Cjarsons

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I cjarsons, pronuncia IPA: [car'soŋs] (simile a chiarsóns), (detti anche cjalsons o cjalzons) sono un tipico piatto della cucina friulana; più precisamente della regione alpina della Carnia ma diffuso anche nella pianura friulana.
Sono costituiti da una pasta di patate ripiena simile agli agnolotti o ai ravioli, caratterizzati da un contrasto tra il sapore dolce ed il salato. Il ripieno è realizzato in diverse varianti a seconda della ricetta locale e può contenere uva passa, cioccolato fondente o cacao, cannella, spinaci, erba cipollina, ricotta, marmellata, rhum, grappa, prezzemolo, biscotti secchi, uova, latte. Come i ravioli, vengono cucinati in acqua salata e, scolati, si condiscono con burro fuso e ricotta affumicata (scuete fumade). In alternativa al burro, può essere utilizzato l'ont (burro schiumato da cui è stata eliminata l'acqua e raddensato per facilitarne la conservazione nei mesi estivi), che in tempi passati veniva largamente utilizzato nella cucina carnica nell'impossibilità di conservare il burro per lunghi tempi. I cjarsons sono fra i piatti più poveri della cucina carnica tradizionale, riscoperti ed elevati a piatto della ristorazione negli anni 1970 dal cuoco carnico Gianni Cosetti.

Bruscitti

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I bruscitti (letteralmente "briciole" in dialetto bustocco) sono un secondo piatto a base di carne di manzo tagliata finemente e cotta per lungo tempo originario di Busto Arsizio e conosciuto nel resto della Lombardia e nel Piemonte orientale come bruscitt. Altri ingredienti sono i semi di finocchio selvatico e il vino rosso. La pietanza, che è diffusa nell'Altomilanese e nel Verbano-Cusio-Ossola, è completata con l'aggiunta di polenta o di puré e può essere accompagnata da vini rossi ben strutturati.

Storia

L'origine del piatto è riconducibile alla spolpatura totale delle ossa dei manzi, cioè al recupero di quelle parti che erano scartate dalle tavole dei più ricchi. Fino al boom economico, per i bruscitti si utilizzavano i tagli dell'animale più duri, che necessitavano di una più lunga cottura.
Nel 1975 a Busto Arsizio venne fondato, su iniziativa di Bruno Grampa, il Magistero dei Bruscitti, un'associazione che ha come intento quello di diffondere la conoscenza della cucina rustica bustocca. A capo dell'associazione vi è un "Maestro". I "Maestri" che si sono susseguiti alla guida del Magistero sono stati: Bruno Grampa, Nino Miglierina, Ferruccio Pozzi Luraschi, Angelo Grampa, Ernani Ferrario e Antonio Colombo.
Il 16 dicembre 2012 il sindaco di Busto Arsizio Gigi Farioli ha attribuito la civica benemerenza al Magistero dei Bruscitti e ha istituito Ul dí di bruscitti (che in dialetto bustocco significa "il giorno dei bruscitti"), che cade ogni secondo giovedì di novembre.

Friarielli

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I friarielli, altresì chiamati broccoletti a Roma, cime di rapa in Puglia e rapini in Toscana, sono le infiorescenze appena sviluppate della cima di rapa. Tipicamente parte della cucina napoletana, sono utilizzati in altre regioni d'Italia come pure nella Galizia spagnola e in Portogallo (grelos), nonché nella cucina cinese.

Etimologia

Secondo alcuni il nome friariello deriva dal castigliano "frio-grelos" (broccoletti invernali), mentre altri ritengono che derivi dal verbo napoletano frijere (friggere). Per friarielli si intendono anche, in vari dialetti italiani meridionali, in particolare in Campania e nel foggiano, i peperoni nani verdi dolci, detti puparulille friarielli (conosciuti anche come "friggitelli" nel Lazio), i quali vengono anch'essi consumati fritti.

Uso in cucina

I friarielli vengono cucinati soffritti in olio d'oliva con aglio, sale e poco peperoncino rosso piccante. In questa forma non richiedono una preventiva lessatura, anche se alcuni la preferiscono per conferire al piatto finale una maggior tenerezza.

Come si mangiano

Nella cucina napoletana i friarielli formano un binomio quasi indissolubile con la salsiccia, di cui rappresentano il contorno tradizionale. Come cibo da strada, le paninerie vendono infatti panini farciti al momento con salsiccia e friarielli. Nelle pizzerie napoletane non manca mai sul menu anche la pizza con salsiccia, friarielli, grana grattugiato e fiordilatte (da alcuni chiamata "pizza alla carrettiera"). Nelle rosticcerie e in alcuni panifici si preparano pizze ripiene (calzoni) con salsiccia e friarielli. Nelle "friggitorie" si produce la versione fritta della sunnominata specialità.

Zona di produzione

I friarielli sono coltivati prevalentemente nelle aree interne della Campania, soprattutto nell'afragolese (ovvero la zona a nord-est di Napoli, in particolare i comuni di Aversa, Acerra, Afragola, Caivano, Cardito, Casoria e Sant'Antimo) nella fascia appenninica (province di Avellino e Benevento), nell'agro nocerino-sarnese e nella piana del Sele (Salerno).
Una volta erano coltivati anche nel capoluogo, in particolare sul Vomero, che era infatti noto come "'o colle d' 'e friarielle".
Col nome di broccoletti, sono anche coltivati nel Lazio centro-meridionale; particolarmente rinomati quelli provenienti dai terreni della fascia pedemontana dei Lepini (comuni di Priverno e limitrofi). In Provincia di Frosinone vengono consumati anche con la polenta, accompagnando il sugo di spuntature e salsicce che la condisce.
In tutta la provincia di Lucca sono coltivati da tempo immemore e sono conosciuti con il nome di rapini e dopo averli lessati vengono soffritti con aglio e salsiccia sbriciolata e serviti come contorno di piatti a base di maiale (famosa la rosticciana con i rapini), oppure se soffritti con aglio e salsicce intere formano un piatto unico ( i rapini con la salsiccia). In Lucchesia vengono anche chiamati gallonzori.

Un ristorante in Toscana caccia tre clienti che hanno ordinato "troppo poco"

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In Versilia un ristorante di pesce invita i clienti a lasciare il tavolo dopo aver ordinato solo una pizza e un'insalata di mare.
Non capita spesso, ma a volte ci si siede a tavola al ristorante con poco appetito. E allora ordini una pizza e un'insalata, pensando di finire il pranzo in fretta, ma non metti in conto la reazione del ristorante, ovvero quella di rifiutarsi si servirti quello che hai chiesto perché è troppo poco.
Può un ristorante decidere che i clienti ordinano troppo poco e chiedere di lasciare il tavolo a chi invece spenderà di più?
Siamo sul lungomare della Versilia, dove a una famiglia di un politico toscano viene chiesto di alzarsi e lasciare il ristorante perché l'ordinazione non era congrua ai costi che il ristorante avrebbe dovuto sostenere per l'apparecchiatura.
La famiglia di Corrado Guidi, protagonista dell'accaduto, a quel punto ha lasciato il locale dichiarando di essere rimasto scandalizzato.
"Mi ha scandalizzato soprattutto la maleducazione. Avrei potuto capire se mi avesse parlato in privato, ma sono stato affrontato di fronte a tutti. In queste ore ho ricevuto molte offerte dai locali di Viareggio che mi invitano a pranzo e a cena e non voglio generalizzare sull'accoglienza di Viareggio. Anche se mi arrivassero le scuse di sicuro in quel locale non torno più".
Il proprietario del ristorante Sa Playa - che non era presente durante l'increscioso incidente - ha cercato di contattare la famiglia lesa con scarsissimi risultati. Va detto che in seguito le sue dichiarazioni non hanno certo aiutato a far rientrare l'incidente: "Arrivano in molti e spendono poco, ma sono comunque accolti. È chiaro che se ordinano due caffè dico loro che non siamo un bar e se vogliono una margherita in due consiglio loro di andare nella vicina pizza al taglio, con il mio biglietto da visita".
Ma è davvero il caso di allontanare un cliente se non consuma abbastanza? Anche se si ordina una pizza in due?
Intanto sul web le prime reazioni di disappunto. Su Tripadvisor si legge "Vi siete scavati la fossa da soli, siete consapevoli di quello che combinate?".
Ma quello che è accaduto in Versilia non è un caso isolato. A inizio agosto un altro politico era stato invitato ad allontanarsi da un ristorante; questa volta il cliente voleva mangiare - probabilmente tanto, chissà - ma indossava dei bermuda al posto dei pantaloni lunghi. In quell'occasione era stato il dress code, pare opportunamente segnalato, a costringere il cameriere a chiedere al cliente di uscire dalla struttura.
Cosa ci insegna questa storia? Andate al ristorante sempre con tanto appetito e assicuratevi che il dress code sia adeguato, oppure semplicemente cambiate ristorante


Bresaola della Valtellina

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La bresaola della Valtellina è un salume a Indicazione geografica protetta (IGP), ottenuto da carne di manzo, salata e stagionata, che viene consumato crudo.

La storia

È alquanto difficile stabilire con precisione da dove derivi il nome di questo salume. Potrebbe derivare dall'espressione "sala come brisa", per l'uso che un tempo si faceva del sale nella conservazione e per il fatto che in Valchiavenna (valle vicina alla Valtellina) "brisa" indicava una ghiandola dei bovini fortemente salata. Ma c'è chi riconduce l'origine di questo nome al termine "brasa" (in dialetto significa brace) poiché un tempo l'asciugamento del prodotto avveniva in locali riscaldati da bracieri alimentati con carbone di legna di abete e bacche di ginepro, timo e foglie di alloro. Da "brisaola" il nome è poi mutato con gli anni in "bresaola".
Le prime testimonianze letterarie relative alla produzione della bresaola risalgono al XV secolo, ma l'origine del salume è senz'altro antecedente. La produzione rimane circoscritta all'ambito familiare sino ai primi decenni dell'Ottocento. Nel XIX secolo la lavorazione artigianale del salume diventa particolarmente florida e il prodotto varca i confini nazionali per essere esportato nella vicina Svizzera. Il settore agro-alimentare è tradizionalmente molto forte in Valtellina, le cui ottime specialità gastronomiche sono vendute in tutta Italia e in Svizzera.

La produzione

Il Disciplinare di produzione è stato recepito dall'ordinamento italiano con decreto 23 dicembre 1998 del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. La denominazione "Indicazione Geografica Protetta" identifica un prodotto per il quale almeno uno degli stadi della produzione, della trasformazione o dell'elaborazione hanno luogo in un'area geografica determinata e caratterizzata da una perizia riconosciuta e constatata. La bresaola della Valtellina viene elaborata nella tradizionale zona di produzione che comprende l'intero territorio della provincia di Sondrio, ma le carni utilizzate possono provenire da bovini allevati e macellati in altre zone, anche e soprattutto d'importazione (principalmente dal Brasile e dall'Argentina). L'economia della Provincia di Sondrio è notevolmente dipendente dalle sorti di questa importazione. Infatti, la sottospecie bovina Zebù è allevata nel nuovo continente e si adatta particolarmente alla produzione di conserve del genere. La principale alternativa alla carne extracomunitaria è peraltro la carne bovina proveniente dall'Irlanda.
La bresaola si ricava dalle seguenti masse muscolari:
  • fesa: corrisponde alla porzione posteromediale della muscolatura della coscia e comprende il muscolo retto interno, il muscolo adduttore ed il muscolo semimembranoso
  • punta d'anca: è il taglio più pregiato, corrisponde alla parte della fesa privata del muscolo adduttore. Ha un peso minimo di 2,5–3 kg
  • sottofesa: corrisponde alla porzione posterolaterale della muscolatura della coscia e precisamente al muscolo lungo vasto e pesa almeno 2 kg
  • magatello: corrisponde alla porzione posterolaterale della muscolatura della coscia e più in particolare al muscolo semitendinoso e pesa almeno 1 kg
  • sottosso: corrisponde alla fascia anteriore della coscia, composta dal muscolo retto anteriore e dal muscolo vasto esterno, interno e intermedio (quadricipite femorale).

Modalità di preparazione

La materia prima viene sottoposta a salagione, effettuata a secco in vasche d'acciaio dove la carne viene cosparsa con sale (in quantità variabili dai 2,5 ai 3,5 kg per quintale, secondo la stagione), pepe macinato e aromi naturali. Possono essere aggiunti vino, spezie, zuccheri (con lo scopo di favorire i fenomeni microbici responsabili in buona parte della stagionatura del prodotto), nitriti e nitrati di sodio e potassio, acido ascorbico e suo sale sodico. La miscela salante spesso cambia da produttore a produttore e si tramanda come una ricetta da custodire gelosamente. La durata della salagione va dai 10 ai 20 giorni, a seconda della stagione, della pezzatura e l'altitudine del luogo di lavorazione. Ogni quattro giorni i pezzi vengono trasferiti in nuovi contenitori dopo aver eliminato l'eccesso di salamoia mediante operazioni di massaggio, che consentono una più rapida e uniforme migrazione del sale all'interno del prodotto. In questa fase la carne si insaporisce perdendo parte dell'acqua libera presente nel tessuto muscolare. Si passa poi alla lavatura delle bresaole che successivamente vengono insaccate in involucri di protezione (budelli naturali o artificiali) e inviate alla fase successiva di asciugamento in apposite celle.
L'asciugamento deve consentire una rapida disidratazione del prodotto nei primi giorni di trattamento. Viene condotto a temperatura compresa tra 20 e 30 °C e in condizioni di umidità dell'aria pari al 35-65%.
Alla fase di asciugamento segue la stagionatura condotta a temperatura compresa tra 12 e 18 °C e in condizioni di umidità dell'aria pari al 70-90% per un periodo che varia dalle 2 alle 4 settimane.
I locali di stagionatura, così come quelli di asciugamento, devono essere muniti di impianti per il mantenimento e la rilevazione della temperatura e dell'umidità e devono consentire un ottimale ricambio dell'aria.
Questo processo di maturazione provoca un notevole calo di peso e un conseguente insaporimento del prodotto per effetto della concentrazione degli aromi e del sale, rendendo possibile la conservazione della bresaola per periodi piuttosto lunghi pur mantenendo inalterate tutte le caratteristiche di sapore, morbidezza e digeribilità.
La bresaola è uno dei salumi con il minor contenuto di grassi.

Riconoscimenti regionali

Oltre alla bresaola della Valtellina, che ha avuto il riconoscimento IGP, sono riconosciute come prodotti agroalimentari tradizionali anche la bresaola affumicata e la bresaola di cavallo.

Falukorv

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Il falukorv è una salsiccia tradizionale svedese considerata dalla maggiore parte degli svedesi come uno dei piatti nazionali.
Nel dicembre 2001, a livello europeo, il falukorv è stato riconosciuto specificità tradizionale garantita (STG).

Composizione e uso

Esso viene prodotto con un impasto di carni bovine, equine e/o suine crude e fecola di patate (unico agente legante).
Con un diametro maggiore di 45 mm, Il falukorv, viene tagliato in fette dello spessore di un centimetro e fritta per il pranzo o la cena: in alcune parti della Svezia, si consuma anche fuori pasto in panini imbottiti.
Ha un sapore di affumicato, speziato e salato.


Carne salada del Trentino

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La carne salada è un salume caratteristico della provincia di Trento, generalmente preparato con tagli di manzo, lingua di vitellone o coscia di cavallo.

Preparazione

La carne salada del Trentino si ottiene con la fesa (ma occasionalmente anche con sottofese e magatelli) di bovino adulto. I tagli, ripuliti da tutte le parti grasse e tendinose, vengono cosparsi con una miscela di sale e altri ingredienti e disposti in un contenitore dove rimarranno dalle 2 alle 5 settimane a seconda delle dimensioni dei singoli pezzi. Durante tutto il periodo di maturazione la carne salada del Trentino va conservata in locali bui ad una temperatura massima di 12 °C e deve essere massaggiata almeno ogni 2/3 giorni. È importante sottolineare che per una produzione di qualità non deve assolutamente essere utilizzata l'acqua nel processo produttivo.

Varianti

Una variante poco conosciuta ma molto gustosa della Carne Salada del Trentino è la Carne Fumada della Val di Cembra. Questo pregiato salume, che si ottiene affumicando e stagionando per circa 4/8 settimane la Carne Salada, si presta ottimamente per la preparazione di profumati antipasti come pure per semplici merende. Esiste in Valle d'Aosta una preparazione simile, ma fatta in tempi più brevi (5 giorni), che si chiama carne messata, prodotta con un procedimento simile alla mocetta (o motzetta), ma senza la stagionatura, gli aromi usati sono diversi da comune a comune e non volentieri rivelati.

Consumo

In origine la carne salada del Trentino veniva utilizzata per realizzare dei semplici e gustosi bolliti. Nei secoli l'affinamento delle tecniche produttive ha permesso un utilizzo molto più vario ed oggi possiamo trovare piatti tradizionali con la Carne Salada cotta saltata in padella o grigliata e servita con insalata di fagioli, oppure cruda come carpaccio o come una semplice tartare.

Storia

La carne salada del Trentino è un prodotto di cui possiamo trovare traccia in Trentino già in un manoscritto quattrocentesco dal titolo Libro de cosina composto et ordinato per lo hegregio homo Martino de Rubei de la Valle de Bregna, coquo dell'illustre Signore Johanne Jacobo Trivulzio.
Altra illustre documentatrice della cucina del Trentino è stata la baronessa Giulia Turco (1848-1912) che nel suo libro L'antico focolare riporta al capitolo decimoquarto come preparare una buona carne salada.
Nel '900 i coniugi Anna Lucia e Carlo Alberto Bauer nel loro manuale dal titolo La nostra cucina - piatti vecchi e nuovi alla trentina fra la polenta e sguazet e il tonco de pontesel inseriscono la ricetta della carne salada come elemento fondamentale della cucina trentina.
La diffusione della conservazione della carne di bovino si deve probabilmente all'abbondanza di tale materia prima come riporta Michel'Angelo Mariani nel 1671 nel suo libro Trento con il Sacro Concilio et Altri Notabili a pagina 21 raccontando che li carnaggi in Trento s'hanno preziosi e a buon prezzo tutto l'anno. La Stiria e Pusteria fornisce i Buoi, che li vedono venir a caterve di quando in quando.
Questa abbondanza è facilmente comprensibile leggendo Casa e cucina trentina in otto secoli di principato (Dossi Editore) dello studioso Aldo Bertoluzza dove troviamo riportata una norma la quale imponeva che qualunque forestiero condurrà bestie da carne da qualunque luogo....se vorrà passare fuori del distretto di Trento sii obbligato ammazzare la quinta parte di dette bestie...e venderle al macello di Trento.





 
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