione del latte che va aggiunto fresco da chi prepara il dolce, sono secchi e si conservano a temperatura ambiente.

Origine della bavarese e del bavarese

Va notato che comunemente si definisce il dessert al femminile: la bavarese. Tuttavia il termine corretto è al maschile, in quanto deriva dal termine francese bavarois e perché sottintende la parola budino: budino bavarese.
La bavarese vera e propria è, infatti, una bevanda tipica della Francia e di là diffusa in tutte le zone d'oltralpe. È un mangia-e-bevi, solitamente caldo, composto di tè, latte e liquore. Si ritiene che sia stato introdotto verso i primi del Settecento dai cuochi francesi al servizio dei Wittelsbach, casa regnante di Baviera. Dalla casa regnante la preparazione ebbe il nome.
Procopio Coltelli contribuì a lanciarla a Parigi, grazie al famosissimo Cafè procope, nato nel 1686. Dalla bevanda si origina, all'inizio dell'Ottocento, il dolce che conosciamo oggi e che venne chiamato bavarois o formaggio bavarese, poiché all'aspetto ricordava un formaggio fresco.

La famiglia dei flan

Sono probabilmente tra le forme più antiche di budino, dal momento che ci sono riportate ricette dell'antica Roma di dolci a base di creme con uova, miele e latte, cotte e legate da farina. Tuttavia le ricette più comuni dell'epoca, molto probabilmente di derivazione greca, erano salate e quelle dolci erano un'eccezione.
Dal momento che gli alimenti a base di uova erano considerati ricostituenti e molto salutari, le preparazioni ebbero fortuna e si diffusero, durante il Medioevo, in tutta l'Europa, tanto che si ritrovano spesso nei ricettari anche molto antichi, come il De Honesta Voluptate di Platina, datato 1476.

Etimologia del nome flan e sue accezioni

L'attuale parola Flan viene dal francese antico flaon a sua volta derivato dal latino flado che significa crema. Secondo Alan Davidson, Oxford Food Companion, la medesima radice latina del nome fu usata dell'inglese medioevale dando origine ai termini flaton e flawn. A seconda dei paesi con il termine flan si intendono preparazioni leggermente diverse.
In inglese indica una crostata, probabilmente perché nel Medioevo i flan venivano spesso presentati come patinae, cioè su una base di pasta cotta, chiusa o aperta che fosse, esattamente come le nostre moderne crostate.
In spagnolo e portoghese indica preparazioni come la crème caramel.
In italiano indica preparazioni salate cotte in stampo a bagnomaria, a base di besciamella e con una presenza di uova abbastanza ridotta. Di derivazione francese, sono molto diffusi nei territori che subirono l'influenza della Francia, come il Piemonte. Qui è tipico, ad esempio, il flan di cardi o di topinanbur con Bagna càuda e di asparagi, eventualmente con fonduta.
In generale, quindi, per flan si può anche intendere uno sformato, generalmente di verdure, piuttosto che un vero e proprio dolce.

La famiglia delle creme in tazza

Chiude la famiglia dei flan quella delle creme in tazza: semplici creme che vengono tenute ben legate e di una certa consistenza e presentate in formine, come fossero budini. Anche questo tipo di preparazione è molto antica. Le creme in tazza possono essere quelle classiche come crema pasticcera, crema frangipane, crema di tapioca oppure essere passati di alcuni frutti, come le castagne. Possono anche essere a base di cereali (cui si accompagnano solitamente canditi), come il riso o, più raramente, il grano cotto.
Oggi le forme più diffuse di creme in tazza sono la crema catalana e i suoi derivati. Questa è una crema pasticcera alla vaniglia con copertura di zucchero che si fa caramellare a fiamma viva al momento di servire in tavola, solitamente in coppette individuali. La ricetta, che vede aggiunte di mandorle, pistacchi, limoni e frutti vari, è tipica della Spagna, del Portogallo e delle terre che furono ai due soggette, come il Messico e alcune colonie.
Un'altra ricetta molto antica, tipica del Piemonte, è il Montebianco, un passato di castagne cotte in acqua e zucchero, spremute in tazza con una tasca da pasticcere e guarnite di panna montata. Lo scuro delle castagne ricorda la terra, la panna la neve, la forma una montagna: di qui il nome Montebianco.


Presentazione e guarnizione

Quale che sia la ricetta, il budino viene solitamente preparato in uno stampo grosso o più stampi piccoli, variamente decorati, e a forma di tronco di cono od a punta emisferica. Ad ogni modo il problema tecnico è quello di far fluire l'aria per evitare fratture del dolce. Si può servire accompagnato o decorato da piccoli biscotti secchi di pasticceria, quali le lingue di gatto o gli amaretti, con creme come la panna montata o con frutta fresca, specie se frutti di bosco.

Caffè Pedrocchi

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Il Caffè Pedrocchi è un caffè storico di fama internazionale, situato nel pieno centro di Padova, in via VIII Febbraio nº 15. Aperto giorno e notte dal 1916 e perciò noto anche come il "Caffè senza porte", per oltre un secolo è stato un prestigioso punto d'incontro frequentato da intellettuali, studenti, accademici e uomini politici. L'8 febbraio 1848, il ferimento al suo interno di uno studente universitario diede il via ad alcuni dei moti caratterizzanti il Risorgimento italiano e che sono ancora oggi ricordati nell'inno ufficiale universitario, Di canti di gioia.

Storia

(FR)
« C'est à Padoue que j'ai commencé à voir la vie à la vénitienne, les femmes dans les cafés. L'excellent restaurateur Pedrocchi, le meilleur d'Italie. »
(IT)
« È a Padova che ho cominciato a vedere la vita alla maniera veneziana, con le donne sedute nei caffè. L'eccellente ristoratore Pedrocchi, il migliore d'Italia. »
(Stendhal)



Tra Settecento e Ottocento il consumo del caffè si è diffuso anche in Italia e si è andata così affermando la tradizione del caffè come circolo borghese e come punto d'incontro aperto, in contrapposizione alla dimensione privata dei salotti nobili. A Padova la presenza aggiuntiva di oltre tremila persone tra studenti, commercianti e militari fece sì che, più che in altri centri cittadini, si sviluppasse questo tipo di attività.
In questo contesto, nel 1772 il bergamasco Francesco Pedrocchi apre una fortunata "bottega del caffè" in un punto strategico di Padova, a poca distanza dall'Università, dal Municipio, dai mercati, dal teatro e dalla piazza dei Noli (oggi Piazza Garibaldi), da cui partivano diligenze per le città vicine, e dall'Ufficio delle Poste (oggi sede di una banca).
Il figlio Antonio, ereditata la fiorente attività paterna nel 1800, dimostra subito capacità imprenditoriali decidendo di investire i guadagni nell'acquisto dei locali contigui al suo e, nel giro di circa 20 anni, si ritrova proprietario dell'intero isolato, un'area pressappoco triangolare delimitata a est dalla via della Garzeria (oggi via VIII Febbraio), a ovest da via della Pescheria Vecchia (oggi vicolo Pedrocchi) e a nord dall'Oratorio di San Giobbe (oggi piazzetta Pedrocchi).
Il 16 agosto 1826 Antonio Pedrocchi presenta alle autorità comunali il progetto per la costruzione di uno stabilimento, comprendente locali destinati alla torrefazione, alla preparazione del caffè, alla "conserva del ghiaccio" e alla mescita delle bevande. Prima di questo cantiere, Pedrocchi aveva incaricato un altro tecnico, Giuseppe Bisacco, di eseguire i lavori di demolizione dell'intero isolato e di costruire un edificio ma, insoddisfatto del risultato, aveva richiesto a Giuseppe Jappelli, ingegnere e architetto già di fama europea e esponente di spicco della borghesia cittadina che frequentava il caffè, di riprogettare il complesso dandogli un'impronta elegante e unica.
Nonostante le difficoltà determinate dal dover disegnare su una pianta irregolare e dal dover coordinare facciate spazialmente diverse, Jappelli fu in grado di progettare un edificio eclettico che trova la sua unità nell'impianto di stile neoclassico. L'illustre veneziano volle trasferire in architettura la sua visione laica e illuminista della società, creando quello che poi diverrà uno degli edifici-simbolo della città di Padova.
Il piano terreno fu ultimato nel 1831, mentre nel 1839 venne realizzato il corpo aggiunto in stile neogotico denominato "Pedrocchino", destinato ad accogliere l'offelleria (pasticceria). In occasione del "IV Congresso degli scienziati italiani" (evento dal titolo significativo, visto che Padova si trovava ancora sotto la dominazione asburgica), nel 1842 si inaugurarono le sale del piano superiore che, secondo il gusto storicizzante dell'epoca, erano state decorate in stili diversi, creando un singolare percorso attraverso le civiltà dell'uomo.
Per la loro realizzazione Jappelli si avvalse della collaborazione dell'ingegnere veronese Bartolomeo Franceschini e di numerosi decoratori, tra cui il romano Giuseppe Petrelli, al quale si deve la fusione delle balaustre delle terrazze con i grifi, i bellunesi Giovanni De Min, ideatore della sala greca, Ippolito Caffi della sala romana e Pietro Paoletti della sala pompeiana (o "ercolana"), il padovano Vincenzo Gazzotto, pittore del dipinto sul soffitto della sala rinascimentale.
Le sale del piano superiore erano destinate a incontri, convegni, feste e spettacoli e il loro utilizzo veniva concesso ad associazioni pubbliche e private che, a vario titolo, potevano organizzare eventi.
Antonio Pedrocchi si spense il 22 gennaio 1852. Animato dalla volontà di lasciare la gestione del suo caffè a una persona di fiducia, aveva adottato Domenico Cappellato, il figlio di un suo garzone, che alla morte del padre putativo si impegnò nel dare continuità all'impresa ricevuta in eredità, pur cedendo in gestione le varie sezioni dello stabilimento.
Alla morte di Cappellato, avvenuta nel 1891, il caffè passa al Comune di Padova. In un testamento stilato alcuni mesi prima, Cappellato lasciava infatti lo stabilimento ai suoi concittadini:
« Faccio obbligo solenne e imperituro al Comune di Padova di conservare in perpetuo, oltre la proprietà, l'uso dello Stabilimento come trovasi attualmente, cercando di promuovere e sviluppare tutti quei miglioramenti che verranno portati dal progresso dei tempi mettendolo al livello di questi e nulla tralasciando onde nel suo genere possa mantenere il primato in Italia »
(Dal testamento di Domenico Cappellato Pedrocchi)



La decadenza

Un inevitabile degrado dovuto alle difficoltà determinate dalla grande guerra caratterizzerà il caffè negli anni tra il 1915 e il 1924. In quest'ultima data hanno inizio i lavori di restauro del "Pedrocchino", che si protrarranno fino al 1927. Negli anni successivi va purtroppo dispersa gran parte degli arredi originari disegnati dallo stesso Jappelli, che verranno sostituiti via via nell'epoca fascista.
Dopo la seconda guerra mondiale, con il progetto dell'architetto Angelo Pisani che si impone contro quello di Carlo Scarpa, mai preso in considerazione dall'amministrazione comunale, si avvia un nuovo restauro che ridefinisce i vani affacciati sul vicolo posteriore, trasforma lo stesso vicolo in una galleria coperta da vetrocemento e ricava alcuni negozi, un posto telefonico pubblico e una fontana in bronzo sventrando parte dell'Offelleria, del Ristoratore e demolendo la Sala del Biliardo.
Nonostante le proteste di molti cittadini e le perplessità della Soprintendenza ai monumenti, viene sostituito lo storico bancone in marmo con banchi di foggia moderna, viene installata una fontana luminosa al neon e le carte geografiche della sala centrale, caratterizzate dalla rappresentazione rovesciata delle terre emerse (curiosamente il sud viene rappresentato in alto) vengono sostituite da specchi.
Per buona parte degli anni ottanta e novanta il Pedrocchi rimane chiuso per difficoltà tra i titolari della gestione e il Comune; nel 1994 viene finalmente deciso il recupero dei locali e all'architetto Umberto Riva e ai collaboratori M. Macchietto, P. Bovini e M. Manfredi viene affidato il compito di rimediare ai danni provocati dal devastante restauro Pisani degli anni cinquanta e di riportare all'antico splendore i locali dello storico caffè.
Dopo l'esecuzione del primo stralcio di lavori, il 22 dicembre 1998 il caffè viene restituito ai cittadini di Padova.


Architettura

Il Caffè Pedrocchi si configura come un edificio di pianta approssimativamente triangolare, paragonata a un clavicembalo. La facciata principale si presenta con un alto basamento in bugnato liscio, guarda verso est e si sviluppa lungo la via VIII Febbraio; su di essa si affacciano le tre sale principali del piano terra: la Sala Bianca, la Sala Rossa e la Sala Verde, così chiamate dal colore delle tappezzerie realizzate dopo l'Unità d'Italia nel 1861.
La Sala Rossa è quella centrale, divisa in tre spazi, è la più grande e vede attualmente ripristinato il bancone scanalato di marmo così come progettato da Jappelli. La Sala Verde, caratterizzata da un grande specchio posto sopra al camino, era per tradizione destinata a chi voleva accomodarsi e leggere i quotidiani senza obbligo di consumare. È stata pertanto ritrovo preferito degli studenti squattrinati e a Padova si fa risalire a questa consuetudine il modo di dire essere al verde. La Sala Bianca, si affaccia verso il Bo, conserva in una parete il foro di un proiettile sparato nel 1848 dai soldati austro-ungarici contro gli studenti in rivolta contro la dominazione asburgica. Inoltre, è anche nota come ambientazione scelta da Stendhal per il suo romanzo "La certosa di Parma". Completa il piano terra la Sala Ottagona o della Borsa, dall'arredo non troppo raffinato, destinata in origine alle contrattazioni commerciali.
A sud il caffè termina con una loggia sostenuta da colonne doriche e affiancata dal corpo neogotico del cosiddetto "Pedrocchino". Quest'ultimo, è costituito da una torretta a base ottagonale che rappresenta una fonte di luce, grazie alle finestre disposte su ogni lato. Inoltre, al suo interno è presente una scala a chiocciola. Due logge nello stesso stile si trovano dislocate sul lato nord, e davanti a queste si trovano quattro leoni in pietra scolpiti dal Petrelli, che imitano quelli in basalto che ornano la cordonata del Campidoglio a Roma.
Tra le due logge del lato nord si trova una terrazza delimitata da colonne corinzie.
Il piano superiore o "piano nobile" è articolato in dieci sale, ciascuna decorata con uno stile diverso:
  1. Etrusca
  2. Greca
  3. Romana: caratterizzata da una pianta circolare;
  4. Stanzino barocco
  5. Rinascimentale
  6. Gotica-medievale
  7. Ercolana o pompeiana: tipici sono i decori che ricordano le ville romane;
  8. Rossini: è la stanza più grande, infatti riproduce la stessa planimetria della sala Rossa del piano terra. In questa stanza, dedicata a Rossini e Napoleone, possiamo osservare degli stucchi a tema musicale che ne rappresentano simbolicamente la destinazione d'uso.
  9. Moresca: molto piccola;
  10. Egizia: ai quattro angoli della stanza troviamo dei piedistalli che sorreggono una finta trabeazione, e diversi attributi che ci rimandano alla cultura egiziana.
La chiave di lettura di questo apparato decorativo può essere quella romantica di rivisitazione nostalgica degli stili del passato. Non è esclusa però una chiave esoterica o massonica (Jappelli era massone). I simboli egizi precedono la decifrazione della scrittura geroglifica da parte di Champollion e sono piuttosto un omaggio al grande esploratore padovano Giovanni Battista Belzoni, che aveva scoperto numerosi monumenti egizi e di cui Jappelli aveva conoscenza diretta.
Presso il piano nobile dello Stabilimento si trova il Museo del Risorgimento e dell'età contemporanea, dove sono conservati tra gli altri i ritratti del fondatore Antonio Pedrocchi e del suo successore Domenico Cappellato Pedrocchi, entrambi opera di Achille Astolfi.

Cosa rende il cibo britannico così disgustoso per molte persone?

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Fatta la doverosa premessa che non impazzisco per la cucina britannica, devo dire che il cibo britannico è reso disgustoso al giudizio da chi pone le sue critiche dettate dal proprio provincialismo.

La cucina tradizione della cucina britannica include parecchi piatti più che degni. Domandandomi se chi la trova disgustosa li abbia provati?

Cornish Pasty, piccole tasche ripiene di carne di manzo o di agnello con spezie.



Toad-in-the-hole, pasticcio di salsicce immerse nello Yorkshire pudding



I Pie, cioè torte salate con ripieni di carne o di pesce. Alcuni molto tipici sono lo Shepherd's pie, ripieno di carne di montone o pecora e patate:



O il Pork pie, ripieno di carne di maiale in gelatina:



E, come dolci, gli Scones, panini dolci morbidi da riempire di marmellata e/o panna:




Mimolette

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La mimolette è un formaggio francese prodotto nella regione di Lilla. Il formaggio è prodotto con latte crudo di vacca.
Prodotto anche in Belgio e Paesi Bassi, è noto in fiammingo come commissiekaas.
Il colore arancione tipico di questo formaggio proviene da un colorante naturale (annatto) ricavato dalla pianta Bixa orellana. Le asperità della crosta derivano dalla presenza, favorita dal casaro in sede di produzione, di acari del formaggio (Tyroglyphus casei).
Il miglior periodo di degustazione va da aprile a settembre, dopo una maturazione variabile tra sei settimane e due anni. Il gusto della Mimolette giovane assomiglia a quello del Parmigiano. A seconda dell'invecchiamento si trovano sul mercato forme giovani (3 mesi), a medio invecchiamento (demi-vieille, 6 mesi), invecchiate (12 mesi) e stravecchie (24 mesi).

Banitsa

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La banitsa (in bulgaro: баница, spesso viene traslitterato anche come banica o banitza) è un piatto tradizionale della Bulgaria.
La banitsa viene preparata appoggiando una mistura di uova sbattute e pezzi di sìrene (un formaggio bulgaro, simile a feta) tra dei fogli di pasta e cuocendola al forno.
Per quanto riguarda gli ingredienti, esistono molte variazioni: possono infatti essere utilizzati spinaci, zucca, ecc.
Questo piatto spesso viene servito con ayran o boza. La Banitsa viene servita anche a colazione accompagnata da yogurt.


Camerieri e chef spiegano come si vendicano dei clienti stronzi

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Un corso avanzato di gestione della rabbia è il minimo che si possa richiedere a chi si appresta a lavorare a contatto col pubblico, e questo è tanto più vero nella ristorazione. Perché basta un cliente particolarmente stronzo a rovinare tutto il turno. La strategia di coping usata più frequentemente da camerieri, baristi e chef funziona più o meno così: sorridi al cliente spregevole di turno, corri in cucina o sul retro del locale, impreca finché non ti senti un pochino meglio, lamentati coi colleghi finché non ti senti decisamente meglio e poi torna a lavorare e consegnare una performance da Oscar.
Eppure, anche i camerieri più calmi e in pace col mondo hanno i loro momenti di rabbia—rabbia che spesso si tramuta in sete di vendetta. I nostri colleghi olandesi hanno chiesto a quattro persone che lavorano nella ristorazione di raccontare dei modi peggiori (o migliori, a seconda della prospettiva) con cui si sono vendicati di clienti stronzi. La morale della favola è: a meno che non vogliate ritrovarvi una birra aromatizzata allo scopino del water, pensateci due volte prima di comportarvi come serpi al bancone di un bar.

RICK, CAMERIERE
Al ristorante avevamo un cliente tanto assiduo quanto insopportabile, una donna semplicemente patetica. Si lamentava sempre per cose a caso, ma invece di dircelo in faccia e darci la possibilità di risolvere l'eventuale problema scattava foto di quello che non le andava bene e poi scriveva mail infuocate all'indirizzo del ristorante. A controllarlo era il nostro capo, che a sua volta se la prendeva con noi.
La signora era intollerante al glutine, ma quando ordinava il suo veggie burger (sì, era anche vegetariana) richiedeva immancabilmente anche il pane. A nulla serviva farle notare che conteneva glutine: ci assicurava che lo avrebbe lasciato—salvo poi mangiarlo e lagnarsene.
Viste le sue lamentele incessanti, una volta abbiamo deciso di prepararle un hamburger di carne invece del solito hamburger vegetariano, piazzarlo sul pane e aspettare che i succhi della carne lo impregnassero per bene. Un attimo prima di portarlo in tavola abbiamo sostituito l'hamburger di carne con quello vegetariano. Non ha notato niente. Quanto a me, è stata una vendetta piuttosto soddisfacente, anche se mi sono sentito un po' in colpa.

SABRI, BARISTA
Col tempo ho imparato a fregarmene dei clienti sgradevoli. Il mio collega al bancone invece aveva l'abitudine di vendicarsi mettendo meno alcol nei drink delle persone che non gli piacevano, arrivando anche a dimezzare le quantità richieste.
Ma c'era una cosa di cui non riuscivo a fregarmene e che odiavo molto più di ogni cliente stronzo: lo chef. I piatti che preparava per lo staff erano disgustosi, speziatissimi e unti, e questo per il solo piacere di renderci la vita impossibile. In più era una persona estremamente arrogante, il classico chef che non poteva considerarsi soddisfatto finché non aveva preso in giro, rimproverato o infamato ogni singolo dipendente del locale. Mi mandava in escandescenze, e in due occasioni le cose sono sfuggite di mano. Abbiamo litigato e siamo quasi finiti alle mani. Un'altra volta mi ha servito di nascosto del maiale pur sapendo che non lo mangio.
Da quel momento ho deciso di fare sul serio. Uno dei miei compiti era portare da bere alla cucina una volta finito il loro turno, ed è da lì che è partita la mia vendetta. Sapevo che lo scopino del wc era perennemente sporco perché non veniva mai pulito, così ho deciso di dare un tocco in più alla birra dello chef passandolo ogni singola volta sul boccale della sua prima bevuta della serata. Beveva così in fretta che era difficile se ne accorgesse.
So che non avrei dovuto farlo, ma lui ci serviva la merda, quindi ho ricambiato volentieri.

DIMI, CHEF
Una volta un collega si è beccato una multa totalmente immotivata da due vigili che frequentavano il nostro ristorante. Qualche giorno dopo i due sono venuti a pranzo a prendersi un panino, e per vendicarsi lui ha scaldato il pane e prima di mettere il resto degli ingredienti ci ha strofinato sopra il glande. Altre volte, invece, mi è capitato di veder buttare per terra gli hamburger prima di metterli sul pane. Ma io credo nel karma, e di cose del genere non ne faccio.

LAILA, EX CAMERIERA
A 18 anni ho lavorato per un po' in una sala da tè. Un giorno tra i clienti ho notato la nuova ragazza del mio ex, e quando ho capito che avrei dovuto servirla io mi sono sentita minuscola. Mi sembrava che in quel momento avesse ancora più potere su di me, con quel sorrisetto che mi ha lanciato dopo aver ordinato un cocktail che si chiamava—me lo ricordo ancora—Jungle Juice.
Quando sono andata a portare le ordinazioni ho detto alla mia collega che avrei proprio voluto sputare nel bicchiere di quella ragazza. E lei, senza troppi problemi, ha raccolto un po' di saliva e dalla sua bocca l'ha fatta cadere direttamente nel blender insieme a tutti gli altri ingredienti. Eravamo sul retro, quindi nessuno ci ha viste. Quando ha versato il tutto nel bicchiere, sulla superficie si è formata una piccola schiuma bianca.
Ricordo di aver mescolato come una pazza prima di servirlo, per assicurarmi che non ci fosse nulla di sospetto. Guardarla bere mi ha fatta sentire meglio, tanto che poi ne abbiamo riso per settimane. Qualche mese dopo, tra l'altro, lei e il mio ex hanno rotto.


 
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