Trattasi di una mozzarella fresca, sul
sedile di una carrozza dell’Ottocento. Autore, Gino de Dominicis.
Nell’allestimento di quest’opera, è previsto che gli addetti
della mostra rinnovino la mozzarella ogni giorno, poiché la dicitura
specifica:
Mozzarella in Carrozza di Gino De
Dominicis (1968-1970):
1 mozzarella fresca, possibilmente non
di bufala, e comunque ben asciugata
1 carrozza per cavalli, senza
cavalli
Non è una burla, ma il processo
inverso di una metafora.
Il piatto infatti ha questo nome perché
la mozzarella viene adagiata su due fette di pane dorate predisposte
in modo simile a una carrozza, come a fare da cocchio al formaggio.
Oppure, in una visione ancora più fantasiosa, la mozzarella poggiata
sul pane si fonde durante la frittura e, quando viene addentata, fila
creando delle “briglie” che guidano le fette (ovvero la carrozza)
su cui è adagiata.
Un’ipotesi più storica sostiene
invece che nell’ Ottocento il latte, trasportato
su carrozze (come
gli altri viveri), a causa del movimento continuo durante
il tragitto, si cagliasse,
arrivando a destinazione come formaggio fresco. Da ciò
deriverebbe il nome mozzarella
in carrozza.
Un nome comunque molto poetico, per un
piatto. De Dominicis dà corpo alla metafora, prendendola alla
lettera. Al posto dell’impanatura, mette una carrozza vera e ci
appoggia una mozzarella sul sedile all’interno, restituendo
così al linguaggio tutta la sua potenza.
L’opera d’arte e la magia consistono in questo.
Ma c’è un ulteriore aspetto: per De
Dominicis la mozzarella rimane tale pur dimorando nel lussuoso
contenitore. L'artista ironizza sugli epigoni di Marcel Duchamp che
ancora oggi credono che il contenitore, galleria o museo, abbiano il
potere di tramutare in opera d’arte qualunque oggetto lì esposto.