Qual è il segreto per una frittura di calamari perfetta?

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Gli anelli di calamaro fritti sono un delizioso secondo piatto di pesce dal sapore irresistibile.

Per ottenere una frittura dorata, croccante e asciutta sono però necessari degli accorgimenti, che servono ad evitare una panatura che si stacca, che è morbida o molliccia, rovinando inevitabilmente uno di quei piatti che conquistano il palato di grandi e piccini.



Preparazione

  1. Se avete dei calamari interi, procedete lavandoli sotto l’acqua corrente. Prendete la testa con una mano e con l’altra il corpo e tirate delicatamente, in modo che staccando la testa si rimuovano anche le interiora. Togliete anche la penna di cartilagine trasparente interna.

  2. Risciacquate di nuovo sotto l’acqua corrente per rimuovere eventuali residui di interiora ed eliminate la pelle facendo un piccolo taglio con un coltello nella parte finale del mantello (in modo da riuscire a tirare via la pelle stessa tirandola, o se trovate difficoltà, aiutatevi con un coltellino). Sciacquateli di nuovo sotto l’acqua e tagliate il mantello ad anelli.

  3. Per ottenere una frittura croccante, asciutta e dorata, il primo importante accorgimento è quello di utilizzare degli anelli che siano ben asciutti.Pulite i calamari e riduceteli ad anelli la sera precedente, inseriteli in uno scolapasta appoggiato in una ciotola o su un piatto, copriteli con un altro piatto e farli “scolare” in frigorifero per tutta la notte. Ma se non avete tutto questo tempo a disposizione, potete ovviare asciugando gli anelli di calamaro con un canovaccio di tela ben pulito o della carta assorbente da cucina, asciugando accuratamente il pesce.

  4. Inserite gli anelli di calamaro puliti e asciutti in un sacchetto per alimenti, aggiungete un po’ di farina, richiudete il sacchetto e sbattetelo bene in modo che la farina si distribuisca uniformemente sugli anelli. Dopo questa operazione mettete gli anelli in uno scolapasta e scuotetelo per far cadere la farina in eccesso (assorbirebbe troppo olio, rendendo la vostra frittura “moscia” ed oleosa).

  5. Scaldate abbondante olio in una padella dai bordi alti e cuocete pochi anelli per volta, per pochi minuti, fino ad ottenere una leggera doratura, quindi utilizzando una pinza da fritto o un mestolo forato mettete gli anelli di calamaro fritti su un piatto rivestito di carta assorbente da cucina o carta paglia ad asciugare l’olio in eccesso.

Com'è essere un ristoratore in Italia?

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Non sono un ristoratore Italiano, ma spesso (troppo, troppo spesso!) ho dovuto lavorare per loro e ho quindi imparato a conoscerli. Parlo chiaramente in linea di massima e ogni caso andrebbe valutato singolarmente, ma ti garantisco che, tendenzialmente, il settore è una vera e propria vergogna, specialmente in considerazione dell'immensa potenzialità non sfruttata. La logica di commercio non solo è controproducente, ma nel settore regna la convinzione che il proprio personale sia una sorta di "piaga", una specie di nemico di cui non si può fare purtroppo a meno e da cui quindi bisogna cercare di tutelarsi in ogni modo.

Non dico di essere contento nel vederli disperati in TV a protestare contro le conseguenze dei decreti di Conte. Chiaramente non mi fa piacere sapere che ci sono famiglie in difficoltà. Se ripenso tuttavia alle mie esperienze personali, non posso fare a meno di ritrovarmi a riflettere sul Karma.

Potrei scrivere un libro su tutto ciò che non va nella ristorazione Italiana, impossibile quindi riassumerti qui in tre righe tutti i suoi limiti, però c'è una frase, in particolare, che molto tempo fa sentii pronunciare da Edoardo Raspelli in TV e che mi è sempre rimasta ben impressa in testa, forse perchè ritengo sia essere una sorta di sintesi del problema di fondo:


"L'Italia è un Paese di cuochi, ma non di albergatori."



In Italia vige l'errata convizione che un'attività ristorativa verta interamente sulla figura dell' Executive Chef.

Per carità, io stesso sono il primo a dire che lo Chef sia il Re indiscusso dell'intero locale, l'Autorità Suprema alla quale non deve necessariamente spettare l'ultima parola su ogni decisione presa, ma quantomeno il diritto di veto. Quello sì.

Tuttavia è altrettanto vero che un'attività ristorativa può tranquillamente avere grandissimo successo anche senza un grande Chef. Puoi avere un emerito imbecille totalmente incompetente a farti girare la cucina e riuscire comunque ad ottenere incassi fenomenali se sai far girare tutto il resto. Pronunciare queste parole di fronte ad un ristoratore Italiano è come bestemmiare Dio di fronte all'altare di San Pietro in Vaticano.

Da questa logica sbagliata su cui l'Italiano pone cieca fiducia come se fosse quasi un dettame religioso, derivano tutta una serie di problemi che minano il settore alle sue fondamenta:

  • Chiunque non lavora in cucina non è indispensabile. Per tale motivo, mi conviene cercare profili poco esperti, sottopagarli, spremerli fino all'ultima goccia di sangue e poi cambiarli, in un infinito turnover.

  • Questo turnover continuo mi obbliga, a me titolare, a diventare sostanzialmente un semplicissimo direttore delle Risorse Umane, quando avrei ben altri problemi di cui occuparmi. Assunzioni e licenziamenti diventano la mia attività primaria, a volte l'unica, quando dovrei invece concentrarmi su costi, profitti e marketing.

  • Essendo il cuoco l'unica figura essenziale, tutte le altre figure professionali non mi servono. Non mi serve un profilo competente che selezioni il personale. Non mi serve un profilo competente che segua la contabilità. Non mi serve un profilo competente che gestisca la sala. Non mi serve un profilo competente che selezioni i fornitori periodicamente.

Questi sono solo alcuni esempi, non posso mettermi davvero qui ad elencarli tutti o credimi non finisco più. Dalle norme igieniche spesso inesistenti ai certificati HACCP che dovrebbero essere obbligatori ma di fatto sono del tutto facoltativi alla formazione del personale che dovrebbe essere continua ed incentivata alla fidelizzazione del cliente come obiettivo primario mai perseguito ad un miliardo e mezzo di altre cose. Tutto il settore è impostato senza nessuna logica.

Io ho avuto la fortuna di lavorare quasi sempre all'estero e quindi i limiti mi sono ben evidenti, purtroppo però non lo sono a chi gestisce il settore.

A loro discolpa posso solo dire che la tassazione Italiana è proibitiva quando si è imprenditori, così come proibitiva è anche la cieca tutela del lavoratore a prescindere dal problema: un datore di lavoro dovrebbe avere la libertà di licenziare i profili che non rispettano le sue esigenze, libertà che in Italia non si ha.

Inoltre il settore è INFETTATO da un'impostazione predominante a gestione familiare che impedisce di fatto ai profili competenti di emergere.

Insomma un vero schifo, ma basta così che mi gira già il cazzo a pensarci. Non vedo l'ora che riaprano gli aeroporti.


Lo street food più buono che abbia mai assaggiato

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Sarò scontato, banale, quello che volete, ma con farina, acqua e pomodoro si fanno miracoli culinari.

Lo street food più buono, quanto semplice, che io abbia mai assaggiato rimane la pizza fritta da Antica Pizza Fritta da Zia Esterina Sorbillo a Napoli, ad un prezzo a dir poco ridicolo.



Senza nulla togliere ovviamente ai vari panini con la milza in Sicilia, con il lampredotto a Firenze, panzerotti in Puglia o lasagne e tortellini in brodo take away che fanno in Emilia-Romagna.

Nota di merito anche per lo steet food londinese, al Borough Market probabilmente sono concentrati i cibi da strada migliori al mondo di diverse culture.






Cucina ciociara

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Gustare e apprezzare la cucina Ciociara


La cucina tradizionale ciociara è espressione della cultura contadina locale. È fortemente basata sulle ottime risorse agricole del territorio, adatto a coltivazioni di cereali, ortaggi, vigne e soprattutto ulivi. Sebbene sia ricca di preparazioni tipiche, le ricette spesso cambiano da zona in zona. Simile per alcuni aspetti alla "cucina povera" romana, da cui prende l'uso del "quinto quarto", la cucina tradizionale ciociara si è arricchita di preparazioni introdotte dalle varie dominazioni. Francese, greco-campano-spagnola, araba. Tra le preparazioni tipiche, molto diffuse sono zuppe, brodi e minestre; la più famosa è la "minestra revotata" o "minestra a pane sotto". Tradizionale delle feste è la stracciatella, ovvero brodo di pollo con uovo sbattuto. Le paste, fresche, acqua e farina o con uovo, vanno ad arricchire le minestre. I secondi variano. Dal bollito, al forno o alla brace, prevalentemente carni, con prevalenza maiale, re d'inverno, polli, agnelli, capretti e cacciagione soprattutto da piuma. In alcune zone della ciociaria è tradizionale la pecora al sugo. Poco in uso il pesce, per lo più fritto o in umido. Gli ortaggi sono coltivati da piccoli produttori locali. Da menzionare il peperone a cornetto "d.o.p." di pontecorvo. Il broccoletto regna, con le zucchine (gli cucuzz). Molto diffuso è l'utilizzo di erbe selvatiche (cicoria, cassella, ecc.). tipico ma ormai in disuso l'utilizzo dei "tanni" (seconda fioritura della rapa) Il vino, è immancabile nella cucina tradizionale. Sebbene in ciociaria siano presenti "D.o.c.", il vino tradizionale è plurivitigno. Bianco, predominante con malvasia, quindi secco, aromatico e carico di colore, o rosso, varie uve, secco e fortemente ricco di tannini (astringente). Ed infine i dolci tradizionali. Ve ne sono di diverse tipologie. Secchi, come le ciambelle al vino, i tozzetti, le susumelle, le crostate (con marmellata di visciole). Morbidi panettoni come le pigne, morbidi come le pastiere e le torte farcite. Da segnalare la "casata", dolce pontecorvese molto ricco di uova (anche una quarantina per dolce), cioccolato e ricotta. In alternativa ai dolci ci sono i rustici, (torte salate), a forma di ciambellone, con uova sode, formaggio ed affettati, o sformati come i "canascioni" (una specie di raviolo con pasta sfoglia e ripieno di affettati, uova e formaggi cotto al forno).

Riconoscimenti

Benché meno nota al pubblico rispetto ad altre tradizioni gastronomiche la cucina ciociara sta ottenendo negli ultimi anni importanti riconoscimenti a livello istituzionale. Tra questi sicuramente il più prestigioso è quello ottenuto da un noto ristorante di Acuto che è riuscito ad aggiudicarsi le tre forchette del Gambero rosso, grazie alle sue rivisitazioni creative di piatti tradizionali.

Ferratella

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Le ferratelle: una specialità risalente agli antichi Romani - Una ...



Il termine ferratella si riferisce a dolci tipici dell'Abruzzo, del Molise e di quella parte del Lazio abruzzese fino al 1927.

Abruzzo

La ferratella (o pizzella o cancellata o neola o nevola o nivola) è un dolce tipico abruzzese creato con pasta da biscotto cotto tramite una doppia piastra arroventata sul fuoco, che stringendo la pasta sopra e sotto, dà al dolce la forma caratteristica di cialda percorsa da nervature. Tra le varie varianti di disegno, la trama a rombi, o cancello, dà origine al nome ferratelle. Preferibilmente di forma rettangolare, ma alla festa di San Valentino vengono preparate anche a forma di cuore. In alcune province abruzzesi viene chiamato anche nuvola o neola (Teramo) o nevola o nivola.
In alcuni casi questo dolce viene arrotolato come un cannolo con ripieno di marmellata, tradizionalmente d'uva, ma anche con crema pasticcera o cioccolata. La variante con due cialde sovrapposte farcite prende il nome di coperchiola, dalla copertura della prima cialda con la seconda, il coperchio. Viene preparato perlopiù in inverno, a Pasqua e in occasione delle feste patronali, rivestendo un ruolo centrale nei palmentieri, particolare dono preparato in onore del santo patrono.
La piastra usata per cuocere questo dolce, detto "lu ferre" o "jo fèrro", veniva spesso portato in dote dalla donna, e pertanto, nella parte centrale, recava talvolta incise le iniziali della futura sposa.

Molise

In Molise le ferratelle sono chiamate anche "cancelle". Sono fatte risalire a un dolce degli antichi Romani detto Crustulum. Anch'esse, come le ferratelle abruzzesi, sono prodotte mediante uno stampo di acciaio o ghisa che imprime la propria forma ai dolci, spesso con scanalature incrociate che ricordano certi cancelli, da cui il nome. Fino agli anni sessanta erano servite ai matrimoni.



Lazio

Con lo stesso nome si indica anche un Prodotto agroalimentare tradizionale laziale: testimonianze orali raccontano che da oltre cinquant'anni è prodotto tale dolce nei paesi dell'ex Circondario di Cittaducale (fino al 1927 territorio abruzzese), che attualmente risulta a rischio di estinzione.




Cosa mi fa imbestialire di un ristorante

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Non sono molto esigente quando vado in un ristorante qualsiasi, ma a volte quando mi capita di cenare in ristoranti di qualità elevata allora presto più attenziona ai particolari semplicemente perchè il servizio deve essere all'altezza del buon nome del locale.

Alcune cose però non riesco a sopportare e purtroppo capitano sia nei ristoranti discreti e sia nei ristoranti di fascia più alta, vi faccio un breve elenco:

  • camerieri scontrosi e/o frettolosi

  • camerieri che ti chiedono in continuazione se il cibo è di tuo gradimento

  • camerieri con la divisa sporca

  • camerieri che servono prima gli uomini e poi le donne

  • ristoranti in cui fa troppo caldo/freddo

  • bagni sporchi

  • cibo scadente

  • puzza di fritto nel locale

  • caffè non in omaggio a fine pasto

  • ed ultimo, ma non ultimo, conti gonfiati senza motivo.


Fettuccine Alfredo

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Fettuccine Alfredo.jpg


Le Fettuccine Alfredo sono un primo piatto costituito da fettuccine condite con burro e parmigiano. Con lo sciogliersi del formaggio si crea un'emulsione che forma un rivestimento liscio e ricco sulla pasta. Il termine è un sinonimo di pasta con burro e parmigiano, uno dei più antichi e semplici modi di condire la pasta.
Le fettuccine Alfredo furono inventate a Roma da Alfredo Di Lelio nel 1908 nella piccola trattoria di sua madre Angelina in Piazza Rosa, un piccolo slargo (scomparso intorno al 1910) che esisteva prima della costruzione della Galleria Colonna (ora Galleria Sordi). Alfredo Di Lelio inventò le sue “fettuccine” per dare un ricostituente naturale, a base di burro e parmigiano, a sua moglie Ines, prostrata in seguito al parto del suo primogenito.
Nel 1914, a seguito della chiusura di detta trattoria per la scomparsa di Piazza Rosa, Alfredo Di Lelio aprì in via della Scrofa il suo primo ristorante che gestì fino al 1943, per poi cedere l’attività a due suoi camerieri estranei alla famiglia. Nel 1927 ad Alfredo Di Lelio furono donate dai due attori noti del cinema muto americano, Douglas Fairbanks e Mary Pickford, 2 “posate d’oro”, una forchetta ed un cucchiaio d’oro regalati alla persona di Alfredo in segno di gratitudine per l’ospitalità. Nel 1950 Alfredo Di Lelio decise di aprire a Roma un suo nuovo ristorante “Il Vero Alfredo” in Piazza Augusto Imperatore n.30, tutt'oggi operativo.
Le fettuccine con burro e parmigiano vengono citate per la prima volta nel XV secolo in Libro de arte coquinaria, scritto da maestro Martino da Como, un cuoco del nord Italia attivo a Roma. Il nome del piatto, "maccaroni romaneschi", tradisce le sue origini romane. Il piatto divenne ben presto un alimento base in Italia e all'estero.
Fettuccine Alfredo è diventato un piatto molto diffuso nei ristoranti di cucina italiana negli Stati Uniti. In Italia, il piatto è noto semplicemente come "pasta al burro.".

 
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