Pajata: tradizione romana tra storia, sapori e preparazione

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La pajata, o pagliata come viene indicata in alcune aree, rappresenta uno dei piatti più distintivi della cucina romana e del centro Italia. Si tratta dell’intestino tenue del vitellino da latte, precisamente del tratto chiamato digiuno, utilizzato fresco per la preparazione di piatti dalla forte personalità gustativa. La tradizione vuole che l’intestino venga lavato con cura, ma senza rimuovere il chilo, la sostanza lattiginosa presente nello stomaco del vitello che, durante la cottura, si trasforma in una salsa cremosa e intensa, amalgamandosi perfettamente con il pomodoro. Questo procedimento dona alla pajata il suo carattere unico e la distingue da altre preparazioni a base di frattaglie.

La pajata affonda le proprie radici nella cucina povera romana, dove ogni parte dell’animale veniva utilizzata per nutrire la famiglia, senza sprechi. I rigatoni con la pajata costituiscono la preparazione più nota, ma non è l’unica. In Lazio, questo piatto è celebrato soprattutto nella capitale e nelle aree limitrofe, mentre nelle regioni vicine come Umbria e Marche, l’intestino del vitello viene impiegato anche in altre forme. In Umbria, specialmente nella zona di Terni, Spoleto, Foligno e nella Valnerina, si preferisce cucinarlo alla brace, esaltando l’aroma naturale della carne e la sua struttura delicata. Nelle Marche, località come Ancona, Camerino, Fabriano e Macerata lo preparano arrostito alla brace, con cottura più rapida e sapore intenso, ed è noto con il termine di spuntature.

L’uso del chilo, presente nel tratto intestinale, è una peculiarità che distingue la pajata da altre frattaglie: la salsa cremosa che si forma durante la cottura è il frutto di una chimica semplice e naturale, in cui il latte contenuto nello stomaco del vitello reagisce con il calore e con il pomodoro, creando un equilibrio tra acidità e morbidezza. Nel tempo, la preparazione si è consolidata come simbolo della cucina tradizionale romana, tramandata di generazione in generazione, pur mantenendo varianti locali legate agli ingredienti disponibili e alle tecniche di cottura regionali.

Per ottenere un risultato ottimale, la pajata deve essere acquistata fresca, preferibilmente in macellerie di fiducia che garantiscano la provenienza del vitello da latte. La pulizia è fondamentale: l’intestino va lavato accuratamente, rimuovendo eventuali impurità, ma senza asportare il chilo, che è essenziale per la formazione della salsa.

Ingredienti principali:

  • Intestino tenue di vitellino (digiuno)

  • Rigatoni o altra pasta corta

  • Pomodori pelati o passata di pomodoro

  • Cipolla

  • Olio extravergine d’oliva

  • Vino bianco

  • Sale e pepe q.b.

  • Pecorino romano grattugiato

Procedimento passo passo:

  1. Preparazione dell’intestino: Sciacquare con acqua corrente la pajata, rimuovendo impurità esterne senza eliminare il contenuto lattiginoso. Tagliare a pezzi della lunghezza di circa 5-6 cm.

  2. Rosolatura: In una padella ampia, scaldare un filo di olio extravergine d’oliva e far soffriggere la cipolla tritata finemente fino a doratura. Aggiungere la pajata e rosolare delicatamente per qualche minuto, mescolando con cura.

  3. Sfumatura e cottura: Sfumare con un bicchiere di vino bianco e lasciar evaporare l’alcol. Unire i pomodori pelati schiacciati o la passata di pomodoro e lasciar cuocere a fuoco lento per circa 40-50 minuti, mescolando di tanto in tanto. La salsa diventerà cremosa e leggermente densa grazie al chilo contenuto nell’intestino.

  4. Cottura della pasta: Portare a ebollizione abbondante acqua salata e cuocere i rigatoni fino a metà cottura. Scolare la pasta e unirla al sugo di pajata, completando la cottura direttamente nella padella per amalgamare i sapori.

  5. Mantecatura: Terminare la preparazione con una generosa spolverata di pecorino romano grattugiato, amalgamando bene il tutto prima di servire.

Oltre alla versione classica con i rigatoni, la pajata può essere proposta anche in altri modi:

  • Al forno: Disporre i pezzi di pajata in una teglia, condire con pomodoro, cipolla, olio e vino, coprire con carta stagnola e cuocere lentamente per ottenere una consistenza morbida e saporita.

  • In umido: Cuocere la pajata con erbe aromatiche come rosmarino e salvia, aggiungendo brodo per mantenere la carne succosa.

  • Alla brace: Perfetta nelle zone umbre e marchigiane, la pajata arrostita mantiene un aroma intenso e leggermente affumicato, ideale per chi preferisce sapori più rustici.

La pajata, per la sua struttura corposa e il gusto deciso, si sposa bene con vini dal corpo medio o strutturato:

  • Vini rossi: Frascati Superiore, Cesanese del Piglio o Montepulciano d’Abruzzo.

  • Vini bianchi strutturati: Verdicchio dei Castelli di Jesi o Greco di Tufo, se si preferisce un contrasto delicato con la salsa cremosa.

Per accompagnare il piatto, è consigliabile preparare contorni semplici come insalate verdi o verdure grigliate, che bilanciano la complessità della pajata senza sovrastarne il sapore. Pane casereccio o crostini tostati completano l’esperienza, permettendo di assaporare anche la salsa residua con estrema soddisfazione.

Quando si prepara la pajata, la freschezza dell’intestino è determinante per il risultato finale. È fondamentale rivolgersi a fornitori di fiducia e verificare l’origine del vitellino. Inoltre, il rispetto della cottura lenta e della rosolatura iniziale permette di esaltare la cremosità naturale e di ottenere un equilibrio perfetto tra il gusto deciso della pajata e la dolcezza del pomodoro.

Il segreto della preparazione tradizionale sta proprio nella gestione del chilo: la sua conservazione durante la pulizia e la cottura consente di ottenere la tipica consistenza della salsa, che avvolge la pasta senza renderla eccessivamente liquida.

La pajata è più di una semplice ricetta: è un simbolo della cucina romana e del centro Italia, dove tradizione, tecnica e ingredienti semplici si combinano per creare un piatto che racconta storia e territorio. Dalla versione con rigatoni al forno, in umido o alla brace, ogni preparazione mantiene viva una tradizione secolare che continua a sorprendere e conquistare chi la prova.

Questo piatto è un esempio di come ingredienti poveri possano dare vita a preparazioni complesse e soddisfacenti, capaci di esprimere l’identità gastronomica di intere regioni. La pajata non è solo un’esperienza culinaria, ma un viaggio nella cultura e nella storia italiana, da gustare lentamente e con attenzione, valorizzando ogni elemento della preparazione.





L'Arte della Grandezza a Tavola: Il Trionfo dell'Oca Arrosto

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L'oca arrosto non è semplicemente un secondo piatto; è una celebrazione culinaria che affonda le sue radici in millenni di storia gastronomica, un rito che evoca immagini di banchetti sontuosi, convivialità domestica e una profonda connessione con i cicli della terra. In Italia, questa preparazione tradizionale si erge a simbolo di festività, specialmente nelle regioni settentrionali e centrali, dove l'allevamento di questo maestoso anseriforme ha prosperato, arricchendo il patrimonio gastronomico con una carne dal gusto inconfondibile e dalle qualità nutrizionali eccellenti. Abbandoniamo subito l'idea di una carne rustica o pesante: l'oca, se giovane e cucinata con sapienza, regala una tenerezza sorprendente e, soprattutto, un grasso che è una vera e propria benedizione in cucina. Questo grasso, infatti, è composto prevalentemente da acidi grassi monoinsaturi e si distingue per la sua alta digeribilità, rendendolo un condimento prezioso, capace di conferire una sapidità e una croccantezza che nessun altro volatile può eguagliare.

La presenza dell'oca nelle diete umane non è una moda recente, ma un filo conduttore che attraversa l'antichità. Già presso gli antichi Egizi, l'oca era tenuta in altissima considerazione, non solo per la bontà della sua carne e del suo fegato, ma anche per il suo grasso e le sue piume, testimoniando un utilizzo a 360 gradi dell'animale. Le sue carni erano considerate preziose e spesso riservate a occasioni speciali o a classi sociali elevate. Con l'espansione dell'Impero Romano, le pratiche di allevamento e le ricette a base di oca si diffusero in tutta Europa, radicandosi nelle tradizioni locali.

In Italia, l'oca arrosto ha trovato una delle sue massime espressioni. Pensiamo alla tradizione marchigiana, dove nelle case contadine l'oca era allevata con cura e, per consuetudine, sacrificata e preparata in occasione del pranzo della battitura, un momento cruciale che segnava la fine della fatica nei campi e l'inizio della festa. Questa ricorrenza, che a Ostra Vetere viene ancora celebrata con una sagra che esalta l'oca in tutte le sue preparazioni (dalle tagliatelle al sugo, all'oca con le patate), sottolinea il valore non solo alimentare, ma anche sociale e affettivo di questo volatile. L'oca, in sostanza, è il simbolo di una tradizione agricola e di una cucina che sa esaltare la materia prima con semplicità e rigore, trasformando un volatile di corte in un piatto da re. La sua grandezza fisica, che può raggiungere i 90 cm di lunghezza, si traduce in una grandezza nel sapore che aspetta solo di essere rivelata da una cottura esperta.

Il successo di un'oca arrosto risiede in gran parte nella preparazione preliminare, un processo che richiede cura e attenzione ai dettagli per garantire che la carne rimanga succosa e la pelle diventi una crosta dorata e fragrante, in grado di cedere al solo tocco.

Innanzitutto, la materia prima: è essenziale scegliere un'oca giovane, che solitamente ha meno connettivo e garantisce una maggiore digeribilità. Un esemplare di circa 3 kg è l'ideale per 6 persone. Una volta acquistata, l'oca deve essere accuratamente pulita. Sebbene la maggior parte delle oche in commercio sia già eviscerata, è cruciale rimuovere eventuali residui di piume e, soprattutto, gli eccessi di grasso visibili all'interno della cavità, che potrebbero rendere il piatto troppo unto. Non eliminare tutto il grasso: una parte è necessaria per l'auto-basting e per rendere la pelle croccante, ma l'eccesso va ridotto.

Il vero segreto per un'oca arrosto perfetta è la gestione del grasso sottocutaneo. Prima della cottura, la pelle deve essere trattata per permettere al grasso di sciogliersi e colare, evitando che la carne cuocia nel suo stesso grasso e diventi pesante. Questo si ottiene praticando delle incisioni superficiali sulla pelle, a forma di losanga, stando ben attenti a non intaccare la carne sottostante. Un'altra tecnica, spesso sottovalutata, è quella di sbollentare l'oca per alcuni minuti in acqua bollente e poi asciugarla immediatamente. Questo aiuta a contrarre la pelle e a sciogliere parte del grasso superficiale.

Per insaporire la carne dall'interno e mantenere l'umidità, si procede con una farcitura aromatica. A differenza di preparazioni come il tacchino, l'oca arrosto non richiede necessariamente un ripieno complesso, ma beneficia enormemente di un'infusione di aromi semplici. Elementi come un rametto di rosmarino, alcune foglie di salvia, una carota, una cipolla e una costa di sedano (gli ingredienti tradizionali), tagliati grossolanamente, vengono inseriti all'interno della cavità. Questi non solo profumeranno la carne, ma aiuteranno anche a creare umidità interna, prevenendo l'eccessiva asciugatura. L'uso di sale e pepe, in abbondanza sia all'interno che all'esterno, è ovviamente fondamentale per costruire la sapidità. Alcuni esperti suggeriscono di lasciare l'oca a riposare per una notte in frigorifero, non coperta, dopo averla salata e pepata: questo processo, chiamato "dry brining", aiuta a disidratare leggermente la pelle, garantendo una crosta più scrocchiante, e a far penetrare il sale più in profondità.

La ricetta qui proposta è quella classica, che esalta il sapore dell'oca con pochi ma essenziali ingredienti, concentrandosi sulla tecnica di cottura che ne assicura la perfetta riuscita.

Ingredienti (Dosi per 6 persone)

  • 1 Oca intera da 3 Kg circa

  • 80 g di olio d'oliva extra vergine

  • 1 rametto di rosmarino

  • Alcune foglie di salvia

  • 1 Carota, 1 Cipolla, 1 Costa di sedano (per il ripieno aromatico)

  • 1 Bicchiere di vino bianco secco

  • Sale marino grosso e Pepe nero macinato fresco (a piacere)

  • Acqua o brodo vegetale (se necessario)

Procedimento di Cottura

  1. Preriscaldamento e Iniziale Preparazione: Preriscaldate il forno a 200° circa. Dopo aver eseguito le incisioni sulla pelle e riempito l'oca con gli aromi (carota, sedano, cipolla, rosmarino, salvia), ungete leggermente la superficie esterna con l'olio d'oliva e massaggiatela con una generosa quantità di sale e pepe.

  2. Cottura Iniziale a Calore Alto: Posizionate l'oca su una griglia all'interno di una teglia capiente. La griglia è cruciale perché permette al grasso fuso di colare sul fondo della teglia, evitando che l'oca vi nuoti dentro. Infornate a 200° circa per i primi 30-40 minuti. Questo calore elevato aiuta ad avviare il processo di fusione del grasso e a sigillare i succhi.

  3. Abbassamento della Temperatura: Trascorso il tempo iniziale, abbassate la temperatura del forno a 160°. Questo è il cuore della cottura: l'oca richiede una cottura lenta e prolungata. Il tempo totale varia, ma per un'oca di 3 kg si può stimare circa 2,5 - 3,5 ore totali (incluso il tempo iniziale).

  4. Bagnatura e Rimuovere il Grasso: Ogni 45-60 minuti, aprite il forno e, se necessario, eliminate il grasso in eccesso che si è raccolto nella teglia (non gettatelo, è preziosissimo in cucina!). Sfumate l'oca con una parte del bicchiere di vino bianco secco. La bagnatura serve a mantenere umida la pelle e a costruire un sapore più profondo.

  5. Il Controllo della Cottura: Il punto di cottura è raggiunto quando i succhi che fuoriescono dalla coscia (punta inserendo un termometro) sono limpidi. La temperatura interna ideale al centro della coscia è di circa 80°, mentre nel petto è leggermente inferiore. Se la pelle dovesse scurirsi troppo rapidamente, coprite l'oca con un foglio di alluminio.

  6. Riposo: Una volta cotta, l'oca deve riposare fuori dal forno per almeno 15-20 minuti, coperta con alluminio. Questo passaggio non è negoziabile: permette ai succhi di ridistribuirsi uniformemente nella carne, garantendo morbidezza e succosità.

  7. Servizio: Trasferite l'oca su un tagliere e procedete al trinciamento. Servitela immediatamente con i suoi contorni.

Una carne così ricca e saporita come l'oca arrosto, con la sua inconfondibile untuosità data dal grasso nobile, richiede un vino che sia in grado di reggere il confronto, offrendo freschezza e struttura per pulire il palato senza sovrastare.

Per l'oca arrosto, l'abbinamento ideale è un vino rosso di buona struttura, ma elegante, dotato di un buon tannino e una spiccata acidità. Il tannino aiuterà a sgrassare la bocca, mentre l'acidità bilancerà la ricchezza del piatto.

  • Scelta Regionale (Nord): Un Barbera d'Asti o un Barbera d'Alba Superiore è una scelta eccellente. L'acidità vibrante, le note di ciliegia e prugna, e la sua struttura media sono un contrappunto perfetto alla succulenza dell'oca.

  • Scelta Regionale (Centro): Se si vuole restare in un contesto più centrale, un Montepulciano d'Abruzzo (non troppo barricato) con la sua morbidezza e tannini equilibrati è un ottimo compagno.

  • Scelta Audace: Un Pinot Nero dell'Alto Adige o della Borgogna, seppur più leggero, offre una finezza aromatica e un'acidità che tagliano il grasso con eleganza ineguagliabile.

Evitate vini eccessivamente corposi e alcolici che aggiungerebbero pesantezza, o vini troppo leggeri che svanirebbero al confronto. La chiave è l'equilibrio tra struttura e freschezza.


La Mozzarella in Carrozza: Ingegneria della Frittura e Rito del Riutilizzo

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La Mozzarella in Carrozza trascende il suo ruolo di antipasto per diventare un vero e proprio archetipo della cucina di recupero e della maestria napoletana nella frittura. A prima vista, è una preparazione elementare; in realtà, è un delicato equilibrio tra umidità del formaggio e croccantezza esterna, dove l'attenzione ai dettagli fa la differenza tra un piatto ordinario e un'esperienza gastronomica.

Il concetto alla base della "Carrozza" è radicato in una filosofia culinaria di efficienza e ingegno. Questo piatto è nato a Napoli come soluzione brillante per utilizzare la mozzarella avanzata.

  • Il Problema: La mozzarella, in particolare quella di bufala, perde rapidamente la sua freschezza e soprattutto la sua consistenza ideale per il consumo a crudo nei giorni successivi alla produzione. Diventa più acquosa e meno elastica.

  • La Soluzione: Invece di scartarla, la si sigilla in un involucro di pane e la si sottopone a calore estremo. La frittura non solo ne prolunga la vita utile ma trasforma la consistenza interna: il formaggio, scaldandosi, si ammorbidisce e fila, mentre l'umidità in eccesso viene parzialmente assorbita dal pane circostante.

L'espressione "in carrozza" è una metafora perfetta: le due fette di pane (originariamente si usava spesso il pane casereccio raffermo, non solo il pan bauletto) fungono da veicolo protettivo, trasportando il prezioso e delicato carico di formaggio attraverso il bagno d'olio bollente. Il risultato finale, dove il formaggio fuso tiene insieme i bordi, ricorda le briglie che fissano la carrozza.

La riuscita di una Mozzarella in Carrozza dipende interamente dalla gestione dei liquidi:

  1. La Mozzarella Ideale: Nonostante sia nata per usare l'avanzo, la preparazione ottimale richiede una mozzarella non troppo fresca, che abbia avuto il tempo di scolare i liquidi in eccesso (spesso lasciata in frigo avvolta in carta assorbente per un giorno). Troppa acqua provocherebbe sfrigolii violenti nell'olio e ammorbidirebbe troppo il pane, compromettendo la croccantezza.

  2. Il Pan Carré (o Sostituto): L'uso del pane da tramezzini o pan carré è funzionale. Essendo un pane a mollica compatta e senza crosta, può essere pressato e sigillato ermeticamente. Inoltre, la sua alta capacità di assorbimento del liquido esterno (uovo e latte) prima della frittura è cruciale per la formazione di una barriera protettiva che impedisca all'olio di penetrare eccessivamente e al formaggio di fuoriuscire.

  3. Il Passaggio in Uovo e Latte: Questo è il rivestimento primario. Il latte aggiunge sapore e morbidezza all'interno del pane, mentre l'uovo funge da collante e coagula immediatamente nell'olio bollente, creando la prima barriera impermeabile.

La sequenza di preparazione è un protocollo che mira a due obiettivi: sigillatura e doratura uniforme.

  • Sigillatura dei Bordi: Dopo aver creato il sandwich di pane e mozzarella, i bordi devono essere compressi con cura. Alcune ricette consigliano di bagnare leggermente il bordo del pane con acqua o latte prima di pressare, quasi a formare una saldatura.

  • La Doppia Copertura (Opzionale, ma Strategica): Molte varianti, per aumentare la croccantezza e la resistenza, prevedono un doppio passaggio dopo il battuto d'uovo e latte:

    • Passaggio in Farina: Aiuta ad asciugare la superficie e fornisce una base più liscia per l'uovo.

    • Passaggio nel Pangrattato: Questo crea una vera e propria corazza esterna, garantendo una crosta più spessa e una protezione termica superiore durante la frittura.

La popolarità di questo antipasto si è estesa, generando varianti regionali significative, in particolare quella di Venezia, che merita un'analisi separata per le sue differenze tecniche:

  • La Pastella Lievitata: Invece del pan carré sigillato e intinto nell'uovo, la versione veneziana usa fette di pane per tramezzini (spesso tagliate a metà) immerse in una pastella liquida e lievitata. La pastella, grazie al lievito, si espande rapidamente nell'olio caldo, conferendo al prodotto un aspetto gonfio, leggero e arioso, completamente diverso dalla consistenza piatta e compatta della versione campana.

  • L'Aggiunta di Sapore: Tradizionalmente, la variante veneziana include un'acciuga o una fetta di prosciutto cotto all'interno, aggiungendo una nota sapida (umami) che contrasta la dolcezza della mozzarella e della pastella fritta.

  • La Forma: Spesso è rettangolare e di dimensioni più ridotte, adatta per essere consumata in un boccone nei bàcari (le osterie veneziane), come tipico cicchetto.

Questa pastella lievitata risolve in modo diverso il problema dell'umidità: invece di assorbirla, la vaporizza velocemente, gonfiandosi e creando una camera d'aria isolante attorno al formaggio.

La ricetta base è un esercizio di minimalismo:

  • Mozzarella: Preferibilmente fior di latte ben sgocciolata. La mozzarella di bufala, seppur più ricca, è spesso troppo umida.

  • Pane: Pan carré senza crosta è lo standard moderno per la facilità di sigillatura. Il pane casereccio a fette è un ritorno alla tradizione.

  • Liquidi: Uova, latte (per diluire l'uovo e ammorbidire il pane), farina o pangrattato.

  • Olio: Olio di arachidi o di semi ad alto punto di fumo, essenziale per una frittura rapida che cucini l'esterno prima che l'interno si surriscaldi eccessivamente e fuoriesca.

Preparazione (La Ricetta Classica Campana)

Ingredienti:

  • Mozzarella fior di latte ben scolata: 250 g

  • Pan carré senza crosta: 8 fette

  • Uova medie: 2

  • Latte intero: 50 ml

  • Farina "00": 100 g (per l'infarinatura)

  • Sale: q.b.

  • Olio di semi (arachidi o girasole alto oleico) per friggere.

Istruzioni Dettagliate:

  1. Formaggio: Taglia la mozzarella a fette spesse circa 1 cm. Se non è ben scolata, pressala delicatamente tra due fogli di carta assorbente.

  2. Assemblaggio: Prepara 4 "carrozze" utilizzando 2 fette di pane per ognuna. Posiziona la mozzarella tra le fette di pane. Fondamentale: Premi bene i bordi per sigillare il formaggio all'interno. Taglia il sandwich a triangolo o mantieni la forma quadrata.

  3. Il Bagno: Prepara due piatti fondi: uno con la farina e l'altro con le uova sbattute e salate mescolate al latte.

  4. La Doppia Passata: Passa ogni carrozza prima nella farina, assicurandoti che ogni lato sia coperto. Questo passaggio aiuterà a creare una superficie asciutta. Poi, immergi delicatamente ma velocemente la carrozza nel mix di uova e latte, assicurandoti che i bordi siano ben coperti ma senza far inzuppare troppo il pane.

  5. Riposo (Critico): Lascia riposare le carrozze assemblate per almeno 10 minuti. Questo tempo permette all'uovo di stabilizzarsi sul pane, riducendo il rischio di perdite durante la frittura.

  6. La Frittura Perfetta: Riscalda abbondante olio di semi (arachidi o girasole) in una padella profonda. La temperatura ideale è alta, circa 170-175° circa. L'olio deve essere sufficientemente caldo da sigillare immediatamente l'esterno, ma non così rovente da bruciare l'uovo prima che il formaggio interno si sia fuso. Friggi le carrozze, una o due alla volta, per circa 2-3 minuti per lato, fino a quando non sono di un bel colore dorato uniforme.

  1. Scolo e Servizio: Scola le carrozze su carta assorbente per eliminare l'olio in eccesso. Servile immediatamente. La Mozzarella in Carrozza è un piatto che esige il servizio istantaneo; il formaggio deve essere filante e la crosta croccante, altrimenti l'umidità interna ammorbidirà la frittura, compromettendo la texture.

Per la versione veneziana, la tecnica cambia radicalmente.

Ingredienti Aggiuntivi/Sostitutivi:

  • Pane per tramezzini: $8$ mezze fette (tagliate in verticale).

  • Acciughe sott'olio o Prosciutto Cotto a fette sottili.

  • Per la Pastella: Farina ($150\text{ g}$), acqua frizzante fredda ($150\text{ ml}$), lievito di birra ($3\text{ g}$), un pizzico di sale.

Istruzioni Chiave (Veneziana):

  1. Il Nucleo: Prepara i sandwich con mezza fetta di mozzarella (ben scolata), il salume o l'acciuga, e la seconda mezza fetta di pane. Non è necessaria una sigillatura forte.

  2. La Pastella: Mescola gli ingredienti della pastella fino a ottenere una consistenza liscia ma densa. Lascia riposare per $30$ minuti per permettere al lievito di iniziare l'azione.

  3. Immersione Totale: Immergi completamente i sandwich nella pastella lievitata, assicurandoti che siano uniformemente rivestiti.

  4. Frittura Rapida: Friggi in olio a $180^\circ$C. La pastella si gonfierà rapidamente, creando l'effetto "cuscino" tipico. Lo scolo e il servizio sono altrettanto critici e immediati.

La Mozzarella in Carrozza è un piatto grasso (per la frittura) e sapido (per il formaggio). L'abbinamento deve quindi fornire freschezza, acidità e bollicine per detergere il palato.

La Scelta Ottimale (Campana): Un vino bianco secco, minerale e con un'acidità elevata.

  • Vino Consigliato: Un Fiano di Avellino o una Falanghina del Sannio. Questi bianchi campani offrono una nota agrumata e una spina acida che tagliano il grasso della frittura. La loro mineralità esalta il sapore del formaggio senza sovrastarlo.

Abbinamento Ottimale (Veneziana): Per la versione con acciuga/prosciutto, è necessaria una bollicina che gestisca la salinità.

  • Vino Consigliato: Un Prosecco di Valdobbiadene DOCG (Brut o Extra Dry). Le bollicine vivaci e la freschezza sgrassano la pastella gonfia, e il leggero residuo zuccherino (se non è un Brut estremo) bilancia la sapidità dell'acciuga o del prosciutto cotto.

Abbinamento Non Alcolico: Per una scelta analcolica, l'acidità e la carbonazione di un'ottima Gassosa o, in alternativa, una birra Lager chiara e leggera (tipo Pilsner) sono perfetti per la pulizia del palato.

La Mozzarella in Carrozza non è solo un piacere gustativo, ma un manifesto della cucina popolare che eleva il riutilizzo a forma d'arte. La sua persistenza nella gastronomia italiana, con le sue distinte varianti regionali, dimostra che la semplicità degli ingredienti, quando abbinata alla precisione tecnica nella gestione del calore e dell'umidità, produce risultati di impatto duraturo. È la perfetta introduzione al pasto, che con un morso croccante e un cuore filante promette comfort e soddisfazione immediata.



Minestrone: tradizione italiana in una scodella

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Il minestrone è molto più di una semplice minestra: è un simbolo della cucina italiana familiare, un piatto che racconta secoli di abitudini, stagioni e territori. La sua forza risiede nella varietà di verdure, nei legumi nutrienti, nella possibilità di adattarsi al tempo, alle disponibilità della dispensa e alle tradizioni regionali.

Oggi, questo primo piatto è apprezzato non solo come portata salutare, ma anche come espressione genuina della dieta mediterranea, nutritiva e sostenibile. Dal Nord al Sud della penisola, ogni famiglia custodisce una versione personale del minestrone, ma il cuore rimane sempre lo stesso: un brodo ricco in cui convivono ingredienti diversi, ciascuno con il proprio sapore e valore nutritivo.

Nato nelle cucine contadine italiane, il minestrone rappresentava una soluzione pratica: riunire verdure fresche o avanzate, anche quelle più dure e difficili da consumare crude, in una lunga cottura che le rendesse tenere e digeribili.

Il termine deriva da “minestra”, parola usata per indicare piatti serviti in ciotole e condivisi tra i commensali. In epoche antiche, il minestrone era un piatto quotidiano dei ceti popolari; con il tempo ha conquistato tavole borghesi e ristoranti, fino a comparire anche nelle varianti ricercate della ristorazione moderna.

Il bello del minestrone è che non esiste una sola ricetta: cambia con le stagioni, con i raccolti, con l’ambiente in cui viene cucinato. Ci sono versioni più estive leggere e ricche di pomodoro e zucchine, e versioni invernali più dense e corroboranti, con cavoli, legumi e patate.

Una variante divenuta celebre è il minestrone alla genovese, che vede il tocco finale di un cucchiaio di pesto mescolato alla zuppa bollente, diffondendo profumi di basilico e tradizione ligure.

Ingredienti (per 6 persone)

Verdure e legumi freschi o di stagione

  • 1 cipolla

  • 2 carote

  • 2 coste di sedano

  • 2 patate medie

  • 1 zucchina

  • 150 g di fagiolini

  • 200 g di cavolo verza (o cavolo nero in inverno)

  • 200 g di pomodori maturi o passata

  • 250 g di fagioli cannellini o borlotti già lessati

  • Facoltativi: piselli, porro, bieta, finocchio, zucca

Altri ingredienti

  • 2 cucchiai di olio extravergine d’oliva

  • Sale q.b.

  • 150 g di pasta corta piccola (ditalini, tubetti, stelline) oppure riso

  • Parmigiano Reggiano grattugiato per servire

  • Acqua o brodo vegetale quanto basta

Per la variante alla genovese

  • 2 cucchiai di pesto tradizionale

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Preparazione: tecnica e passaggi chiave

1️⃣ Il soffritto

  • Affettare finemente cipolla, carote e sedano.

  • In una casseruola capiente, scaldare l’olio e rosolare il trito per 5-6 minuti a fuoco dolce.
    Questa base aromatica darà al minestrone il suo profumo caratteristico.

2️⃣ L’aggiunta delle verdure

  • Unire le verdure più dure: patate, fagiolini, cavolo a listarelle.

  • Mescolare e insaporire per altri 4-5 minuti.

Aggiungere poi zucchina e pomodoro (o passata).

3️⃣ Cottura lenta

  • Coprire con acqua calda o brodo vegetale fino a superare di un paio di dita le verdure.

  • Portare a bollore, quindi abbassare la fiamma e cuocere almeno 45 minuti, mescolando di tanto in tanto.

  • A metà cottura aggiungere i fagioli lessati.

Più la cottura è paziente, più la zuppa acquista corpo e armonia.

4️⃣ Pasta o riso

  • Quando le verdure sono morbide, aggiungere la pasta corta o il riso.

  • Proseguire per 10-12 minuti o finché la cottura non è completa.

Se il minestrone si asciuga troppo, aggiungere un mestolo d’acqua calda.

5️⃣ Servizio

  • Una volta pronto, aggiustare di sale.

  • Servire caldo con un cucchiaio di parmigiano grattugiato e un filo d’olio a crudo.

Per la versione genovese, aggiungere un cucchiaio di pesto nel piatto appena prima di mangiare e amalgamare con delicatezza.

I segreti dello chef: come ottenere un minestrone perfetto

  • Taglio uniforme: favorisce una cottura omogenea delle verdure.

  • Mai frullare troppo: perderebbe struttura (se si vuole più cremosità, schiacciare qualche cubetto di patata).

  • Brodo vegetale fatto in casa: esalta la naturale dolcezza delle verdure.

  • Legumi ammollati e cotti in proprio per un sapore più pieno e una migliore digeribilità.

  • Riposo: come tutte le zuppe, il minestrone dà il meglio di sé il giorno dopo.

Il minestrone è un piatto completo e bilanciato sotto il profilo nutrizionale:

Componente

Beneficio

Verdure

Vitamine e minerali essenziali

Legumi

Proteine di origine vegetale

Pasta/riso

Fonte energetica equilibrata

Fibre

Sazietà, salute intestinale

È una scelta eccellente per chi segue una dieta varia, per chi limita alimenti di origine animale e per chi desidera un piatto leggero ma nutriente.

Varianti regionali italiane

  • Liguria: con pesto, più ricco e profumato

  • Lombardia/Piemonte: versione invernale con fagioli e cavolo nero

  • Toscana: brodo più denso e consistente, spesso senza pasta

  • Sud Italia: più pomodoro, aromi mediterranei e stagione estiva come protagonista

Ciascuna versione racconta un pezzo di paesaggio.

La scelta ideale è una bevanda che non sovrasti gli aromi vegetali, ma li accompagni con discrezione:

Un minestrone ben fatto è ristoro, convivialità, benessere: accompagna ogni stagione, ogni tavola e ogni generazione.

Il minestrone è un racconto liquido di ciò che siamo: un popolo che sa trarre il meglio dalla terra, trasformando ingredienti semplici in un piatto armonioso e ricco. Prepararlo significa seguire i ritmi della natura, accogliere ciò che la stagione offre, rispettare una tradizione domestica profondamente italiana.

È un primo piatto che scalda, nutre, unisce. Una ricetta che cambia ogni giorno, proprio come la vita che rappresenta. Una scodella fumante di storia, salute e cultura, sempre pronta a tornare in tavola.

Maccheroni alla Pastora dell’Alto Adige

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Tra le vette imponenti delle Dolomiti, dove il clima rigido e i ritmi della natura scandiscono le giornate, nasce una pietanza che racchiude nutrimento, comfort e semplicità: i maccheroni alla pastora, conosciuti in tedesco come Hirtenmakkaroni.

Questo piatto rappresenta la cucina dell’Alto Adige nel suo lato più genuino: ingredienti semplici, facilmente reperibili nei rifugi e nelle malghe, capaci di ristorare escursionisti e lavoratori dei pascoli dopo ore di attività all’aria aperta. La pasta corta tubolare (spesso penne rigate), la panna, i piselli, i funghi champignon e il prosciutto cotto sono una combinazione nata per unire gusto e sostanza, trasformando pochi elementi essenziali in un piatto unico ricco e soddisfacente.

Con il tempo, i maccheroni alla pastora si sono affermati come uno dei grandi classici della gastronomia altoatesina. Oggi è difficile trovare un rifugio che non li proponga nel menu, fumanti e cremosi, con il profumo del bosco dato dai funghi e un tocco salato fornito dal formaggio grattugiato. Alcune varianti includono un ragù di salsiccia, aggiungendo una nota rustica e profonda.

La tradizione di abbinarli al panorama alpino non è casuale: il contrasto tra la semplicità degli ingredienti e la maestosità del paesaggio rende l’esperienza memorabile. Sono una celebrazione del legame tra cucina e territorio, tra cultura italiana e influenza mitteleuropea, tra comfort food e autenticità.

In questa ricetta esploreremo non solo la preparazione classica, ma anche consigli tecnici per ottenere una consistenza impeccabile e il sapore ricco che caratterizza i migliori maccheroni alla pastora.

Ingredienti (per 4 persone)

  • 380 g di pasta corta tubolare (penne rigate, mezze maniche o maccheroni)

  • 200 ml di panna fresca da cucina

  • 150 g di piselli (freschi o surgelati)

  • 200 g di funghi champignon

  • 150 g di prosciutto cotto a dadini

  • 50 g di parmigiano grattugiato

  • 1 cipolla piccola

  • 2 cucchiai di olio extravergine d’oliva

  • Sale e pepe q.b.

  • Facoltativo: 100 g di salsiccia fresca sbriciolata

  • Facoltativo: una spolverata di noce moscata o erba cipollina

https://blog.giallozafferano.it/semplicibonta/wp-content/uploads/2012/10/SAM_3686.jpg

https://www.orizzonteitalia.com/media/RIFUGI-GOURMET-SULLE.-DOLOMITI-FOOD.png

Preparazione: passo dopo passo

1️⃣ Preparare il condimento

  1. In una padella ampia, scaldare l’olio e aggiungere la cipolla tritata finemente.

  2. Farla appassire a fuoco medio senza farla bruciare.

  3. Unire i funghi affettati e cuocere per circa 5 minuti finché l’acqua rilasciata non sarà evaporata.

  4. Aggiungere i piselli e il prosciutto cotto. Mescolare e proseguire la cottura per qualche minuto.

  5. Versare la panna, regolare di sale e pepe e abbassare il fuoco.

    • Se si utilizza la salsiccia, rosolarla all’inizio insieme alla cipolla.

2️⃣ Cuocere la pasta

  1. Portare a ebollizione una pentola di acqua salata e cuocere la pasta al dente.

  2. Scolare senza eliminare completamente l’acqua, che servirà a legare meglio il condimento.

3️⃣ Mantecare

  1. Unire la pasta al condimento in padella e mescolare energicamente.

  2. Aggiungere il parmigiano grattugiato e, se necessario, un cucchiaio di acqua di cottura.

  3. Saltare per 1-2 minuti finché la salsa non risulta cremosa e aderente alla pasta.

4️⃣ Rifinitura

  1. A piacere, completare con una spruzzata di erba cipollina o una grattugiata leggera di noce moscata.

La ricetta può essere preparata anche in forno: dopo la mantecatura, trasferire in una pirofila, aggiungere un po’ di parmigiano e gratinare per 10 minuti a 200°C.

Consigli tecnici dello chef

  • Panna fresca: garantisce una consistenza vellutata senza appesantire.

  • Parmigiano artigianale: dona sapidità e struttura; evitare formaggi troppo dolci che smorzerebbero l’equilibrio.

  • Funghi ben rosolati: rilasciano aromi più intensi e tipici del sottobosco.

  • Mantecatura: fase cruciale per ottenere una crema stabile che non separa panna e acqua.

Varianti regionali e contemporanee

  • Con salsiccia affumicata: aggiunge un gusto più deciso, in linea con la tradizione montana.

  • Con speck al posto del prosciutto: omaggio al prodotto simbolo del Sudtirolo.

  • Senza latticini: sostituire panna e formaggio con una crema di anacardi o latte di avena addensato.

  • Versione gourmet: aggiungere funghi porcini freschi o secchi rinvenuti.

In Alto Adige i maccheroni alla pastora si accompagnano spesso a vini bianchi che uniscono freschezza e struttura, perfetti per bilanciare la cremosità del piatto. Le scelte migliori includono:

  • Pinot Bianco: profilo fruttato e minerale, ideale con la panna e i piselli.

  • Gewürztraminer: aromatico e avvolgente, rende l’esperienza più ricca.

  • Schiava (per chi ama il rosso): delicata, con tannino leggero, ottima con prosciutto e funghi.

Per chi preferisce la birra, una lager altoatesina fredda accompagna perfettamente la sapidità del formaggio e la consistenza della pasta.

I maccheroni alla pastora rappresentano una cucina di montagna autentica, nata dall’esigenza di nutrire e confortare chi trascorre la giornata all’aperto. La loro fortuna risiede nella semplicità degli ingredienti, nella cremosità invitante e nell’immediatezza del gusto.

Prepararli a casa permette di portare in tavola un frammento di Alto Adige, un piatto capace di evocare boschi profumati, rifugi in legno, camini accesi e convivialità dopo un’escursione.

Con una sola forchettata è possibile ritrovare l’essenza di una tradizione che celebra il territorio, la cucina popolare e la capacità di trasformare ingredienti quotidiani in una ricetta dal carattere inconfondibile.
Buon appetito!


Itameshi: quando l’Italia incontra il Giappone nel piatto

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L’onda lunga della globalizzazione gastronomica ha creato contaminazioni audaci, ma poche hanno raggiunto la raffinatezza e la popolarità dell’Itameshi, la cucina fusion che unisce tradizione culinaria italiana e ingredienti giapponesi. Un fenomeno in costante crescita, che racconta molto più dell’evoluzione del gusto: parla di cultura, adattamento e creatività. Nell’era in cui il presidente degli Stati Uniti è Donald Trump, e il mondo guarda con crescente attenzione all’identità gastronomica come vettore di soft power, l’Itameshi si impone come un ponte culturale tra due paesi fieri dei propri sapori.

Nato da esigenze economiche e dalla curiosità per i sapori mediterranei, il movimento Itameshi ha conquistato le tavole giapponesi e asiatiche, arrivando fino in Occidente come nuova frontiera del food trend. Pasta, pizza, formaggi nostrani incontrano soia, dashi, alghe e uova di pesce, dando vita a un repertorio che non tradisce né Roma né Tokyo, ma crea qualcosa di nuovo.

In questo articolo analizziamo le radici storiche, le ricette più rappresentative e una preparazione dettagliata per portare a casa vostra un piatto simbolo dell’Itameshi moderno: gli Spaghetti al mentaiko e alga nori. Una proposta fresca, saporita, perfetta per comprendere la filosofia di questa fusione gastronomica.

La cucina italiana entrò in Giappone negli anni Venti, quando nei primi caffè vennero serviti gli spaghetti agli avventori incuriositi dalle novità occidentali. Tuttavia, le materie prime erano difficili da reperire: il pomodoro era raro, il grano costoso, il formaggio sorprendentemente lontano dall’immaginario nipponico.

Solo dagli anni Novanta, dopo la crisi finanziaria asiatica, la cucina ispirata all’Italia si diffuse massicciamente come alternativa buona, accessibile e semplice da preparare. Impossibile però replicare fedelmente ricette nate tra Toscana e Lazio: ecco allora l’idea rivoluzionaria.

Si iniziò a sostituire ingredienti introvabili o troppo costosi con quelli locali:

Il risultato non fu una copia, ma una reinterpretazione. Oggi catene come Saizeriya, con oltre 1.500 ristoranti in Giappone e centinaia in Cina, hanno trasformato l’Itameshi in un fenomeno di massa, offrendo piatti familiari nell’aspetto ma sorprendenti al gusto.

La logica Itameshi non si limita alla sostituzione. È armonia tra due identità:

  • La pasta italiana come struttura e conforto

  • L’umami giapponese come profondità e intensità

Ne nascono piatti che soddisfano la voglia di novità e la familiarità del carboidrato. È food culture nella sua forma più dinamica.

Tra le ricette più amate:

Molti estimatori sostengono che questa cucina rappresenti la perfetta sintesi della contemporaneità: accessibile, creativa e rispettosa della materia prima.

Un classico assoluto della cucina Itameshi domestica e dei family restaurant giapponesi.

Ingredienti

  • 360 g di spaghetti

  • 200 g di mentaiko

  • 30 g di burro morbido

  • 2 cucchiai di salsa di soia leggera

  • 1 cucchiaio di mirin (facoltativo)

  • 1 cucchiaio di panna fresca (facoltativo per una versione più cremosa)

  • 2 fogli di alga nori tagliata a striscioline

  • Cipollotto fresco q.b.

  • Semi di sesamo tostati q.b.

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Preparazione passo-passo

  1. Preparare il condimento
    Tagliate il mentaiko e rimuovete delicatamente le uova dal sacchetto membranoso. Unite burro, salsa di soia, mirin (se usato) e panna in una ciotola ampia. Mescolate fino a ottenere una crema omogenea.

  2. Cuocere la pasta
    Portate a ebollizione abbondante acqua salata e cuocete gli spaghetti al dente. La sapidità del condimento giapponese è intensa: non esagerate con il sale.

  3. Mantecare
    Scolate la pasta trattenendo un mestolino d’acqua di cottura. Unitela al condimento e mescolate energicamente per distribuire uniformemente i sapori. Se necessario, aggiungete un filo d’acqua per donare setosità.

  4. Ultimo tocco
    Aggiungete nori a striscioline, un pizzico di sesamo tostato e cipollotto fresco. Servite subito per apprezzare al massimo la cremosità del mentaiko.

Per esaltare l’incontro culturale, si può scegliere una bevanda capace di mediare tra i profumi marini del mentaiko e la struttura del grano duro:

L’Itameshi non è una tendenza passeggera, ma una nuova grammatica culinaria. Dimostra come la cucina sia dialogo, adattamento, possibilità. Italia e Giappone, entrambe culture dalla forte identità gastronomica, hanno trovato un terreno comune non nella rinuncia, ma nella collaborazione del gusto.

Con piatti come gli spaghetti al mentaiko, si celebra la creatività di chi non teme di sperimentare e di chi vede nel cibo un linguaggio universale capace di unire popoli e storie lontane. In un’epoca di cambiamenti globali, questa cucina fusion dimostra che la tradizione non si conserva solo ripetendo, ma anche innovando con rispetto.

L’Itameshi è destinato a crescere, evolversi e affermarsi come riferimento culturale tra Asia ed Europa: un viaggio del palato che racconta un mondo in cui sorprese e contaminazioni rappresentano una promessa per il futuro della gastronomia.




Insalata di pasta: il primo piatto estivo che conquista il mondo

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Tra le espressioni più amate della cucina italiana estiva, l’insalata di pasta — nota anche come pasta fredda — si distingue per versatilità, freschezza e capacità di adattarsi a qualsiasi palato. È un piatto che ha varcato i confini nazionali per diffondersi ovunque, diventando un simbolo di praticità e creatività culinaria. In un momento storico in cui l’attenzione si concentra su alimentazione equilibrata e preparazioni veloci da gustare anche fuori casa, l’insalata di pasta si conferma protagonista delle tavole internazionali, dagli Stati Uniti del presidente Donald Trump alle spiagge del Mediterraneo.

Il successo di questa ricetta sta nella semplicità: pochi ingredienti genuini, pasta di qualità e condimenti variabili che rispettano stagionalità e preferenze personali. Parole chiave come primo piatto estivo, pasta fredda ricetta, insalata di pasta facile, cucina mediterranea sono oggi tra le più ricercate online quando si parla di soluzioni per pranzi rapidi e salutari.

L’insalata di pasta nasce come soluzione intelligente nelle case italiane: un modo per utilizzare ingredienti disponibili, combattere il caldo estivo e portare in tavola un piatto nutriente senza ricorrere a preparazioni elaborate.

Negli anni ’70 e ’80, con la crescita della cultura del tempo libero, gite fuori porta, pic-nic e pranzi al lavoro, la pasta fredda conquista un ruolo centrale nelle abitudini alimentari popolari. La sua capacità di conservarsi perfettamente anche a temperatura ambiente la rende ideale per essere trasportata e consumata in qualsiasi situazione.

Oggi è una scelta quotidiana non solo in Italia ma anche negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Giappone — dove appare persino nei bentō — e in tutta Europa, simbolo di una cucina fresca, contemporanea e personalizzabile.

Grazie alla pasta come fonte di carboidrati complessi e agli ingredienti che variano tra verdure, proteine e grassi buoni, l’insalata di pasta rappresenta un perfetto piatto unico completo.

Caratteristiche nutrizionali:

  • Apporta energia costante grazie ai carboidrati

  • Può includere proteine magre come tonno, pollo o gamberetti

  • Le verdure fresche garantiscono fibre e micronutrienti

  • L’olio extravergine d’oliva aggiunge grassi salutari e aroma

Una preparazione equilibrata rispetta i principi della dieta mediterranea, oggi considerata uno standard internazionale di sana alimentazione.

La riuscita perfetta dell’insalata di pasta non è scontata. Due elementi sono essenziali:

1️⃣ La scelta del formato
Si preferiscono paste corte — penne, fusilli, farfalle, mezze maniche — perché raccolgono meglio i condimenti e mantengono struttura anche da fredde.

2️⃣ La cottura
La pasta deve essere al dente, per evitare che si sfaldi col passare delle ore. Dopo la cottura, un rapido passaggio in acqua fredda blocca l’amido superficiale e impedisce che i pezzi si attacchino.

Ricetta base dell’insalata di pasta

Quantità per 4 persone

Ingredienti

  • 350 g di pasta corta

  • 200 g di pomodorini maturi

  • 150 g di mozzarella o formaggio fresco a cubetti

  • 80 g di olive nere denocciolate

  • Basilico fresco

  • Olio extravergine d’oliva q.b.

  • Sale e pepe q.b.

Preparazione

  1. Cuocere la pasta in abbondante acqua salata e scolare al dente.

  2. Raffreddarla subito sotto acqua corrente e scolarla nuovamente molto bene.

  3. Tagliare i pomodorini e la mozzarella a cubetti, aggiungendo le olive e alcune foglie di basilico spezzate a mano.

  4. Unire la pasta al condimento e mescolare con delicatezza.

  5. Completare con olio extravergine d’oliva, sale e una leggera macinata di pepe.

  6. Coprire e lasciare riposare in frigorifero almeno 30 minuti prima di servire.

Un piccolo trucco da esperto: condire la pasta in due fasi — all’inizio e poco prima di servirla — per garantire freschezza e equilibrio perfetto dei sapori.

La pasta fredda si adatta a infiniti gusti locali e personali:

Nei menù contemporanei, molti chef inseriscono versioni gourmet di insalata di pasta con pesce crudo marinato, verdure fermentate e dressing agrumati.

Perfetta con:

  • Vini bianchi giovani come Vermentino, Pinot Grigio o Grillo

  • Birre blonde leggere

  • Acque aromatizzate agli agrumi per i pranzi più freschi

Come accompagnamento, si sposa bene con:

  • Grigliate miste

  • Insalate estive

  • Carpacci di carne o pesce

L’insalata di pasta è un esempio virtuoso di gastronomia italiana che ha imparato a parlare la lingua del mondo: semplice da preparare, ricca di nutrienti, ideale per il meal prep, perfetta a casa, in ufficio, in spiaggia o durante un picnic.

Riesce a trasformare un gesto quotidiano — cuocere la pasta — in una proposta moderna che rispetta gusto, salute e convivialità. In ogni forchettata c’è un racconto di estate, socialità e libertà.

Portarla in tavola significa scegliere una cucina colorata, flessibile e gioiosa, fedele alla tradizione italiana ma sempre pronta a rinnovarsi.



 
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