Salmone affumicato

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Il salmone affumicato deriva da un metodo di conservazione del salmone, soprattutto della specie Salmo salar (Salmone atlantico), ma viene talvolta utilizzato Oncorhynchus masou (salmone giapponese) o altre specie del genere Oncorhynchus.

Processo di produzione

Salmo salar viene sia allevato in impianti di itticoltura, sia pescato in Canada, Scozia, Irlanda, Norvegia e in piccola parte dalla Francia, mentre Oncorhynchus masou viene pescato nell'Oceano Pacifico. Dopo averlo pescato, viene eviscerato e viene tolta la testa e può essere affumicato con due metodi:
  • Affumicatura a freddo: il salmone viene filettato e messo sotto sale con una piccola aggiunta di zucchero e messo in contenitori lignei, poi viene affumicato per 12 ore con temperatura non superiore a 20 °C.
  • Affumicatura a caldo: il salmone viene filettato e messo sotto sale e affumicato con legno di betulla a una temperatura di 120 °C nei primi venti minuti, poi a 80 °C per tre ore, la temperatura interna del salmone non deve andare oltre 75 °C.

Consumo

In Italia nel solo 2007 sono state vendute circa 450 tonnellate di salmone affumicato.

Rischi per la salute

Tuttora ci si interroga se il processo di affumicatura può essere rischioso per la salute. Ad oggi è stato comunque provato che alcune nitrosammine e idrocarburi policiclici aromatici possono avere effetti cancerogeni. Ma il rischio è presente solo nel caso di consumo costante di cibi affumicati.

Valori nutrizionali

I valori nutrizionali si riferiscono a 100 g di prodotto:
Valore energetico Proteine Carboidrati Fibre Zuccheri Grassi Acqua Ceneri
kcal 117
KJ 490
18,28 g 0 g 0 g 0 g 4,32 g 72 g 2,62 g





Tourtière

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La tourtière è un pasticcio di carne e patate tipico del Canada.

Diffusione

È diffuso in particolare nella regione del Québec, dove costituisce uno dei piatti tradizionali della vigilia di Natale, ma è consumato anche nel resto del paese e nelle aree degli Stati Uniti più vicine al confine con il Canada come Maine, Rhode Island, Vermont, New Hampshire e Massachusetts, dove fu introdotto tra il XIX e il XX secolo da migranti provenienti dal Quebec.

Descrizione

Di solito il ripieno è preparato con carne di maiale, vitello o manzo tagliata a dadini, talvolta con l'aggiunta di cacciagione, ma non esiste una ricetta univoca dal momento che vi sono diverse varianti regionali. La ricetta del Saguenay-Lac-Saint-Jean e del Quebec orientale ad esempio prevede diversi tipi di carne, compresa la selvaggina, e l'aggiunta di patate, mentre a Montreal si utilizza solamente il maiale.

Ricetta

Per preparare la ricetta del tourtière, sformato di carne e patate tipico del Quebec, iniziate facendo un impasto con la farina, il burro, il sale e l'uovo.
Avvolgetelo in pellicola trasparente e fatelo riposare nel frigorifero per 30 minuti.
Bollite, pelate e schiacciate le patate.
Riscaldate il forno a 200 °C con ventilazione.
Mescolate la carne di maiale con la carne di manzo, le patate schiacciate, la cipolla, l'acqua, 1 1/2 cucchiaini di sale, il timo, la polvere di salvia, pepe in abbondanza, la polvere di cannella e la polvere di chiodi di garofano.
Mettete la carne in una padella capiente e fatela friggere a fiamma moderata, mescolando per circa 2-3 minuti.
Abbassate la fiamma e fate rosolare per ancora 5-8 minuti a fiamma lenta mescolando di tanto in tanto.
Dividete in due parti (una parte un poco più grande dell'altra) la pasta frolla e allargatela con un mattarello sul piano di lavoro infarinato.
Imburrate uno stampo dai bordi alti (24 cm di diametro) e stendetevi il foglio di pasta frolla un poco più grande formando anche un bordo alto. Versate la carne nello stampo, lisciatela con un cucchiaio e stendetevi sopra il secondo foglio di pasta frolla.
Chiudete bene i bordi, poi con un coltellino affilato intagliate un poco la pasta (a piacere anche in maniera decorativa) in modo che il vapore acqueo possa uscire durante la cottura.
Coprite il bordi con una striscia di carta d'alluminio.
Fate cuocere nel forno caldo per 25 minuti, poi tirate via la carta d'alluminio e fate indorare per ancora 20 minuti.
Fate intiepidire la Tourtiere per circa 10 minuti, poi tagliatela a fette. Servite subito.

Amatriciana

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«"… e li tra gli armenti, da magica mano, nascesti gioiosa nel modo più strano la pecora mite e il bravo maiale, donarono insieme formaggio e guanciale."»
(Carlo Baccari)
L'amatriciana (matriciana in romanesco) è un condimento per la pasta che ha preso il nome da Amatrice, cittadina in provincia di Rieti, nella regione Lazio.

Storia

L'antenata della amatriciana è la gricia (o griscia). Secondo alcuni il nome deriverebbe da gricio. Così era chiamato nella Roma dell'Ottocento il venditore di pane ed altri commestibili. Un gruppo di questi, immigrato dal Cantone svizzero dei Grigioni, avrebbe dato origine al termine. Secondo un'altra ipotesi questo nome deriverebbe da un paesino a pochi chilometri da Amatrice, frazione del comune di Accumoli, di nome Grisciano. La griscia era ed è ancora conosciuta come l'amatriciana senza il pomodoro, anche se differisce per alcuni ingredienti.
L'invenzione della salsa di pomodoro, e quindi il termine post quem per l'introduzione del pomodoro nella gricia creando l'Amatriciana, risale alla fine del diciottesimo secolo: la prima testimonianza scritta dell'uso della salsa di pomodoro per condire la pasta si trova nel manuale di cucina L'Apicio Moderno, scritto nel 1790 dal cuoco romano Francesco Leonardi.
Nell'Ottocento e sino all'inizio del Novecento la popolarità della pietanza a Roma si accrebbe considerevolmente. Questo avvenne a causa degli stretti contatti, a quel tempo già pluricentenari, tra Roma ed Amatrice. A quei tempi parecchi osti e i trattori della città erano originari di Amatrice, così che il termine "Matriciano" venne a significare "locanda con cucina". L'Amatriciana fu estremamente bene accolta e, anche se nata altrove, venne rapidamente considerata un classico della cucina romana. Il nome della pietanza in Romanesco divenne matriciana a causa dell'afèresi tipica di questo dialetto.

Descrizione

Ingredienti

Il sugo è composto da: guanciale soffritto e sfumato con vino bianco secco, pomodoro, formaggio pecorino. È inserita nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali laziali.

Varianti

Per quanto originaria d'Amatrice, la ricetta si è diffusa a Roma e nel Lazio, diventando così uno dei piatti tradizionali della capitale e della regione. L'amatriciana esiste in diverse varianti, dipendenti anche dalla disponibilità di alcuni ingredienti. Mentre ognuno concorda sull'uso del guanciale, il pomodoro non è riportato nel manuale di Gosetti. La cipolla non è usata ad Amatrice, ma è riportata nei manuali classici della cucina romana. Sebbene nelle ricette più vecchie non venga indicato alcun grasso di cottura, o meglio sia utilizzato il grasso del guanciale, di solito come grasso di cottura viene usato prevalentemente l'olio extravérgine d'oliva. L'uso dello strutto è anche attestato.
L'uso dell'aglio soffritto in olio extravérgine d'oliva, prima d'aggiungere il guanciale, è anche possibile, mentre come formaggio può essere usato sia il pecorino romano sia quello di Amatrice (proveniente dai Monti Sibillini o dai Monti della Laga). L'uso di pepe nero o peperoncino è anche attestato.
È consuetudine condire con l'amatriciana gli spaghetti, i bucatini, i tonnarelli o i rigatoni.
L'amatriciana, adattata alle regole del Casherut, è presente nella cucina giudio-romana. Nella preparazione non si usano il pecorino o altri tipi di formaggi, si utilizza olio d'oliva al posto dello strutto e la carne secca di manzo sostituisce il guanciale di maiale.

Tutela della ricetta originale: codifica De.Co e percorso per il riconoscimento STG

Con delibera 27/2015, il Comune di Amatrice ha formalizzato le ricette, sia della versione bianca, sia della versione rossa, in un Disciplinare di produzione De.C.O. Come chiaramente indicato nel disciplinare, non sono previsti né aglio né cipolla. Inoltre il Comune di Amatrice, col pieno supporto della Regione Lazio, nel 2015 ha iniziato il percorso, volto a ottenere il prestigioso riconoscimento europeo STG della salsa, per un'ulteriore tutela dell'originalità della ricetta. Come formato di pasta da condire nell'amatriciana originale, occorre rigorosamente usare quello degli spaghetti. Amatrice stessa si fregia del titolo di "Città degli spaghetti", come impresso anche sui cartelli stradali di benvenuto, che accolgono all'entrata in paese.

Filatelia

Agli "Ingredienti degli spaghetti all'amatriciana e città di Amatrice", il 29 agosto 2008, è stato dedicato un francobollo, policromo e dentellato, emesso dalla Repubblica Italiana, del valore di 0,60 euro.

Scrippelle

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Le scrippelle sono un piatto tipico della cucina teramana.
Oggigiorno, si stanno diffondendo sempre più in tutto l'Abruzzo, comunque rimangono un elemento caratterizzante delle zone del teramano da cui hanno origine e sono costituite da sottilissime frittatine preparate versando su una padella caldissima una pastella di farina, acqua e uova; sono in effetti molto simili alle crêpes francesi che, secondo alcuni, da Teramo furono portate oltre le Alpi al seguito dei loro eserciti, mentre altri le considerano derivate proprio da queste.
Di fatto, tuttavia le scrippelle differiscono dalle crêpes nella preparazione, negli ingredienti e nell'uso che se ne fa nella cucina teramana, infatti diventano elementi tipici per la preparazione di piatti salati, costituiti in genere da primi.
Le scrippelle sono alla base di diversi piatti fondamentali della cucina teramana tra i quali:
  • le "scrippelle mbusse": cioè bagnate, immerse in un leggero brodo di pollo dopo essere state cosparse di parmigiano o pecorino d'Abruzzo stagionato ed arrotolate;
  • il "timballo di scrippelle", dove sostituiscono la pasta sfoglia nel separare gli strati di ingredienti;
  • le "scrippelle in forno" dove vengono farcite e cotte in forno in modo simile ai cannelloni.
Spesso si fa riferimento alle "scrippelle teramane" intendendo il piatto delle "scrippelle mbusse", quest'ultimo termine corrispondente alla forma in dialetto teramano (letteralmente "scrippelle bagnate").

Virtù

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Le virtù sono un piatto della cucina teramana, caratteristico del primo di maggio.
«Al primo di maggio noi usiamo di cucinare insieme ogni sorta di legumi, fave, fagiuoli, ceci, lenti, ecc. con verdure ed ossa salate, orecchi e piedi pure salati di maiali; e questa minestra chiamiamo Virtù ...»
(Giuseppe Savini, Lessico del dialetto teramano)

Storia

Piatto dalla storia controversa di cui molti paesi rivendicano la primogenitura ma le cui origini romane sembrano incontestabili e riconosciute dallo stesso Giuseppe Savini, primo a studiare in modo sistematico le tradizioni e il folklore della provincia di Teramo.
Savini infatti, cita Poggio Bracciolini (1380-1459) che riferisce come questo piatto ai suoi tempi fosse molto noto a Roma, dove si consumava proprio alla data del 1º maggio ed era chiamato con lo stesso nome di Virtù, oggi usato in Teramo.
(LA)
«Facetum Contra Romanos Qui Edunt "Virtutes":
Calendis Maii, Romani varia leguminum genera, quae virtutes appellant, simul coquunt mane eduntque. Franciscus Lavegnis, Mediolanensis, per jocum, cum is mos recitaretur inter socios: -- 'Nequaquam mirum est,' inquit, 'Romanos a superioribus degenerasse, cum singulis annis eorum virtutes edendo absumant'»
(IT)
«Detto giocoso su i romani che mangiano le "virtù":
Ai primi di maggio i Romani raccolgono varie specie di legumi che chiamano virtù, le cociono e le mangiano alla mattina. Francesco Lavegni, di Milano, per ridere parlandosi fra amici di questo costume: «Non è da meravigliare», disse, «che i Romani abbiano degenerato dai loro maggiori, perché ogni anno le loro virtù hanno consumato mangiandole.»
(Poggio Bracciolini, oltre l'edizione citata da Savini cfr. ad esempio, Facezie, prefazione di Domenico Ciampoli, Lanciano, Carabba, stampa 1911)
Si tratta di un cibo molto antico che rispetta rigorosamente "le scadenze calendariali e i ritmi stagionali", scrive Giuseppe Di Domenicantonio in un suo studio, un cibo che se ormai è ufficialmente "adottato" come proprio dal popolo teramano, si ritrova, sia pure con altre denominazioni e caratterizzato da numerose varianti, in molti paesi d'Abruzzo.
Si dice che in passato le Virtù venissero prodotte dall'intera comunità che le distribuiva agli indigenti. In effetti tale usanza sembra permanere nell'abitudine a cucinare le Virtù in grande abbondanza e ad offrirle in omaggio ai vicini, alle persone care e anche a semplici e occasionali conoscenti.
In tutti i casi le Virtù appaiono legate all'incerta esistenza dei contadini che al termine dell'inverno vuotavano le madie e le ripulivano da tutti gli avanzi. Ai legumi secchi, così raccolti, si univano gli ingredienti freschi che già la nuova stagione aveva iniziato a produrre in abbondanza.
Tale credenza tuttavia per quanto molto nota non è molto seguita nella pratica e gli ingredienti in realtà sono sempre in numero maggiore. Resta il fatto che il sapore deve nascere dalla realizzazione di una perfetta miscela nella quale nessun ingrediente deve emergere.
Secondo Giuseppe Savini le Virtù venivano un tempo chiamate anche "li zocche" o "cucine" ma si tratta di espressioni ormai non più in uso.

Ingredienti

La scelta degli ingredienti può subire variazioni notevoli, sia nelle quantità che nella tipologia. Senza entrare qui nel merito della ricetta, delle quantità, delle proporzioni o della preparazione che richiede una procedura lunga e complessa, si elencano qui gli ingredienti base, in modo da dare un'idea concreta della varietà di elementi che concorrono alla realizzazione di questo piatto:
  • legumi secchi: fagioli di varie qualità, ceci e le lenticchie (da prepararsi separatamente e in modo diverso);
  • legumi freschi: piselli e fave in primo luogo;
  • verdure: zucchine, carote, patate, carciofi, bietole, indivia, scarola, lattuga, verza. cavolfiore, cicoria, spinaci, finocchio, rape;
  • odori: aglio, cipolla, maggiorana, salvia, timo, sedano, prezzemolo, aneto, noce moscata, chiodi di garofano, pepe o peperoncino, pipirella, menta selvatica, borragine, finocchietto selvatico, basilico;
  • carni: prosciutto crudo, cotiche di maiale, carne macinata di manzo, lardo, lonza, piedi e orecchie di maiale, pancetta, guanciale, polpettine (o pallottine) di manzo;
  • tipi di pasta: pasta di grano duro corta, pasta fresca all'uovo di varie forme e dimensioni, qualche tortellino e qualche raviolo di carne, con il tempo si sono aggiunte paste all'uovo anche colorate;
  • altri ingredienti: olio d'oliva, burro, sale, pepe, polpa di pomodoro.

Mazzarelle

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Le Mazzarelle, pietanza tipica della cucina teramana, sono involtini di coratella di agnello avvolta in foglie di indivia legati con budelline dello stesso agnello. Così descritta, la pietanza sembrerebbe un secondo piatto ed è in effetti creduta tale da molti, che, prigionieri della prima impressione, la considerano una portata successiva ad altri piatti della cucina teramana come il timballo o i maccheroni alla chitarra, mentre invece, nella tradizione, le mazzarelle sono diventate un primo, anzi di fatto il primo "obbligatorio", del pranzo pasquale, una sorta di ouverture dedicata all'agnello ed evocatrice di un indimenticato e indimenticabile passato di quotidianità contadina. Piatto in apparenza semplice, le mazzarelle sono al centro di un irrisolto dibattito tra due scuole di pensiero: quella che le vuole semplici, cotte in un soffritto che ne esalti il sapore, e quella che le preferisce in umido, lasciate cuocere in un sughetto che si impreziosisce degli umori delle carni d'agnello.

Ricetta

Dosi per 4 persone: 1 coratella d'agnello (cuore, fegato e budella), un bicchiere e mezzo di acqua e vino, 1 mazzetto di maggiorana, agli e cipolle freschi, alcune foglie di lattuga, prezzemolo e peperoncino, aceto quanto basta.
Preparazione: Aprire le budella nel senso della loro lunghezza, lavarle e sciacquarle accuratamente. Quando le budella saranno diventate di color chiaro e ben pulite, sciacquare con acqua ed aceto. Tagliare a listelli la coratella, sciacquarla e metterla a scolare, dopo averla salata, insieme con le budella. Prendere una foglia di lattuga e porvi sopra, facendone un mazzetto, 3-4 listelli di coratella, cui bisogna aggiungere un po' di cipolla, di prezzemolo e d'aglio. Legare il mazzetto con le budella e via via che le mazzarelle saranno confezionate metterle a scolare e poi cuocere solo in olio. Quando le mazzarelle cominceranno a friggere (ed olio e acqua saranno stati assorbiti), aggiungere mezzo bicchiere d'acqua e vino, fare assorbire e versare ancora una volta la stessa quantità di acqua e vino. Ripetere nuovamente l'operazione. Se si vuole si può aggiungere qualche pomodoro a pezzetti. N.B. Per pulire bene le budella, strizzarle, ripetendo l'operazione più volte.

Ricotta affumicata di Mammola

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La Ricotta Affumicata di Mammola è uno dei Prodotti agroalimentari tradizionali italiani della provincia di Reggio Calabria a base di latte di capra, l'area di produzione è il territorio di Mammola.

Disciplinare

Storia, tradizione e usi:
Le aziende zootecniche che producono le ricotte sono a conduzione familiare. Anticamente molti pastori che abitavano nelle zone montane distanti dai centri abitati, conservavano le ricotte fresche con la tecnica dell'affumicatura e una volta a settimana le portavano al mercato per la vendita. Una tradizione molto usata è quella di regalare la Ricotta. Molti emigrati al rientro delle ferie la offrono agli amici e ne fanno consumo personale, per lungo tempo infatti il prodotto si conserva bene sottovuoto in frigo. Viene commercializzato direttamente dalle aziende zootecniche nel comprensorio di Mammola. La Ricotta è molto richiesta altresì sui mercati regionali, nazionali ed esteri e non si riesce a soddisfare le tante richieste dei consumatori. Da ricordare a Mammola la “Festa della Ricotta affumicata” che si svolge la prima domenica di giugno e la “Festa dei Sapori” che si svolge ogni anno il 7 dicembre, nella liete circostanze si degustano, con la Ricotta affumicata fatta dai pastori, altre pietanze tipiche, dagli antichi sapori ormai dimenticati.
La “Ricotta affumicata di Mammola” viene utilizzata: a fettine negli antipasti tipici calabresi; grattugiata sulle paste caserecce, quando la ricotta è più dura; a fine pasto, da sola o con un misto di formaggi, accompagnata con vino rosso.
I capi caprini censiti nei territori del Comuni sono: Mammola 2850.

Descrizione sintetica del prodotto


La Ricotta affumicata di Mammola si ottiene dal latte di capra, ed ha sapore particolarissimo di formaggio fresco leggermente salato. Ha consistenza morbida, e vellutata al tatto e di gradevole aroma affumicato, con la sua caratteristica forma, simbolo della fertilità.
Ingredienti utilizzati: Latte di capra.
Forma: Cilindrica con testa ingrossata a forma di fungo.
Dimensioni medie: Lunghezza 30 cm circa, diametro 6 cm.
Peso medio: 700/1000 gr. circa.
Sapore: Di formaggio fresco leggermente salato ed affumicato.
Odore: Di formaggio con l'aroma di affumicato.
Colore: Di colore del rosa scuro al dorato all'esterno e bianco all'interno.

Lavorazione prodotto

Tecniche di lavorazione:
Il latte caprino viene versato in un pentolone e riscaldato girandolo col mestolo. Dopo averlo tolto dal fuoco si aggiunge il caglio, si rigira ancora e si lascia riposare per più di un'ora. Si rompe la cagliata e dopo ulteriore attesa, con le mani si estrae il formaggio. Si porta il pentolone sul fuoco e si ricomincia a mescolare con un bastoncino di essenza locale a punta ramificata (minaturi). Le abili mani del casaro strappano quello che dopo opportuno trattamento diventerà il saporito formaggio caprino locale. Quando il latte incomincia a bollire, si immerge un rametto di fico tagliuzzato e si gira con il bastoncino, sempre per un lato, ancora per pochi minuti. Dopodiché la Ricotta fresca è pronta, la si toglie dal fuoco e con un cucchiaio di legno appositamente prodotto per questa delicata fase della lavorazione, viene messa nelle forme (fasceji) e quindi avvolta e protetta da profumate felci di montagna. La Ricotta il giorno dopo è tolta dalle forme e salata. Poi viene messa in un'impalcatura alta circa un metro e mezzo (1,5 m), dal piano di fuoco del focolare, su un letto di cannicci di castagno coperti da felci di montagna. Si accende sotto, un fuoco a fiamma moderata, usando legna fresca di castagno oppure di erica, in modo da produrre un fumo denso e profumato che va ad investire direttamente, da sotto, le ricotte. L'operazione di affumicatura dovrà durare mediamente 24 ore, girando le ricotte dopo le prime 12, se si preferiscono di consistenza morbida. Se invece si preferiscono più dure e consistenti, il tempo di affumicatura si allungherà in maniera opportuna. La Ricotta Affumicata di Mammola è da considerarsi un prodotto ricavato con tecniche molto antiche ed artigianali.
Periodo di produzione: Tutto l'anno in particolare dal mese di dicembre a giugno.
Materiali utilizzati: I pentoloni sono in acciaio e i cucchiai sono in legno di erica.
La bollitura del latte viene effettuata con il gas, sono in pochi quelli che ancora usano il fuoco a legna.
I contenitori delle ricotte fresche si chiamano fasceji (fatte di junco) di forma cilindrica, la mastreja è la tavola per la scolatura della ricotta, il minaturi è un bastoncino a punta ramificata.
I locali sono ambienti che si usano esclusivamente per la trasformazione del latte, nelle masserie.
I Locali dove avviene la produzione sono ambienti che si usano esclusivamente per la trasformazione del latte.
La Ricotta affumicata di Mammola con la suddetta scheda è stata inclusa dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali nell'Elenco Nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali, Suppl. Ord. Gazzetta Ufficiale N°167 del 18-7-02 pag. 11 N°58.

 
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