Questa é una domanda che mi mette in difficoltà. Quindi ti rispondo d'istinto.
Dico bistecca….
Questa é una domanda che mi mette in difficoltà. Quindi ti rispondo d'istinto.
Dico bistecca….
Se chiedessi agli italiani chi fa le migliori lasagne, la risposta sarebbe quasi sicuramente un parente stretto (mamma, zia, nonna). E se servissi a quelle stesse persone una lasagna fatta da uno chef stellato, non cambierebbero idea e preferirebbero la versione di mamma, zia o nonna.
Le lasagne sono cibo di conforto. Quindi non si tratta di qualità, criterio o abilità. Si tratta di memoria, valori nostalgici e sentimentali. Anche il miglior chef del mondo, se esiste una cosa del genere, non può raggiungere quell'apice.
Il burro funziona bene per emulsionare e veicolare gli aromi come ad esempio nei roux, ovvero i fondi di cottura. Il burro inoltre innalza la temperatura donando una crosta aromatica e croccante in presenza di amidi e proteine, come nelle patate gratinate, i biscotti, la pasta sfoglia e tutto quanto puoi immaginare.
Tipicamennte il burro viene usato per mantecare, ovvero emulsionare incorporando aria come nel risotto, nelle creme dolci, eventualmente nel gelato industriale.
Esempi di uso di burro e aromi, con il tartufo, con salvia per condire i ravioli, mescolato alla buccia di agrumi per veicolarli nelle creme, dolci impasti.
Con il pane, per sandwich con acciughe, salmone, per addolcirne il salato e veicolare moderando i sapori decisi.
Con le uova, i due aromi si sposano perfettamente e l’uovo viene smorzato nell’odore tipico ma a volte sgradevole se troppo marcato.
Con gli asparagi, per esaltare il profumo delicato.
Sopra i prodotti da gratinare, le proteine contenute si combinano con gli amidi a formare croste aromatiche profumate derivanti dalla reazione di Maillard.
Dal napoletano pizza, di origine incerta.
Forse dal greco bizantino πίττα (pítta, “torta”), dal greco antico πίσσα (píssa, "pece"), attico πίττα (pítta), o da πεπτός (peptós, "cotto"). Oppure ancora dal lombardo bizza, pizza ("morso, grumo, pezzo grosso, gnocco"), o dal latino pinso (“io batto, colpisco”).
L’origine del nome pizza – a detta del mio professore di Filologia – potrebbe risiedere nelle lingue germaniche, in particolare nel longobardo. Come sappiamo, sebbene non siamo in possesso di complete attestazioni scritte di questa lingua, molti residui linguistici sono ancora visibili nell’italiano dei nostri giorni. Qualche esempio sporadico: la maggior parte delle parole che iniziano con gu- (ita: guancia, guerra), derivano da termini longobardi che iniziavano per w- (gmc[!]: *wankja, *werra); stessa cosa per il prefisso Al- nei nomi propri che è un residuo di nomi piuttosto comuni longobardi, come Alberic o Aldeprand; oppure ancora per toponimi come Fara D’Adda, Fara Novarese che derivano dal verbo fahren (lett. andare; dal gmc: *faran). Quindi non è raro che molte parole considerate italianissime, siano in realtà frutto di prestiti germanici.
Tornando alla nostra pizza, è probabile che derivi dal sostantivo bizza (lett. boccone; non a caso, come viene mangiata?), molto simile all’Alto Tedesco Antico bīzan che nel tedesco moderno è diventato beißen (lett. mordere, strappare a morsi). La radice deriva dal Protogermanico *bītaną.
[!] gmc sta per germanico.
È semplice. "Focaccia soffice di farina bianca, di forma rotonda e dimensioni variabili, tipica della cucina araba." Questa è la definizione del dizionario per la parola "pita". La "t" si pronuncia "z" e così più o meno è nato il nome.