Possibile che anche chef famosi e grandi ristoranti rischino di dover chiudere a causa del COVID-19?

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Sembra possibile, sì.
Il primo ad alzare la mano era stato Cracco, sostenendo che piuttosto che mettere barriere di plexiglass nel suo ristorante, avrebbe chiuso. Una dichiarazione che in molti lessero come una provocazione, ma che comunque esprimeva un pensiero diffuso in molti operatori del settore.
E dopo la fine del lockdown, quando si iniziano a fare i conti con l'aspetto economico di questa pandemia, a farsi sentire è stato Alessandro Borghese in un'intervista al Corriere della Sera:
L’assenza dello Stato sta radendo al suolo la ristorazione italiana. Non solo manca sostegno economico a un settore che è il fiore all’occhiello del Paese, ma anche le regole per iniziare a progettare la ripartenza non ci sono. Da quando è iniziato il lockdown ho perso quasi metà degli introiti. Sono venute meno cene private, ben 16 matrimoni, per non parlare degli eventi legati al Salone del Mobile. Ora siamo fermi. È tutto chiuso. E sto anticipando l’assegno della cassa integrazione ai miei 64 collaboratori: non potevo permettere attendessero mesi prima dell’arrivo dei fondi a causa della burocrazia. Ma così non si può resistere a lungo. Un altro mese. Se le cose non si smuovono dovrò decidere cosa fare con il personale, le spese d’affitto e le bollette. Ma è un’evenienza in cui spero di non dovermi trovare. Ho le spalle larghe e saprò affrontare qualsiasi scenario. Così come tanti miei colleghi per cui il ristorante è solo una parte dei guadagni, accanto ad altre attività. Ma penso a quelli che vivono degli incassi di bistrot, trattorie e osterie, soprattutto in provincia. Sono molto preoccupato per loro… alcuni hanno già chiuso, tanti altri lo stanno per fare. Servirebbero finanziamenti a fondo perduto, anche perché ci vorrà tempo prima che i ristoranti tornino a riempirsi. Mancano appena tre settimane e non ci sono ancora le regole d’ingaggio, anche solo per capire quanto costerà far ripartire le attività. Qualche esempio? Sanificare un locale da 300 metri quadrati costa tra i mille e i 3 mila euro. Ogni quanto sarà necessario farlo? E poi, come dovranno essere allestiti i locali? Non saperlo rende impossibile pianificare e non si potrà improvvisare, ne va della salute dei clienti e dei lavoratori.


Il problema è evidente e molto democratico, affligge i piccoli e i grandi, anche se ovviamente le ricadute su chi ha le spalle larghe possono essere ammortizzate meglio.
Però una domanda i grandi se la stanno facendo: quanto sarà disposta la gente a venire in un ristorante di lusso con mascherine e plexiglass? Quanto saremo disposti a cenare in una stanza guardandoci sempre intorno, sobbalzando ad ogni colpo di tosse? E non è un problema solo economico, ma anche di predisposizione.


Dopo il COVID-19 fino a che punto è ancora conveniente riaprire per un bar o un ristorante?

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Ne sto parlando già da un po' di tempo con mio cognato (che ha un bar) ed un vicino di casa (che ha un bar). Ed entrambi mi dicono che la riapertura sarà un serio problema e che stanno cercando di capire se converrà loro riaprire.
Perchè il tema del distanziamento sociale e della riduzione delle superfici è un problema enorme e compromette seriamente la tenuta del conto economico. Quindi in centinaia di migliaia di esercenti dovranno porsi questo interrogativo.
E nel mio piccolo penso già che in molti, anche durante il lavoro, preferiranno la macchinetta al salto al bar, con code e distanziamenti che non sai quanto potrebbero allungarti la pausa caffè.
Confcommercio stima la chiusura di 270.000 esercizi, precisando che si tratta di una stima prudenziale. No, non sarà una ripartenza serena…
In rete ho trovato questa lettera, scritta da una coppia che ha deciso dopo 5 anni di chiudere il loro ristorante. Non credo ci sia altro da aggiungere alla puntuale descrizione di una situazione drammatica:
Carissimi amici,
esattamente 2 mesi fa, l'11 marzo, chiudevamo i Tre Musoni in ottemperanza al Dpcm per l'emergenza covid-19. Tantissimi di voi ci hanno chiamato chiedendoci come stavamo affrontando la situazione e le prospettive per il locale: nelle righe che seguono rispondiamo mettendovi al corrente di quanto si sta profilando per l'immediato futuro.

FASE 1
Senza poter prevedere quanto sarebbe durata la quarantena, il giorno successivo, il 12 marzo, abbiamo deciso di lasciare un importo sul conto corrente aziendale sufficiente a pagare per circa tre mesi quei servizi (luce, gas, telefono) assolutamente necessari per il giorno della riapertura, prelevando la differenza da destinare ad un “polmone” per la nostra vita privata (per la spesa, l'affitto di casa, le bollette, la benzina, eccetera); per fortuna non avevamo esposizioni con nessun fornitore, tuttavia abbiamo chiesto al proprietario dei muri, al commercialista, all'assicuratore e ad altri consulenti di seguirci sin quando possibile, perchè di lì a qualche settimana non saremmo più stati in grado di onorare le loro competenze.
Ad oggi, trascorsi 60 giorni, non abbiamo ricevuto 1 euro dallo Stato: ne' i 600 euro del bonus partite iva, ne' la cassa integrazione, ne' il 20% dell'importo dell'affitto dei muri come promesso, neanche i buoni spesa alimentari. Nel frattempo, non avendo altre fonti di reddito, abbiamo intaccato sensibilmente quel polmone iniziale.
E veniamo alla situazione odierna: sinora abbiamo accumulato 14.350,00 euro (quattordicimilatrecentocinquanta) di debiti tra affitti non pagati, imposte del primo trimestre, imposte del secondo trimestre, contributi previdenziali, tasse relative all'esercizio 2019, onorari dei consulenti, eccetera eccetera. Sono gran parte anche se non la totalità delle spese “strutturali” che non possiamo eludere o ridurre.

FASE 2
E' stata indicata la data del 18 maggio o forse del 1 giugno per la riapertura del locale.
Nel frattempo ci è stata concessa la possibilità dell'asporto: senza essere del settore, anche voi potete immaginare che non è possibile replicare gli incassi che facevamo prima della chiusura attraverso l'asporto: per motivi logistici (siamo obbligati ad appoggiarci ad una ditta specializzata nelle consegne), per motivi evidenti (pensate a quante consumazioni al bar e al tavolo non vengono più effettuate), per motivi fiscali (mentre il servizio all'interno del locale ha un'aliquota iva del 10%, per l'asporto l'aliquota sale al 22%, quindi un quinto dell'incasso va allo Stato).
Per rimediare al gap economico, abbiamo la possibilità di accedere ad un credito bancario: i famosi 25.000 euro. In realtà si tratta di un limite massimo, per noi inferiore dato che la cifra è modulata sul bilancio 2019 di ogni azienda. Indipendentemente dall'importo, si tratta di prestito bancario che va restituito, un buco economico che non produce nulla (non è un prestito che chiediamo per eseguire migliorie al locale o acquistare nuove attrezzature, ma servirebbe solo a coprire quelle spese che nonostante l'attività sia ferma continuano a “camminare”, compreso il pagamento delle tasse che non sono state abolite bensì solo posticipate).

LA RIPARTENZA
Ed eccoci al prossimo 18 maggio o 1 giugno: anzitutto non abbiamo a tutt'oggi (11 maggio) un vademecum ufficiale da parte dell'Inail sulle disposizioni e norme tecniche atte a garantire ai clienti (ed a noi stessi) la protezione sanitaria. Come voi, apprendiamo dalla televisione qualche indiscrezione in merito, ma anche nella migliore delle ipotesi ci vedremo ridotta del 50% la capienza del locale rispetto a 60 giorni fa (ma con i costi strutturali invariati). Basterebbe questo dato a farci desistere dal riaprire. Vogliamo però aggiungere che dovremo “investire” almeno 2.000 (duemila) euro per eseguire la sanificazione del locale, acquistare distanziatori, plexiglass, gel disinfettanti, visiere e probabilmente qualche prodotto specifico per sterilizzare bicchieri, piatti e posate.

LO STATO DELL'ARTE
Come potete dedurre, riaprire in queste condizioni significa accumulare ogni mese tra i 3 ed i 4.000 euro di debito. Anche ammesso che l'emergenza covid-19 duri solo ancora 6 mesi, potete calcolare da soli il nostro bilancio al 31 dicembre prossimo.
Oggi dobbiamo arrenderci all'evidenza: la nostra attività non vale più niente: niente poiché non sarà più in grado di abbattere le spese necessarie a mantenerla aperta; niente perché non si presenterà nessun acquirente a rilevarla.
5 anni di lavoro e di vita buttati via.
Tra quelle quattro mura, al banco e tra i tavoli, sono nate e rimarranno le amicizie, vostre e dei tanti simpatizzanti e conoscenti che ci hanno sostenuto in questo lungo percorso, e di questo ringraziamo tutti col cuore: non solo ci avete dato da vivere materialmente, ma moralmente ci avete arricchito: con voi abbiamo dialogato, riso, ragionato, discusso, condiviso emozioni e pensieri, come in una famiglia allargata dove il locale era una casa che accoglieva tutti.
Grazie








Big Mac

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Il Big Mac è il panino più famoso e uno dei più venduti nella catena di fast food McDonald's.
Nacque nel 1968 ad Uniontown, in Pennsylvania, su iniziativa di Jim Delligatti, studente dell'università del Michigan e titolare in franchising di un ristorante McDonald's, morto nel 2016 a 98 anni, era solito mangiarne almeno una volta a settimana. Inizialmente variò spesso nome (venne chiamato "Aristocrat" e "Blue Ribbon Burger"): a "battezzarlo" definitivamente come Big Mac ci pensò la ventunenne Esther Glickstein Rose, che lavorava per la McDonald's a Chicago.
Il Big Mac è globalmente considerato un simbolo del capitalismo americano. The Economist lo ha utilizzato per confrontare su scala globale il costo della vita (Indice Big Mac).

Ingredienti

  • Base del panino
  • Salsa Big Mac*
  • Cipolla tritata disidratata
  • Insalata Iceberg tritata
  • Fetta di formaggio Cheddar fuso
  • Hamburger
  • Tramezzo del panino
  • Salsa (Segreta) Big Mac
  • Cipolla disidratata tritata
  • Insalata Iceberg tritata
  • 2 cetriolini
  • Hamburger
  • Corona del panino
  • Salsa Big Mac: 1 tazza (equivalente a 250 grammi circa) di Miracle Whip (un equivalente della maionese), 1/3 di tazza di vinaigrette (80 ml) (sale olio e aceto), 1/4 di tazza di sottaceti-giardiniera (60 ml), 1 cucchiaio di zucchero, 1 cucchiaino di cipolla tritata, 1 pizzico di pepe.

Valori nutrizionali

Negli Stati Uniti, il Big Mac ha 540 calorie (2.259,36 kJ), 45 grammi di carboidrati e 27 grammi di proteine. In Australia, tuttavia, il panino è più piccolo con 480 calorie (2.010 kJ), 36,2 grammi di carboidrati, ma simili quantitativi di proteine con 25,3 grammi. Caratteristica comune in tutte le nazioni è l'elevata frazione di acidi grassi saturi sul totale dei lipidi, nella versione italiana è di circa il 40% sui grassi totali.
In India, dove la mucca è un animale sacro, il Big Mac è rimpiazzato dal Maharaja Mac, che ha carne di pollo al posto di quella di vitello.

Loco Moco

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Il loco moco è un piatto tipico della cucina hawaiana. Ci sono molte varianti ma di base il loco moco è costituito da riso bianco sormontato da un hamburger, uovo fritto e salsa gravy. Le varianti possono includere peperoncino, pancetta, prosciutto, spam, maiale Kalua, Linguiça, manzo teriyaki, pollo teriyaki, mahi-mahi, gamberi, ostriche e altre carni. Loco Moco è anche il nome di una catena di ristoranti hawaiani che servono piatti tipici in ciotole di riso.

Storia

Il piatto si dice sia stato creato dal "Lincoln Grill" o dal "May's Fountain" due ristoranti di Hilo. La più probabile origine del nome è che "loco" derivi da "locale" e moco sia stato aggiunto in seguito solo perché stava bene per assonanza.

Popolarità

Il piatto è molto popolare nelle Hawaii e viene incluso in molti menù di ristoranti hawaiani sulla terraferma. Il piatto è preparato secondo gli standard della cucina giapponese, riso, rifinito con hamburger, salsa gravy e uova fritte per creare un piatto che pur richiamando un piatto bento non ne richiede i tempi di preparazione.


Barbotta

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La barbotta o puticiana è un piatto povero della tradizione della Lunigiana.
Si prepara con una varietà locale di cipolla, detta "di Treschietto" oppure con altri ortaggi come fiori di zucca. Un tempo veniva preparata sui tipici contenitori ("testi") in cotto o in ghisa.

Caruru

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Il caruru è un piatto brasiliano, tipico della cucina baiana, in realtà di origine africana e importato in Brasile durante il periodo dello schiavismo. Pare comunque che anche gli indios del Nord-Est usassero un piatto simile. È uno dei piatti rituali nella religione sincretica del Candomblé.

Preparazione

Il caruru si prepara con un vegetale, il gombo, che viene tagliato a fettine e fritto con erbe varie: cipollina, peperoncino, aglio e altre spezie. È generalmente accompagnato da carne bianca, pollo o pesce, che può essere cucinata a parte o fritta insieme. È anche servito con acarajé o abará, ma anche riso bianco e gamberi secchi.

Cos'è la 2020 tip challenge?

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È una challenge che sta seminando mance stellari a camerieri e baristi negli USA.


A pochi giorni dall'inizio del 2020, il primo fenomeno virale dell'anno ha già iniziato a diffondersi a macchia d'olio attraverso i social. Non si tratta di un video né di un meme, ma di una challenge: una sfida che gli utenti di Twitter, Facebook e altri social network stanno passandosi di mano in mano online ma soprattutto offline. È stata battezzata 2020 tip challenge e vi si partecipa lasciando una mancia di importo ben specifico al cameriere del ristorante, al barista del pub bar, al facchino dell'hotel o a qualunque altro operatore del settore al quale è possibile riservare questo trattamento.


Le origini della sfida risalgono ai primissimi giorni dell'anno, quando Danielle Franzoni, una cameriera statunitense, ha raccontato ai quotidiani locali di aver ricevuto una mancia decisamente sproporzionata da una coppia di clienti al ristorante dove lavora, nel Michigan: ben 2020 dollari su un conto totale da poco più di 23. Il messaggio lasciato dai clienti sulla ricevuta recitava solamente "Buon anno, Danielle. 2020 tip challenge", ma tanto è bastato a ispirare la stessa Danielle, che nella stessa sera ha lasciato una mancia più modesta ma comunque significativa nel ristorante dove si è recata a cena: 20,20 dollari.
La storia è bastata a colpire l'immaginazione degli appassionati di questo genere di sfide virali in tutto il mondo, soprattutto dopo che anche l'attore Donnie Walhberg ha deciso di partecipare alla challenge con un'altra mancia da 2020 dollari lasciata a un cameriere della catena Ihop. Parteciparvi del resto è semplice, e come dimostrato da Danielle non è necessario svenarsi per farlo: la maggior parte degli utenti che si sono lanciati nella 2020 tip challenge stanno infatti donando 2 banconote da 20 dollari o scegliendo l'importo da 20,20 dollari, immortalando il gesto e condividendolo sui social con l'hashtag #2020tipchallenge.


 
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