Cascà

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Il cascà o cash-cà è un cibo di derivazione araba, peculiare della popolazione di Carloforte (isola di San Pietro) e di Calasetta (Isola di Sant'Antioco), nella regione del Sulcis, in Sardegna meridionale, derivato dal cuscus tunisino.
La popolazione di Carloforte, di origine ligure, dal 1540 al 1738 colonizzò un piccolo territorio in Tunisia, presso l'isola di Tabarka, nei pressi di Tunisi, assumendo nell'uso alcuni cibi tunisini come il cuscus, ma modificandoli: infatti il cascà non prevede l'abbinamento con la carne.
La ricetta di Carloforte, detta anche "tabarchina", prevede di mescolare alla semola diverse verdure (ceci, piselli, verza, carota, finocchio, melanzana, zucchina, cipolla) ed è aromatizzata con erbe (finocchio selvatico) e spezie: (coriandolo, cannella, chiodi di garofano, anice stellato).
In passato il cascà era un piatto semplice e povero: gli elementi base della sua preparazione erano, oltre alla semola opportunamente lavorata, il cavolo cappuccio o il cavolfiore ed i ceci. Col tempo il piatto si è evoluto, ed alla ricetta base si sono aggiunte le varie verdure di stagione e la carne suina. Il piatto così trasformato è divenuto cibo della festa in epoca recente, preparato soprattutto in occasione della festa patronale di San Carlo. Da parecchi anni nel mese di aprile a Carloforte si tiene una sagra con lo scopo di valorizzare questo tipico piatto della tradizione culinaria tabarkina.
Il cashcà è anche pronunciato (italianizzato) con "cascà", per quanto nella pronuncia corretta, in lingua tabarchina la "h" indichi una pronuncia a "denti serrati".
Ogni anno a Carloforte si tiene la sagra del Cuscus Tabarchino (Il Cascà di Carloforte).

Bartolaccio

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Il bartolaccio, o bartlàz in dialetto forlivese, è un prodotto alimentare tipico dell'Appennino forlivese. Noto ad esempio è quello di Tredozio.
Si compone di una sfoglia sottile, i cui ingredienti sono soltanto acqua e farina, farcita di un particolare ripieno: purea di patate, pancetta, formaggio grana stagionato, sale e pepe. La sfoglia, poi, è richiusa su se stessa in modo da formare una mezzaluna (a somiglianza di un crescione).
Il tutto è quindi cotto sulla piastra.
Si tratta di un prodotto della tradizione contadina povera.

Sagre

A Tredozio si tiene anche, dal 1987, una ormai tradizionale "Sagra del Bartolaccio", solitamente nelle prime due domeniche di novembre.






Pesce spada alla ghiotta

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U piscispata a gghiotta (il pesce spada alla ghiotta), è un piatto tipico della cucina calabrese e di quella siciliana, in particolare delle province di Reggio Calabria e Messina.
In Calabria, soprattutto, il pesce spada viene definito come "il pinocchio della Costa Viola", essendo il pesce più richiesto e indiscusso protagonista della gastronomia calabrese, non solo per la prelibatezza delle sue carni, ma anche per il rituale folkloristico che ne caratterizza la pesca.
Uno degli spettacoli più interessanti e cruenti, sono le battute di pesca, le cosiddette spatare, realizzate con le caratteristiche e rapide imbarcazioni specializzate nella pesca del pesce spada nello stretto di Messina.
La regione Calabria ha ottenuto dal ministero per le politiche agricole e forestali l'inserimento del pesce spada alla ghiotta nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani. Una sagra del pescespada si tiene la seconda domenica di luglio a Bagnara Calabra, mentre ad agosto a Scilla.

Cjarsons

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I cjarsons, pronuncia IPA: [car'soŋs] (simile a chiarsóns), (detti anche cjalsons o cjalzons) sono un tipico piatto della cucina friulana; più precisamente della regione alpina della Carnia ma diffuso anche nella pianura friulana.
Sono costituiti da una pasta di patate ripiena simile agli agnolotti o ai ravioli, caratterizzati da un contrasto tra il sapore dolce ed il salato. Il ripieno è realizzato in diverse varianti a seconda della ricetta locale e può contenere uva passa, cioccolato fondente o cacao, cannella, spinaci, erba cipollina, ricotta, marmellata, rhum, grappa, prezzemolo, biscotti secchi, uova, latte. Come i ravioli, vengono cucinati in acqua salata e, scolati, si condiscono con burro fuso e ricotta affumicata (scuete fumade). In alternativa al burro, può essere utilizzato l'ont (burro schiumato da cui è stata eliminata l'acqua e raddensato per facilitarne la conservazione nei mesi estivi), che in tempi passati veniva largamente utilizzato nella cucina carnica nell'impossibilità di conservare il burro per lunghi tempi. I cjarsons sono fra i piatti più poveri della cucina carnica tradizionale, riscoperti ed elevati a piatto della ristorazione negli anni 1970 dal cuoco carnico Gianni Cosetti.

Bruscitti

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I bruscitti (letteralmente "briciole" in dialetto bustocco) sono un secondo piatto a base di carne di manzo tagliata finemente e cotta per lungo tempo originario di Busto Arsizio e conosciuto nel resto della Lombardia e nel Piemonte orientale come bruscitt. Altri ingredienti sono i semi di finocchio selvatico e il vino rosso. La pietanza, che è diffusa nell'Altomilanese e nel Verbano-Cusio-Ossola, è completata con l'aggiunta di polenta o di puré e può essere accompagnata da vini rossi ben strutturati.

Storia

L'origine del piatto è riconducibile alla spolpatura totale delle ossa dei manzi, cioè al recupero di quelle parti che erano scartate dalle tavole dei più ricchi. Fino al boom economico, per i bruscitti si utilizzavano i tagli dell'animale più duri, che necessitavano di una più lunga cottura.
Nel 1975 a Busto Arsizio venne fondato, su iniziativa di Bruno Grampa, il Magistero dei Bruscitti, un'associazione che ha come intento quello di diffondere la conoscenza della cucina rustica bustocca. A capo dell'associazione vi è un "Maestro". I "Maestri" che si sono susseguiti alla guida del Magistero sono stati: Bruno Grampa, Nino Miglierina, Ferruccio Pozzi Luraschi, Angelo Grampa, Ernani Ferrario e Antonio Colombo.
Il 16 dicembre 2012 il sindaco di Busto Arsizio Gigi Farioli ha attribuito la civica benemerenza al Magistero dei Bruscitti e ha istituito Ul dí di bruscitti (che in dialetto bustocco significa "il giorno dei bruscitti"), che cade ogni secondo giovedì di novembre.

Friarielli

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I friarielli, altresì chiamati broccoletti a Roma, cime di rapa in Puglia e rapini in Toscana, sono le infiorescenze appena sviluppate della cima di rapa. Tipicamente parte della cucina napoletana, sono utilizzati in altre regioni d'Italia come pure nella Galizia spagnola e in Portogallo (grelos), nonché nella cucina cinese.

Etimologia

Secondo alcuni il nome friariello deriva dal castigliano "frio-grelos" (broccoletti invernali), mentre altri ritengono che derivi dal verbo napoletano frijere (friggere). Per friarielli si intendono anche, in vari dialetti italiani meridionali, in particolare in Campania e nel foggiano, i peperoni nani verdi dolci, detti puparulille friarielli (conosciuti anche come "friggitelli" nel Lazio), i quali vengono anch'essi consumati fritti.

Uso in cucina

I friarielli vengono cucinati soffritti in olio d'oliva con aglio, sale e poco peperoncino rosso piccante. In questa forma non richiedono una preventiva lessatura, anche se alcuni la preferiscono per conferire al piatto finale una maggior tenerezza.

Come si mangiano

Nella cucina napoletana i friarielli formano un binomio quasi indissolubile con la salsiccia, di cui rappresentano il contorno tradizionale. Come cibo da strada, le paninerie vendono infatti panini farciti al momento con salsiccia e friarielli. Nelle pizzerie napoletane non manca mai sul menu anche la pizza con salsiccia, friarielli, grana grattugiato e fiordilatte (da alcuni chiamata "pizza alla carrettiera"). Nelle rosticcerie e in alcuni panifici si preparano pizze ripiene (calzoni) con salsiccia e friarielli. Nelle "friggitorie" si produce la versione fritta della sunnominata specialità.

Zona di produzione

I friarielli sono coltivati prevalentemente nelle aree interne della Campania, soprattutto nell'afragolese (ovvero la zona a nord-est di Napoli, in particolare i comuni di Aversa, Acerra, Afragola, Caivano, Cardito, Casoria e Sant'Antimo) nella fascia appenninica (province di Avellino e Benevento), nell'agro nocerino-sarnese e nella piana del Sele (Salerno).
Una volta erano coltivati anche nel capoluogo, in particolare sul Vomero, che era infatti noto come "'o colle d' 'e friarielle".
Col nome di broccoletti, sono anche coltivati nel Lazio centro-meridionale; particolarmente rinomati quelli provenienti dai terreni della fascia pedemontana dei Lepini (comuni di Priverno e limitrofi). In Provincia di Frosinone vengono consumati anche con la polenta, accompagnando il sugo di spuntature e salsicce che la condisce.
In tutta la provincia di Lucca sono coltivati da tempo immemore e sono conosciuti con il nome di rapini e dopo averli lessati vengono soffritti con aglio e salsiccia sbriciolata e serviti come contorno di piatti a base di maiale (famosa la rosticciana con i rapini), oppure se soffritti con aglio e salsicce intere formano un piatto unico ( i rapini con la salsiccia). In Lucchesia vengono anche chiamati gallonzori.

Un ristorante in Toscana caccia tre clienti che hanno ordinato "troppo poco"

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In Versilia un ristorante di pesce invita i clienti a lasciare il tavolo dopo aver ordinato solo una pizza e un'insalata di mare.
Non capita spesso, ma a volte ci si siede a tavola al ristorante con poco appetito. E allora ordini una pizza e un'insalata, pensando di finire il pranzo in fretta, ma non metti in conto la reazione del ristorante, ovvero quella di rifiutarsi si servirti quello che hai chiesto perché è troppo poco.
Può un ristorante decidere che i clienti ordinano troppo poco e chiedere di lasciare il tavolo a chi invece spenderà di più?
Siamo sul lungomare della Versilia, dove a una famiglia di un politico toscano viene chiesto di alzarsi e lasciare il ristorante perché l'ordinazione non era congrua ai costi che il ristorante avrebbe dovuto sostenere per l'apparecchiatura.
La famiglia di Corrado Guidi, protagonista dell'accaduto, a quel punto ha lasciato il locale dichiarando di essere rimasto scandalizzato.
"Mi ha scandalizzato soprattutto la maleducazione. Avrei potuto capire se mi avesse parlato in privato, ma sono stato affrontato di fronte a tutti. In queste ore ho ricevuto molte offerte dai locali di Viareggio che mi invitano a pranzo e a cena e non voglio generalizzare sull'accoglienza di Viareggio. Anche se mi arrivassero le scuse di sicuro in quel locale non torno più".
Il proprietario del ristorante Sa Playa - che non era presente durante l'increscioso incidente - ha cercato di contattare la famiglia lesa con scarsissimi risultati. Va detto che in seguito le sue dichiarazioni non hanno certo aiutato a far rientrare l'incidente: "Arrivano in molti e spendono poco, ma sono comunque accolti. È chiaro che se ordinano due caffè dico loro che non siamo un bar e se vogliono una margherita in due consiglio loro di andare nella vicina pizza al taglio, con il mio biglietto da visita".
Ma è davvero il caso di allontanare un cliente se non consuma abbastanza? Anche se si ordina una pizza in due?
Intanto sul web le prime reazioni di disappunto. Su Tripadvisor si legge "Vi siete scavati la fossa da soli, siete consapevoli di quello che combinate?".
Ma quello che è accaduto in Versilia non è un caso isolato. A inizio agosto un altro politico era stato invitato ad allontanarsi da un ristorante; questa volta il cliente voleva mangiare - probabilmente tanto, chissà - ma indossava dei bermuda al posto dei pantaloni lunghi. In quell'occasione era stato il dress code, pare opportunamente segnalato, a costringere il cameriere a chiedere al cliente di uscire dalla struttura.
Cosa ci insegna questa storia? Andate al ristorante sempre con tanto appetito e assicuratevi che il dress code sia adeguato, oppure semplicemente cambiate ristorante


 
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