Camerieri e chef spiegano come si vendicano dei clienti stronzi

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Un corso avanzato di gestione della rabbia è il minimo che si possa richiedere a chi si appresta a lavorare a contatto col pubblico, e questo è tanto più vero nella ristorazione. Perché basta un cliente particolarmente stronzo a rovinare tutto il turno. La strategia di coping usata più frequentemente da camerieri, baristi e chef funziona più o meno così: sorridi al cliente spregevole di turno, corri in cucina o sul retro del locale, impreca finché non ti senti un pochino meglio, lamentati coi colleghi finché non ti senti decisamente meglio e poi torna a lavorare e consegnare una performance da Oscar.
Eppure, anche i camerieri più calmi e in pace col mondo hanno i loro momenti di rabbia—rabbia che spesso si tramuta in sete di vendetta. I nostri colleghi olandesi hanno chiesto a quattro persone che lavorano nella ristorazione di raccontare dei modi peggiori (o migliori, a seconda della prospettiva) con cui si sono vendicati di clienti stronzi. La morale della favola è: a meno che non vogliate ritrovarvi una birra aromatizzata allo scopino del water, pensateci due volte prima di comportarvi come serpi al bancone di un bar.

RICK, CAMERIERE
Al ristorante avevamo un cliente tanto assiduo quanto insopportabile, una donna semplicemente patetica. Si lamentava sempre per cose a caso, ma invece di dircelo in faccia e darci la possibilità di risolvere l'eventuale problema scattava foto di quello che non le andava bene e poi scriveva mail infuocate all'indirizzo del ristorante. A controllarlo era il nostro capo, che a sua volta se la prendeva con noi.
La signora era intollerante al glutine, ma quando ordinava il suo veggie burger (sì, era anche vegetariana) richiedeva immancabilmente anche il pane. A nulla serviva farle notare che conteneva glutine: ci assicurava che lo avrebbe lasciato—salvo poi mangiarlo e lagnarsene.
Viste le sue lamentele incessanti, una volta abbiamo deciso di prepararle un hamburger di carne invece del solito hamburger vegetariano, piazzarlo sul pane e aspettare che i succhi della carne lo impregnassero per bene. Un attimo prima di portarlo in tavola abbiamo sostituito l'hamburger di carne con quello vegetariano. Non ha notato niente. Quanto a me, è stata una vendetta piuttosto soddisfacente, anche se mi sono sentito un po' in colpa.

SABRI, BARISTA
Col tempo ho imparato a fregarmene dei clienti sgradevoli. Il mio collega al bancone invece aveva l'abitudine di vendicarsi mettendo meno alcol nei drink delle persone che non gli piacevano, arrivando anche a dimezzare le quantità richieste.
Ma c'era una cosa di cui non riuscivo a fregarmene e che odiavo molto più di ogni cliente stronzo: lo chef. I piatti che preparava per lo staff erano disgustosi, speziatissimi e unti, e questo per il solo piacere di renderci la vita impossibile. In più era una persona estremamente arrogante, il classico chef che non poteva considerarsi soddisfatto finché non aveva preso in giro, rimproverato o infamato ogni singolo dipendente del locale. Mi mandava in escandescenze, e in due occasioni le cose sono sfuggite di mano. Abbiamo litigato e siamo quasi finiti alle mani. Un'altra volta mi ha servito di nascosto del maiale pur sapendo che non lo mangio.
Da quel momento ho deciso di fare sul serio. Uno dei miei compiti era portare da bere alla cucina una volta finito il loro turno, ed è da lì che è partita la mia vendetta. Sapevo che lo scopino del wc era perennemente sporco perché non veniva mai pulito, così ho deciso di dare un tocco in più alla birra dello chef passandolo ogni singola volta sul boccale della sua prima bevuta della serata. Beveva così in fretta che era difficile se ne accorgesse.
So che non avrei dovuto farlo, ma lui ci serviva la merda, quindi ho ricambiato volentieri.

DIMI, CHEF
Una volta un collega si è beccato una multa totalmente immotivata da due vigili che frequentavano il nostro ristorante. Qualche giorno dopo i due sono venuti a pranzo a prendersi un panino, e per vendicarsi lui ha scaldato il pane e prima di mettere il resto degli ingredienti ci ha strofinato sopra il glande. Altre volte, invece, mi è capitato di veder buttare per terra gli hamburger prima di metterli sul pane. Ma io credo nel karma, e di cose del genere non ne faccio.

LAILA, EX CAMERIERA
A 18 anni ho lavorato per un po' in una sala da tè. Un giorno tra i clienti ho notato la nuova ragazza del mio ex, e quando ho capito che avrei dovuto servirla io mi sono sentita minuscola. Mi sembrava che in quel momento avesse ancora più potere su di me, con quel sorrisetto che mi ha lanciato dopo aver ordinato un cocktail che si chiamava—me lo ricordo ancora—Jungle Juice.
Quando sono andata a portare le ordinazioni ho detto alla mia collega che avrei proprio voluto sputare nel bicchiere di quella ragazza. E lei, senza troppi problemi, ha raccolto un po' di saliva e dalla sua bocca l'ha fatta cadere direttamente nel blender insieme a tutti gli altri ingredienti. Eravamo sul retro, quindi nessuno ci ha viste. Quando ha versato il tutto nel bicchiere, sulla superficie si è formata una piccola schiuma bianca.
Ricordo di aver mescolato come una pazza prima di servirlo, per assicurarmi che non ci fosse nulla di sospetto. Guardarla bere mi ha fatta sentire meglio, tanto che poi ne abbiamo riso per settimane. Qualche mese dopo, tra l'altro, lei e il mio ex hanno rotto.


Maiale mu shu

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Il maiale mu shu (a seconda del dialetto, scritto anche mù xũ rōu, mu shi, mu shu o mu xu, cinese tradizionale: 木須肉; cinese semplificato: 木须肉; pinyin: mù xū ròu) è un piatto tipico della cucina del nord della Cina, che ha avuto origine nella provincia dello Shandong e diffuso soprattutto nella cucina pechinese. Negli anni '60 del Novecento il piatto è diventato anche uno dei più popolari della cucina cinese negli Stati Uniti d'America, dove è stato portato dai migranti cinesi.

Descrizione

Stile cinese

Nella sua versione cinese tradizionale, il maiale mu shu è composto da carne di maiale tagliata a striscioline o a listarelle e uova strapazzate, saltate al wok in olio di sesamo o di arachidi, con l'aggiunta di funghi orecchio di Giuda tagliati sottili e germogli di emerocallide. In alcune varianti, vi si possono aggiungere anche germogli di bambù tagliati sottili. Il piatto viene condito con zenzero, aglio, cipolletta, salsa di soia e vino di riso (di solito, della qualità conosciuta come huangjiu).

Stile cinese americano

Negli Stati Uniti, questo piatto è comparso nelle cucine dei ristoranti cinesi di New York City e Washington, D.C. intorno al 1966. All'epoca, a causa della scarsa reperibilità di ingredienti come i germogli di emerocallide e i funghi orecchio di Giuda in America, venne introdotta una ricetta modificata che divenne presto predominante. Questa ricetta include tra gli ingredienti principali le uova strapazzate e il cavolo cappuccio, accompagnati da carote, una minima quantità di germogli di emerocallide e funghi orecchio di Giuda, cipolletta e germogli di soia. A volte vengono aggiunti anche funghi shiitake, cavolo napa, taccole, peperoni, cipolle e sedano, mentre il vino di riso huangjiu è sostituito dallo sherry secco. Tutti i vegetali, ad eccezione dei germogli di emerocallide e dei germogli di soia, vengono tagliati a strisce molto sottili prima della cottura.

Varianti

Oltre agli ingredienti tradizionali, e a quelli aggiunti nella cucina statunitense, esistono altri tipi di varianti che riguardano stili personali di alcuni chef o ristoranti. Sia nella versione cinese, sia in quella americanizzata, possono essere aggiunti anche sale, zucchero, glutammato monosodico, amido di mais e pepe bianco macinato. Nei ristoranti meno autentici del nord America, gli ingredienti basilari (funghi orecchio di Giuda e germogli di emerocallide) sono del tutto omessi.
Sebbene la pietanza sia quasi sempre fatta con carne di maiale, lo stesso condimento di base può essere unito ad altri tipi di carne o anche a piatti di frutti di mare. Di solito, in ogni caso, non si mischiano più tipi di carne insieme. Se viene cotta carne di pollo, invece che di maiale, il piatto verrà chiamato pollo mu shu; il nome viene alterato allo stesso modo nelle ricette con gamberi o tofu. Il nome cinese, 木須肉, utilizza il realtà il carattere con il significato di "carne", senza specificare di quale tipo si tratti, tuttavia viene dato per scontato in lingua cinese che si tratti di carne di maiale, poiché è quella più comunemente utilizzata per qualsiasi tipo di pietanza.
Un tipo diverso di cucinare la carne di maiale mu shu si chiama lu, () una parola che ha un significato simile a "salsa". La cottura del lu è accostabile allo stile di cucina occidentale au jus. Il lu, che sia vegetariano o a base di carne, è utilizzato spesso come base per zuppe di noodles, prendendo il nome di noodles dalu.


Portata

Originale

In Cina, di solito, il maiale mu shu viene accompagnato da riso bianco al vapore. Nella variante mu shu lu, servita con salsa, viene spesso accompagnata con spaghetti cinesi e tofu morbido.

Varianti cinesi americane

In America, il maiale mu shu viene servito con l'accompagnamento di salsa hoisin (una salsa agrodolce di prugna cinese) e diverse sottilissime frittelle di farina al vapore utilizzate per avvolgervi dentro la carne, come un involtino. Queste frittelle tonde prendono il nome "pancake mu shu" (caratteri cinesi: 木须饼; pinyin: mù xū bǐng), di báo bǐng (薄饼, letteralmente "pancake sottili") o "pancake mandarini", simili a quelli utilizzati nella portata dell'anatra laccata.
La carne di maiale viene quindi avvolta nelle frittelline su cui sarà stata spalmata un po' di salsa hoisin, talvolta dal cliente stesso, sebbene in alcuni ristoranti sia compito dei camerieri. L'involtino viene poi mangiato con le mani.

Etimologia

Per chiarire il significato del nome del piatto, esistono due possibili spiegazioni principali.
Secondo la prima, il nome originale della pietanza è Muxi Rou 木犀肉 (pinyin: mù xī ròu), il cui l'ultimo carattere, (ròu), ha il significato di "carne". Le prime due sillabe, 木犀 (mù xī), indicano il piccolo albero ornamentale conosciuto come Osmanto dolce, che produce boccioli piccoli e profumati di colore giallo o bianco. Sembra che i boccioli dell'albero ricordino l'aspetto delle uova strapazzate nei piatti cinesi, cosicché 木犀 (mù xī) ha iniziato ad indicare tale ingrediente. Inoltre, durante le celebrazioni annuali per l'anniversario della morte di Confucio, in Cina è proibito utilizzare la parola cinese per "uovo" (; pinyin: dàn), poiché viene usata in un certo numero di insulti. Per questo motivo, la parola dàn viene tradizionalmente sostituita con un eufemismo, e "mù xī" è uno di questi. Il primo carattere, (mù), d'altra parte è anche l'abbreviazione di 木耳 (mù'ěr, che significa "fungo orecchio d'albero").
La seconda variante del nome del piatto, 木须肉 (pinyin: mù xū ròu), è più popolare nella cucina cinese-americana. Il secondo carattere, (xū), ha il significato di "barba (del granturco)", tuttavia vi è aggiunto un componente determinativo aggiuntivo per distinguerlo dagli altri significati dello stesso carattere, per cui viene scritto . Probabilmente, il modo di scrivere 木須肉 (letteralmente: "maiale barba di legno") in America è semplicemente il risultato di un errore tipografico, in cui è stato scritto un carattere della stessa pronuncia, e poi è diventato comune in questo modo.
Esistono due spiegazioni ulteriori per il significato del nome della pietanza, tuttavia sono probabilmente degli esempi di un errore linguistico conosciuto come paraetimologia. Per citarli, comunque, esiste un distretto di Pechino che ha lo stesso nome del piatto, Muxi Di (木樨地), che ospita anche una stazione della metropolitana (木樨地站). Il piatto, a volte, è anche chiamato 苜蓿肉 (mùsù ròu), cioè "carne con erba medica".

Caffè Martini

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Ai tavolini del vecchio Caffè Martini - che era in un palazzetto accanto all'edificio del Teatro alla Scala di Milano - si diceva che arrivasse l'eco dei battimani e dei fischi della Scala. Ai suoi tavolini sedeva un pubblico eterogeneo: cantanti e attrezzisti, scrittori e ballerine, impresari e musicisti. Era frequentato dal librettista Francesco Maria Piave, dal coreografo Giuseppe Rota, dal musicista Paolo Giorza.
La sua storia iniziò nel 1832, quando Giovanni Martini rilevò il vecchio Caffè del Teatro, rimettendolo a nuovo. L'esercizio passò nel 1843 al Cuzzi e al Brambilla che nel 1857 lo cedettero a Vincenzo Dujardin che era originario di Lione. Il Caffè Martini aveva le sale al pianterreno e, al mezzanino, locali per il biliardo e salottini riservati. Era pavimentato con il parquet, fornito di stufe, di deposito di ombrelli e bastoni, di cannocchiali e tabarri: questi servizi erano gratis, tranne in tempo di Carnevale, quando si chiedeva agli avventori una piccola mancia. Durante le Cinque giornate di Milano la barricata davanti alla Scala fu realizzata con attrezzerie e poltrone del teatro e con tavolini e sedie del Caffè Martini.
A metà Ottocento, tra gli avventori c'era un gruppo solidale, detto delle Cinque Effe, che era composto dallo scrittore Leone Fortis, dal critico musicale Filippo Filippi e da tre ballerine della Scala il cui nome iniziava per F. Al caffè si sedeva spesso Giuseppe Verdi. Il suicidio dello scrittore scapigliato Temistocle Prola, che sul settimanale letterario e satirico Il Pungolo si firmava Antar, arrivò durante un veglione della Scala, in mezzo a un galoppe del musicista Paolo Giorza, gelando il sorriso di Cletto Arrighi. La funerea notizia rimbalzò nei locali del Caffè Martini: era il primo lutto tra gli scapigliati.
In visita a Milano, lo scrittore e giornalista Carlo Collodi, seduto al Caffè Martini, seppe che il locale sarebbe presto scomparso: il vecchio Caffè Martini infatti chiuse i battenti perché il Comune di Milano aveva deciso di allargare piazza della Scala, demolendo gli edifici tra la Scala e Palazzo Marino; quindi il palazzetto dove sorgeva il caffè fu abbattuto. Anche Ippolito Nievo si occupò del progetto di allargare piazza della Scala, dimostrandosi dubbioso sulla necessità di intraprendere questi lavori. Un vecchio cameriere del Martini, Angelo Turretta, riaprì il caffè nel palazzo De Marchi, che era di fronte, in piazza della Scala 10; ma l'atmosfera non era più quella. Il caffè Martini fu il primo caffè milanese ad essere illuminato con luce elettrica, nel 1883. La Marchesa Colombi vi ambientò un episodio di un romanzo. Igino Ugo Tarchetti ha una pagina sul Caffè Martini. Il palazzo De Marchi fu demolito nel 1905 e al suo posto, tra il 1906 e il 1911, sorse il nuovo stabile sede della Banca Commerciale Italiana su progetto di Luca Beltrami.
I letterati che frequentano vecchio Caffè Martini alla Scala, nel 1856, sono ritratti in un disegno, pubblicato su doppia pagina affiancata sul Panorama Universale, il 13 settembre 1856. Alcuni sono seduti, altri sono in piedi a chiacchierare. Immancabili, i sigari in bocca. Non sono presenti le signore. Due riviste umoristiche e letterarie si contendevano a Milano i favori del pubblico: Il Pungolo di Leone Fortis e L'Uomo di Pietra di Antonio Ghislanzoni. Ma alcuni giornalisti e scrittori - a volte senza firmare, a volte cambiando lo pseudonimo - collaboravano sia all'una, sia all'altra rivista. Lo scopo era uno solo: fare un po' di guerra all'Austria. I letterati ritratti in quel disegno satirico del 1856 sono (da sinistra): i due fratelli Ignazio e Cesare Cantù, il poeta e traduttore dal tedesco Andrea Maffei, Ippolito Nievo che collaborava alle riviste milanesi "Il Pungolo" e "L'Uomo di Pietra", il commediografo Paulo Fambri, il traduttore dal francese Luigi Masieri, Leone Fortis ideatore della rivista "Il Pungolo" e per un periodo direttore artistico della Scala, Vittorio Salmini commediografo, Luigi Gualtieri, Carlo Righetti meglio noto come "Cletto Arrighi", il romanziere scapigliato Giuseppe Rovani, Cesare Betteloni poeta del Lago di Garda, Tullio Dandolo, Antonio Ghislanzoni librettista di Verdi, Vittore Ottolini, Carlo Baravalle e il critico musicale Filippo Filippi che si firmava "Pippo Pippi".

Limburger

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Il Limburger è un formaggio originario della regione compresa storicamente nel Ducato di Limburg, suddivisa fra gli Stati di Germania, Belgio e Paesi Bassi.
Il Limburger è conosciuto in particolare per il suo odore pungente; il batterio usato per fermentare il formaggio è il Brevibacterium linens, lo stesso batterio che può essere trovato sulla pelle umana e che è parzialmente la causa del suo odore.
Una particolare varietà di formaggio Limburger è il Formaggio di Herve, un formaggio prodotto nella regione di Herve.
Il formaggio Limbuger e il suo odore caratteristico sono spesso frequenti bersagli di scherzi e gag.
Nel 2006 uno studio dimostrò che la zanzara della malaria, Anopheles gambiae, è ugualmente attratta sia dall'odore del formaggio Limbuger, sia da quello di piedi umani. Per questo lavoro gli autori, gli olandesi Bart Knols e Ruurd de Jong, furono insigniti del Premio Ig Nobel.

Cucina pechinese

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La cucina pechinese (cinese: 北京菜; pinyin: Běijīng cài) ma anche Jing Cuisine, ovvero "cucina della capitale" o anche "cucina mandarina" è la cucina della città di Pechino.
Essendo stata Pechino la capitale della Cina per secoli, la sua cucina è stata influenzata dalle tradizioni culinari di tutto lo Stato, ma lo stile che più l'ha influenzata è quella della costa orientale della provincia dello Shandong. La cucina pechinese, poi, influenzò a sua volta altre cucine regionali cinesi e in particolare la cucina Liaoning, la cucina imperiale cinese e la cucina aristocratica cinese.
La cucina pechinese pone enfasi sulla pasta di soia scura, pasta e olio di sesamo, scalogno, tofu fermentato è spesso servito come condimento e meno attenzione sul riso rispetto ad altre regioni della Cina, probabilmente poiché la produzione locale di riso è limitata al relativo clima secco.
La cucina huaiyang era elogiata fin dai tempi antichi in Cina ed era una pratica comune per un funzionario statale durante i viaggi da e per Pechino di portarsi uno chef specializzato in questa cucina. Quando i funzionari completavano i loro scopi tornavano alla provincia d'origine, ma gli chef per lo più rimanevano a Pechino, aprivano i loro ristoranti e venivano assunti dalle persone facoltose locali. La cucina pechinese si formò maggiormente durante il periodo della dinastia Qing.

Dolce al cucchiaio

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Si definisce dolce al cucchiaio un dessert o prodotto di pasticceria dotato di una consistenza cremosa o comunque abbastanza morbida o spumosa, tanto da necessitare di essere consumato con il cucchiaio. Generalmente trattasi di dolci che vanno raffreddati in frigorifero, ma la maggior parte di essi richiede una cottura, che può essere totale o riguardare esclusivamente la crema che spesso costituisce la loro base.
Questo tipo di dessert può essere consumato da solo o accompagnato da cialde, biscotti e frutta; solitamente i dolci al cucchiaio hanno un aspetto sontuoso ed elegante, sono sostanziosi e non comportano una realizzazione particolarmente complessa. Gli ingredienti più utilizzati per queste preparazioni sono la panna montata, le uova e la colla di pesce.
I dolci al cucchiaio possono essere serviti come fine pasto o come spuntini; solitamente sono di facile presentazione in quanto vengono disposti in coppette, bicchieri e cocotte.




 
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